 II Domenica dopo la Dedicazione
3 novembre 2019
Mt 22, 1-14
Riferimenti : Is 25, 6-10a -
Sal 35 - Rm 4, 18-25 |
Quanto è prezioso il tuo amore, o Dio! Signore,
il tuo amore è nel cielo,la tua fedeltà fino alle nubi, la tua
giustizia è come le più alte montagne, il tuo giudizio come
l’abisso profondo: uomini e bestie tu salvi, Signore. Quanto è
prezioso il tuo amore, o Dio! Si rifugiano gli uomini all’ombra
delle tue ali, si saziano dell’abbondanza della tua casa: tu li
disseti al torrente delle tue delizie |
Is 25, 6-10a In quei
giorni. Isaia disse: «Preparerà il Signore degli
eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un
banchetto di grasse vivande, un banchetto di
vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini
raffinati. Egli strapperà su questo monte il
velo che copriva la faccia di tutti i popoli e
la coltre distesa su tutte le nazioni. Eliminerà
la morte per sempre. Il Signore Dio asciugherà
le lacrime su ogni volto, l’ignominia del suo
popolo farà scomparire da tutta la terra, poiché
il Signore ha parlato. E si dirà in quel giorno:
“Ecco il nostro Dio; in lui abbiamo sperato
perché ci salvasse. Questi è il Signore in cui
abbiamo sperato; rallegriamoci, esultiamo per la
sua salvezza, poiché la mano del Signore si
poserà suquesto monte”».
Isaia 25, 6-10a Nel testo di Isaia, scritto
probabilmente dopo l'esilio, si profilano gli
avvenimenti gioiosi della conclusione definitiva
della storia: il raduno sul monte del Signore,
il banchetto, l'instaurazione del Regno eterno.
L'immagine di celebrare, con un pranzo, una
vittoria viene, qui, sviluppata in un incontro
universale fantastico: ci sarà un banchetto,
organizzato da Dio stesso, sul monte santo di
Gerusalemme, a cui sono invitati tutti gli
uomini e le donne dell'umanità a festeggiare la
fine del mondo vecchio e malvagio. Si
favoleggia persino sul menu e i rabbini,
ripensando alla potenza di Dio che ha ucciso un
mostro marino, chiamato Leviatan, dato quindi
come "carne per il popolo che abitava nel
deserto" (salmo 74,14), hanno concluso che la
vivanda principale dei giusti dovesse essere la
carne di questo mitico pesce. Perciò, in
Israele, ancora oggi, alla cena del venerdì
sera, quando inizia sabato, si è soliti mangiare
pesce per richiamare a tutti gli uomini pii il
banchetto celeste che li attende. - La
salvezza è universale, - si esprimerà nella
comunione definitiva con Dio, - nell'immagine
del banchetto è richiamata l'esperienza umana
che diventa la parabola di Dio con il suo
popolo. Gesù userà spesso questo momento di
gioia poiché ognuno è nelle condizioni di
condividere con gli altri, nell'intimità e
nell'amicizia, la propria pienezza di festa e di
allegria; - il profeta, nella sua
consapevolezza del tempo, non è ancora in grado
di parlare di risurrezione, ma annuncia la
scomparsa di una vita sconfitta, senza senso e
senza ideali; - il banchetto, vissuto nella
gioia e nell'accoglienza, sarà allietato dalla
musica, dai canti, dalle danze; - finalmente,
ma questo il profeta non lo sa ancora, poteva
supporre, nella sua rivelazione definitiva, un
incontro con quel Dio che già è stato incrociato
nella storia, pur nella difficoltà e
nell'oscurità della fede e della speranza. Ora
Egli, finalmente, è il trionfatore visibile
sulla morte e sulla sofferenza. Egli si
mostrerà, a faccia a faccia, senza veli. Senza
lacrime, finalmente, sarà il volto dei suoi
fedeli.
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Rm 4, 18-25 Fratelli,
Abramo credette, saldo nella speranza contro ogni speranza, e
così divenne «padre di molti popoli», come gli era stato detto:
«Così sarà la tua discendenza». Egli non vacillò nella fede, pur
vedendo già come morto il proprio corpo – aveva circa cento anni
– e morto il seno di Sara. Di fronte alla promessa di Dio non
esitò per incredulità, ma si rafforzò nella fede e diede gloria
a Dio, pienamente convinto che quanto egli aveva promesso era
anche capace di portarlo a compimento. Ecco perché gli fu
accreditato come giustizia. E non soltanto per lui è stato
scritto che «gli fu accreditato», ma anche per noi, ai quali
deve essere accreditato: a noi che crediamo in colui che ha
risuscitato dai morti Gesù nostro Signore, il quale è stato
consegnato alla morte a causa delle nostre colpe ed è stato
risuscitato per la nostra giustificazione.
Romani 4, 18-25 Nella lettera ai Romani San Paolo, parlando
della fede, presenta Abramo come un testimone fedele, coraggioso
e fidato. Abramo, contro ogni speranza, ha continuato a sperare
di poter avere un figlio da Sara, la moglie amata, poiché il
Signore stesso glielo aveva promesso. Eppure aveva sotto gli
occhi la crisi possibile di questa speranza, invecchiando lui e
Sara, senza ombra o presagio di compimento. Abramo continua a
fidarsi e si rinsalda. Convinto di Dio e della sua Parola,
attende e questo lo fa crescere agli occhi di Dio come uomo
giusto. Noi stessi che crediamo in Gesù diventiamo, come Abramo,
coloro a cui "fu accreditato come giustizia". La fedeltà di
Abramo gli procurerà, alla fine, Isacco, il figlio della
promessa, ma anche una discendenza che da questo figlio nascerà.
La nostra fede in Gesù non ha solo, come contenuto, la nascita
di un figlio, ma la consapevolezza che Gesù è risuscitato, Lui
"il quale è stato messo a morte per i nostri peccati ed è stato
risuscitato per la nostra giustificazione". La coscienza del
credente deve portare, davanti alle situazioni difficili della
violenza e del male, l'impegno di credere in una circolazione di
beni e di fedeltà che nasce da Dio e si distribuisce, giorno per
giorno, nel cuore di ciascuno. Il credere in questa ricchezza in
noi e negli altri ci deve portare ad osare nella speranza, ci
deve far maturare per operare e quindi credere a che la speranza
di Dio si compia ogni giorno nel cuore di ciascuno. Le tante
paure esistenti, le tante diffidenze, le tante ritrosie della
solidarietà possono venire abbattute dalla coscienza della
presenza di Dio che è amore e quindi è più grande di qualunque
paura, di qualunque diffidenza e di qualunque egoismo.
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Mt 22, 1-14 In quel tempo. Il Signore Gesù riprese a
parlare loro con parabole e disse: «Il regno dei cieli è simile a un re, che
fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare
gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. Mandò di nuovo altri
servi con quest’ordine: “Dite agli invitati: Ecco, ho preparato il mio
pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è
pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al
proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li
insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece
uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. Poi disse ai
suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni;
andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli
alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che
trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. Il
re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava
l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito
nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e
piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.
Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti». Matteo
22, 1-14 Nel suo Vangelo, Matteo, nei capitoli 21-22, racconta tre
parabole che sembrano riferirsi a tre successivi momenti della storia della
salvezza, contrassegnati da un rifiuto: - la parabola dei due figli (si
riferisce all'accoglienza per Giovanni Battista: 21, 28-32), - la parabola
dei vignaiuoli ribelli (si riferisce a coloro che hanno ucciso i profeti e
che uccideranno Gesù: 21,33-44), - la parabola del convito, che leggiamo
oggi (si riferisce alla predicazione apostolica che riesce a farsi accettare
dai piccoli e dai poveri e non dagli amici del re: 22,1-14). Questa terza
parabola è diretta specificamente, come le prime due, d'altra parte, ai
principi dei sacerdoti e agli anziani del popolo per il loro insegnamento e
la responsabilità che stanno assumendosi rispetto alle scelte del popolo.
Matteo tiene a raccontare la durissima polemica finale con le autorità
religiose poiché vuole ricordare che la Parola di Dio non può essere ambigua.
Nello stesso tempo il significato della parabola ricorda che non basta una
parola di fede, ma bisogna sviluppare la fede fino a renderla operosa. La
parabola del banchetto per le nozze del figlio del re risente di racconti
favolosi che gli ebrei immaginavano nella loro povertà e che rimandavano
"all'aldilà" come il luogo della grande festa in cui Dio è presente,
accoglie, invita a sedersi con lui. Gesù utilizza questo racconto per aprire,
"sull'aldiqua", gli orizzonti del mondo ebraico e gli orizzonti della
comunità cristiana al suo messaggio. La festa delle nozze è la fine
dell'attesa. I tempi messianici sono giunti e Dio è tra noi.
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