
V DOMENICA DI PASQUA
19 aggio 2019
Giovanni 13, 31b-35
Riferimenti : Atti degli Apostoli 4, 32-37 - Salmo 132 - Prima
lettera ai Corinzi 12,31 – 13, 8a |
Ecco, com’è bello e com’è dolce che i fratelli
vivano insieme! ® È come olio prezioso versato sul capo, che
scende sulla barba, la barba di Aronne, che scende sull’orlo
della sua veste. È come rugiada dell’Ermon, che scende sui monti
di Sion. |
Atti degli Apostoli 4, 32-37
In quei giorni. La moltitudine di
coloro che erano diventati credenti aveva un
cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava
sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra
loro tutto era comune. Con grande forza gli
apostoli davano testimonianza della risurrezione
del Signore Gesù e tutti godevano di grande
favore. Nessuno infatti tra loro era bisognoso,
perché quanti possedevano campi o case li
vendevano, portavano il ricavato di ciò che era
stato venduto e lo deponevano ai piedi degli
apostoli; poi veniva distribuito a ciascuno
secondo il suo bisogno. Così Giuseppe,
soprannominato dagli apostoli Bàrnaba, che
significa «figlio dell’esortazione», un levita
originario di Cipro, padrone di un campo, lo
vendette e ne consegnò il ricavato deponendolo
ai piedi degli apostoli. Atti
4, 32-37 Luca, scrivendo il seguito del suo
Vangelo come proseguimento e sviluppo della
presenza e dell'opera di Gesù risorto, nel breve
testo di oggi degli Atti, racconta la vita della
comunità di fratelli e sorelle, unita nel nome
di Gesù. Tutti portano il nuovo sigillo della
vita piena e sono detti "i cristiani", (dopo
qualche decennio, "Ad Antiochia per la prima
volta i discepoli furono chiamati cristiani" At
11,26). Per essi la vita piena di fede deve
avere riflessi anche nei rapporti quotidiani con
le persone della comunità che si riconosce nella
fede. Così la scelta fondamentale di Gesù deve
essere capace, insieme, di conoscere il
Salvatore e verificare la fatica, la sofferenza
che vediamo attorno, e il bisogno a cui portare
sollievo. Non possiamo provvedere a tutto ma,
per lo meno, verificare e sottrarre fratelli e
sorelle dal bisogno, poiché si mettono insieme
le risorse. E' vero che nel mondo greco ci sono
richiami e ricordi mitici dell'età dell'oro
quando si favoleggia che, all'inizio "tra amici
tutto è in comune". Ne parla Platone e altri
scrittori greci e latini, come Seneca.
L'amicizia diventa un elemento fondamentale di
coerenza e di coesione per cui non si accetta,
potendo alleviare il bisogno, che un amico
soffra. Per questo all'amico si mette tutto a
disposizione. Luca, probabilmente, non ha la
pretesa di ricostruire il mito. Luca vuole
aiutare a cogliere il senso di una esperienza
che capovolge i criteri della vita. La proprietà
non è un assoluto ma le risorse si utilizzano
per alleviare la fatica di quelli che
conosciamo. Probabilmente non si tratta però di
un fatto generalizzato dal momento che si sente
l'esigenza di ricordare il gesto di donazione di
Giuseppe che offre il ricavato di una sua
vendita agli apostoli. E tuttavia non si tratta
di minimizzare la generosità della Comunità
cristiana (ci sono tre sommari che riprendono lo
stesso tema: At 2,42; 4, 32-37 (testo di oggi) e
5, 12-16). Infatti scopriamo che c'è la
impegnata e seria preoccupazione di un servizio
giornaliero di mense per i poveri e, in
particolare, per le vedove. E questa
provvidenza, nella Comunità cristiana, costa
molte energie e pone fortemente un problema di
carità generosa e disinteressata. In realtà a
Gerusalemme, molto presto, per carestia e per il
moltiplicarsi dei poveri, finiscono presto le
risorse dei cristiani nella città e si sente il
bisogno dell'aiuto delle altre chiese (At
11,29-30) per cui s. Paolo si fa portavoce e
raccoglitore della colletta (Gal 2,10).

Il Cenacolo - abbellito dai Crociati |
Prima lettera ai Corinzi 12,31 – 13, 8a
Fratelli, desiderate intensamente i carismi più
grandi. E allora, vi mostro la via più sublime. Se parlassi le
lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità,
sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita. E se
avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e
avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da
trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei
nulla. E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi
il mio corpo per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla
mi servirebbe. La carità è magnanima, benevola è la carità; non
è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca
di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non
tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si
rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera,
tutto sopporta. La carità non avrà mai fine. 1
Cor 12, 31-13,8a La Comunità cristiana di Corinto, pervasa
dalla presenza dello Spirito, in particolare, gode di una
ricchezza di doni (carismi) che, a volte, raggiunge anche una
sua spettacolarità. Ci sono manifestazioni che conducono ad una
utilità della Chiesa per la conversione degli infedeli e sono
frutto dei doni di Dio e del suo Spirito,, ma altre assomigliano
di più a stati estatici pagani che portano al delirio, a perdita
parziale o totale della razionalità, a manifestazioni
spettacolari, ambite e apprezzate spesso, ma che inducono al
disordine, alla stravaganza e che, comunque, tolgono la libertà.
Diventano fenomeni di dubbia autenticità e vanno tutti
verificati dalla fede. Paolo suggerisce di attendere ai carismi
più grandi e più utili per l'edificazione della Comunità, ma
suggerisce che il vero fondamento è dato dalla "carità" (in
greco "agape") che, poco usata, nel linguaggio cristiano
corrisponde all'amore di comunione. E' "la via più sublime".
Essa è dono di Dio, è strada da percorrere, è stile credente, è
coscienza operativa nella vita, è apertura di cuore che accoglie
gratuitamente l'altro, preoccupati, prima di tutto, dei suoi
problemi. Ci troviamo di fronte ad un testo famoso e bellissimo,
mai sufficientemente meditato. Sono molti gli aspetti che
vengono riletti e calati nella quotidianità: non è assolutamente
un testo astratto o moralistico. Esprime una ricchezza infinita
che solo Dio pienamente raggiunge, ma che a noi è dato come
paradigma per confrontarci e maturarvi la nostra esistenza. -
Il parlare nelle varie lingue mi farebbe un buon comunicatore,
ma senza la "carità" non evangelizzerei nessuno perché non
comunico il Signore. - Così, senza la "carità", la profezia,
la conoscenza e la fede non mi mettono pienamente in sintonia
con il Signore e le sue opere - Anche il dare tutti i beni e
il corpo stesso in sacrificio, senza la "carità" non mi fanno un
benefattore: sono nulla. - Si propongono 3 aspetti in
positivo: la "carità" è paziente, benevola (v 4) e si rallegra
della verità (v.7). - 8 stili di vita descrivono la "carità"
negando il male (o negando la morte: il numero 8 richiama la
risurrezione, "il giorno dopo il sabato"): "non è invidiosa, non
si vanta, non si gonfia di orgoglio, non manca di rispetto, non
cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del
male ricevuto, non gode dell'ingiustizia" (vv 4-7). - 4
atteggiamenti del cuore garantiscono una totalità di
accoglienza: "Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto
sopporta". Il tutto è ripetuto 4 volte: è la totalità
dell'orizzonte umano (numero 4). Si sommano l'accoglienza, la
fiducia, l'attesa piena e la non violenza. - "La "carità""
non avrà più fine (v 8) poiché è eterna come Dio, che è carità"
(Gv 4,8). Il pensiero di Paolo viene ripreso, con chiarezza e
nello stesso spessore, nella lettera ai Galati (5,14): "Tutta la
legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: Amerai
il tuo prossimo come te stesso". |
Giovanni
13, 31b-35 In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo
è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato
glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà
subito. Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete ma, come ho
detto ai Giudei, ora lo dico anche a voi: dove vado io, voi non potete
venire. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io
ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti
sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».
Gv 13, 31b-35 Le parole che leggiamo oggi sono tratte da
un dialogo di Gesù con gli apostoli, sviluppato durante la cena ultima, prima
della sua morte. Il testo di Giovanni carica di significati le parole di Gesù
che, all'inizio, non possono essere capite e tuttavia restano il testamento
perenne di Gesù alla sua Comunità. Ma nella vita è questa la condizione
di rapporto con Dio: riceviamo segni e viviamo fatti che lentamente
stratificano i loro significati e poi si svelano per dono di grazia e per
riflessione di fede sulla nostra vita. Gesù ha lavato i piedi ai discepoli,
anche a Giuda. E se, nel suo cuore si sviluppa il dramma del proprio futuro
prossimo che sta vivendo in anticipo, Gesù sa affrontarlo con coraggio e con
lucidità e lo circonda di amore e di lode: il dramma che vivrà, dal
tradimento di Giuda all'abbandono dei suoi, dai processi al rifiuto del suo
popolo ed alla condanna a morte sono racchiusi nella glorificazione del Padre
e nell'amore alla sua comunità. Il dramma si trasformerà in gloria e bellezza
agli occhi di Dio poiché tutto si svolgerà nel cuore di Gesù,
nell'accoglienza e nell'ubbidienza amorosa per il Padre e nella profonda
donazione ai suoi, affidati dal Padre (Gv 17,6), compreso Giuda a cui Gesù dà
il boccone della predilezione (13, 2-6). "Ho manifestato il tuo nome agli
uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me, ed essi
hanno osservato la tua parola (Gv17,6)". Il Padre infatti glieli ha affidati.
In questa glorificazione che è dialogo amoroso e garanzia reciproca tra il
Padre e Gesù si inserisce una raccomandazione che è, essa stessa, una
garanzia: "Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come
io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti
sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri".
Gesù lascia alla nostra libertà ed al futuro del mondo un progetto che
garantisce il capovolgimento del male e della violenza. Noi siamo ammalati di
paura e di ansietà e continuiamo a sognare un mondo fatto con le nostre mani,
ma che si distorce nel conflitto, nella potenza del nostro vincere e nella
nostra rassegnazione a non avere mai la speranza della pace. Gesù ci consegna
il segreto: "Amatevi come io ho amato voi", che fa escludere ogni rivincita,.
Il Signore ci consegna al mondo ed alla storia come un popolo che sa amare,
disarmato, coraggioso e ricco di una presenza, pur invisibile, di Gesù e
della sua esemplarità, - Ci lascia un parametro consegnato alla nostra
libertà: ma il parametro è Lui, senza scorciatoie. - Ci garantisce che è
efficace nella nostra convivenza tra i popoli per quel "come io vi ho amato".
- Ci offre un comandamento nuovo, non nella formulazione (c'è già in Levitico
19,18), ma è nuovo per l'ampiezza che non deve trovare barriere né sociali,
né razziali, né culturali. Perciò ogni forma di diffidenza per lo straniero,
l'estraneo, il nuovo deve prima di tutto lasciare spazio ad identificarlo
come fratello e sorella, pur con tutte le nostre paure, e insieme alle nostre
prudenze. - Il termine di misura è lo stile e l'amore di Gesù che arriva a
dare la vita - Il vero segno che identifica i discepoli è il volersi bene.
Tutto il resto, fatto di simboli (crocifissi, statue), di gesti, di luoghi
sacri, di dichiarazioni non è sufficiente ad identificarci nella storia
poiché tutto questo può diventare ambiguo. E infine, e non è poco, c'è la
reciprocità: "vi amiate gli uni gli altri". E' il vero terreno di coltura
della fede, è l'inizio della fecondità dei valori cristiani nella storia. Se
devi amare, mi dice Gesù, devi anche cercare di rendere facile l'essere
voluto bene. La reciprocità è curiosa e difficile, eppure è essenziale, pare. |