
DOMENICA DEL CIECO
IV di Quaresima
31 marzo 2019
Giovanni 9, 1-38b
riferimenti : 1 Tessalonicesi 5, 1-11 - Salmo 351 -
Tessalonicesi 5, 1-11 |
Signore, il tuo amore è nel cielo, la tua
fedeltà fino alle nubi, la tua giustizia è come le più alte
montagne, il tuo giudizio come l’abisso profondo: uomini e
bestie tu salvi, Signore. Quanto è prezioso il tuo amore, o Dio!
Si rifugiano gli uomini all’ombra delle tue ali, si saziano
dell’abbondanza della tua casa: tu li disseti al torrente delle
tue delizie. |
dell’Esodo 17, 1-11 In quei
giorni. Tutta la comunità degli Israeliti levò
le tende dal deserto di Sin, camminando di tappa
in tappa, secondo l’ordine del Signore, e si
accampò a Refidìm. Ma non c’era acqua da bere
per il popolo. Il popolo protestò contro Mosè:
«Dateci acqua da bere!». Mosè disse loro:
«Perché protestate con me? Perché mettete alla
prova il Signore?». In quel luogo il popolo
soffriva la sete per mancanza di acqua; il
popolo mormorò contro Mosè e disse: «Perché ci
hai fatto salire dall’Egitto per far morire di
sete noi, i nostri figli e il nostro bestiame?».
Allora Mosè gridò al Signore, dicendo: «Che cosa
farò io per questo popolo? Ancora un poco e mi
lapideranno!». Il Signore disse a Mosè: «Passa
davanti al popolo e prendi con te alcuni anziani
d’Israele. Prendi in mano il bastone con cui hai
percosso il Nilo, e va’! Ecco, io starò davanti
a te là sulla roccia, sull’Oreb; tu batterai
sulla roccia: ne uscirà acqua e il popolo
berrà». Mosè fece così, sotto gli occhi degli
anziani d’Israele. E chiamò quel luogo Massa e
Merìba, a causa della protesta degli Israeliti e
perché misero alla prova il Signore, dicendo:
«Il Signore è in mezzo a noi sì o no?». Amalèk
venne a combattere contro Israele a Refidìm.
Mosè disse a Giosuè: «Scegli per noi alcuni
uomini ed esci in battaglia contro Amalèk.
Domani io starò ritto sulla cima del colle, con
in mano il bastone di Dio». Giosuè eseguì quanto
gli aveva ordinato Mosè per combattere contro
Amalèk, mentre Mosè, Aronne e Cur salirono sulla
cima del colle. Quando Mosè alzava le mani,
Israele prevaleva; ma quando le lasciava cadere,
prevaleva Amalèk. Es. 17, 1-11
Israele ha accettato di seguire Mosè e di
contrapporsi a Faraone. Ma il cammino è faticoso
e imprevedibile. E questo fa scoprire limiti,
difficoltà anche drammatiche. Così sorgono
malumori e proteste. Suppongono disagio e
rabbia, ripensamento e nostalgia del passato.
Non si apprezza il tempo presente e non si
superano le difficoltà se non si tenta di
accordarsi con i responsabili. Non ci si deve
dimenticare che bisogna, coraggiosamente,
ricostruire uno stile di vita completamente
diverso. Ci vogliono risorse e intraprendenza
per lottare e sopravvivere. Ma il cammino del
popolo, uscito dall'Egitto, si fa sempre più
difficile perché gli Israeliti scoprono
difficoltà d'ogni genere. Prima manca il pane (e
mangiano manna), poi manca la carne ( e Dio
offre loro le quaglie), poi manca l'acqua,
fondamentale per la vita quotidiana. Qui si
inaspriscono le recriminazioni perché si arriva
ad avere seriamente paura. Il popolo non ha
strumenti per provvedervi; non sa rivolgersi a
Dio. Lotta e rimprovera Mosè fino a farlo
responsabile della propria miseria. Mosè è
fedele a Dio ed in Lui ha creduto. In questo
caso è anche responsabile, mediatore,
condottiero, custode. Mosè grida poiché è
spaventato dalla situazione difficile.
L'interrogativo fondamentale che serpeggia non è
quello dell'ateo: "Dio non c'è", ma
l'interrogativo su dove Egli sia presente, se è
ancora disposto a mantenere la sua parola e la
sua protezione che ha promesso. Mosè si è presa
la responsabilità di essere l'intercessore e Dio
lo ascolta. Dopo la mancanza di acqua, risolta
nel dono, che altrimenti avrebbe portato alla
morte, vengono la guerra e la violenza che
possono ricondurre alla schiavitù e alla
distruzione di molti. Nella battaglia contro
Amelèk, ci si chiede come vincere un popolo che
impedisce la conquista della Terra Promessa? Il
Signore dà criteri inusuali ma complementari:
- la presenza di un piccolo gruppo di soldati,
- la preghiera di intercessione: il segno delle
mani alzate come richiamo e dipendenza al
bisogno di Dio. Nelle difficoltà sono
necessarie le responsabilità personali che si
mettono in campo con coraggio e la fedeltà a Dio
per intercedere e ricuperare la fiducia e la
libertà. L'intercessione è fondamentale per
costruire un popolo e strutturarlo nella fiducia
e nel cammino di comunione. Dio ama questa
intercessione. Gesù è l'esempio più alto della
intercessione per tutti gli uomini e le donne.

Piscina di Siloe |
Prima lettera ai Tessalonicesi 5,
1-11 Riguardo ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete
bisogno che ve ne scriva; infatti sapete bene che il giorno del
Signore verrà come un ladro di notte. E quando la gente dirà:
«C’è pace e sicurezza!», allora d’improvviso la rovina li
colpirà, come le doglie una donna incinta; e non potranno
sfuggire. Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, cosicché
quel giorno possa sorprendervi come un ladro. Infatti siete
tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo
alla notte, né alle tenebre. Non dormiamo dunque come gli altri,
ma vigiliamo e siamo sobri. Quelli che dormono, infatti, dormono
di notte; e quelli che si ubriacano, di notte si ubriacano. Noi
invece, che apparteniamo al giorno, siamo sobri, vestiti con la
corazza della fede e della carità, e avendo come elmo la
speranza della salvezza. Dio infatti non ci ha destinati alla
sua ira, ma ad ottenere la salvezza per mezzo del Signore nostro
Gesù Cristo. Egli è morto per noi perché, sia che vegliamo sia
che dormiamo, viviamo insieme con lui. Perciò confortatevi a
vicenda e siate di aiuto gli uni agli altri, come già fate.
1 Tessalonicesi 5, 1-11 Il tempo può custodire
la pace e può nascondere la guerra. Noi cristiani siamo chiamati
ad essere sempre all'erta, pronti però ad affrontare situazioni
di emergenza e di sconvolgimento. Paolo, riprendendo le
affermazioni del Signore sull'incertezza della data della
conclusione del mondo (Mt 24,36p; At 1,7), e che bisogna
attendere vegliando (Mt 24,42p.50;25,13), afferma di non
conoscere il termine dell'esistenza del mondo. Il giorno del
Signore (1Cor 1,8) verrà come un ladro (cf.Mt 24,43p); bisogna
stare in guardia (v 6; cf.Rm 13,11), il tempo è breve (2Cor
6,2). Egli, prima, si pone per ipotesi tra quelli che vedranno
questo giorno (4,17; cf.1Cor 15,51); poi passa a considerare di
morire prima (2Cor 5,3;Fil 1,23); quindi mette in guardia quelli
che credono imminente (2Ts 2,1s) il compimento, considerando che
prima deve verificarsi la conversione dei pagani (Rm 11,25). In
questa totale incertezza i tempi non si intravedono brevi. Paolo
riprende i contatti con la prima comunità greca, da lui
visitata, quella di Tessalonica, che si è mostrata subito
recettiva e attenta alla sua predicazione, ma poi presto ha
dovuto abbandonarla per la reazione della popolazione non
credente che ha messo in pericolo la stessa vita di Paolo. Ora
Timoteo torna a visitare la comunità per garantirsi della
solidità della fede, e quindi riferisce all'apostolo liete e
rassicuranti notizie. Riconoscente e commosso, Paolo scrive una
lettera che è il primo testo scritto nel Nuovo Testamento (siamo
nel 50 - 51 d.C.). Tra i molti problemi Paolo sa di dover
affrontare anche il "tempo della Conclusione", come accennato
più sopra. Alla fine ricorda di essere svegli e all'erta perché
nessuno lo conosce ma il Giorno del Signore viene all'improvviso
e chiederà conto della responsabilità e della legge del nostro
cuore a tutti gli uomini e a tutte le donne del mondo. Per
questo i credenti debbono essere come figli della luce e
custodire la luce di Dio senza profanarla, né spegnerla. I
"figli della luce" vivono la sobrietà, si attrezzano sulle virtù
della fede, della carità e della speranza come difesa contro il
tempo e i drammi che nella vita rapiscono la serenità e
l'esistenza. Abbiamo un destino di speranza perché ci fidiamo
di Gesù che ci apre alla garanzia e alla fiducia nel mondo di
Dio. Il modo migliore per camminare verso il tempo del Signore è
sostenere i fratelli e le sorelle, dando loro sostegno e
aiutando materialmente per ciò di cui possono avere bisogno.

Ingresso alla fonte di Gihon che da l'acqua alla piscina di
Siloe |
Giovanni
9, 1-38b In quel tempo. Passando, il Signore Gesù vide un uomo cieco dalla
nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i
suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i
suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna
che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi
viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la
luce del mondo». Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva,
spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella
piscina di Sìloe» – che significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che
ci vedeva. Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un
mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere
l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che
gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli domandarono: «In che
modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli rispose: «L’uomo che si chiama
Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe
e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Gli
dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so». Condussero dai farisei quello
che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del
fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di
nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del
fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei
dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri
invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E
c’era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici
di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un
profeta!». Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che
avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che
aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio,
che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori di lui
risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come
ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo
sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». Questo dissero i
suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già
stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso
dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a
lui!». Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero:
«Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». Quello
rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci
vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli
occhi?». Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché
volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Lo
insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè!
Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia».
Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove
sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori,
ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è
mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco
nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». Gli
replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono
fuori. Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse:
«Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io
creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed
egli disse: «Credo, Signore!». Gv. 9,1-38b Incontrare un
cieco lascia sempre uno strascico di commiserazione e provoca un brivido di
risentimento e paura. Perciò la sofferenza provoca la domanda del perché e
del male che l'altro sta soffrendo. Ma, nel mondo ebraico, spunta anche il
sospetto che quella cecità possa essere un castigo per il male commesso,
magari prima di nascere, essendo un cieco nato. Gesù risponde che non v'è
peccato alla radice ma attesa di opere grandi di Dio. E Gesù sa di essere
stato chiamato a sostenere la luce di questo cieco e vuole chiarire a tutti
che ogni malato deve poter sperimentare la potenza di Dio attraverso noi.
Gesù sa che la sua presenza è posta come garanzia della speranza di tutti e
quindi di chi non s'aspetta nulla dalla vita e pensa che la quotidianità è
fatta di fatiche e sofferenze senza novità e capovolgimenti. Gesù invece
interviene; però al cieco chiede che si fidi di Lui e accetti di essere
visitato dalla fede nel Messia. Deve perciò andare a lavarsi alla piscina
dell'Inviato (Siloe). Il messaggio è al cieco ma anche ai discepoli e a
coloro che si imbatteranno in questo avvenimento strabiliante. Bisogna
sapere di essere ciechi. Bisogna desiderare di vedere. Bisogna accettare la
scelta di chi ti manda dal Messia, il coraggio di credere che ci possa essere
una trasformazione, l'accettazione di difendere la scelta fatta, la verità
riconquistata, la disponibilità del giudizio su chi ti ha fatto una proposta,
il coraggio della semplicità e della coerenza. Accettare il Messia, in questo
caso Gesù, significa trovarsi tutto il mondo contro o, per lo meno,
reticente. Tutti sperano che si sveli l'imbroglio, che si ritorni alla
malattia ed alla rassegnazione, oppure allo svelamento dello stratagemma per
poter dire che il mondo è malvagio, che si strumentalizza la religione, che
non può avvenire nulla di splendido nel mondo dove Dio vuole abitare. Il
cieco difende la sua verità e ritiene che la luce che sta vedendo debba
essere il paradigma del suo linguaggio. Come vede così manifesta e difende.
Non può negare che ora vede né vuole negare la sofferenza e la fatica del
precedente non poter vedere. E si stupisce che non si voglia credergli, e non
capisce del perché dei secondi fini che essi caparbiamente portano, mentre
pretendono di smascherarlo. Il cieco si stupisce di questa ostinazione nel
non voler accettare, mentre resiste l'insistenza di continuare ad
interrogarlo.
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