
Dedicazione del Duomo di Milano
20 ottobre 2019
Lc 6, 43-48
Riferimenti : Is 60, 11-21 - Salmo 117 - Eb 13,
15-17.20-21 |
Rendete grazie al Signore, il suo amore è
per sempre. Dica Israele: «Il suo amore è per sempre». Dica la
casa di Aronne: «Il suo amore è per sempre». Dicano quelli che
temono il Signore: «Il suo amore è per sempre». |
Is 60, 11-21 Così dice il
Signore Dio: «Le tue porte saranno sempre
aperte, non si chiuderanno né di giorno né di
notte, per lasciare entrare in te la ricchezza
delle genti e i loro re che faranno da guida.
Perché la nazione e il regno che non vorranno
servirti periranno, e le nazioni saranno tutte
sterminate. La gloria del Libano verrà a te, con
cipressi, olmi e abeti, per abbellire il luogo
del mio santuario, per glorificare il luogo dove
poggio i miei piedi. Verranno a te in
atteggiamento umile i figli dei tuoi oppressori;
ti si getteranno proni alle piante dei piedi
quanti ti disprezzavano. Ti chiameranno “Città
del Signore”, “Sion del Santo d’Israele”. Dopo
essere stata derelitta, odiata, senza che alcuno
passasse da te, io farò di te l’orgoglio dei
secoli, la gioia di tutte le generazioni. Tu
succhierai il latte delle genti, succhierai le
ricchezze dei re. Saprai che io sono il Signore,
il tuo salvatore e il tuo redentore, il Potente
di Giacobbe. Farò venire oro anziché bronzo,
farò venire argento anziché ferro, bronzo
anziché legno, ferro anziché pietre. Costituirò
tuo sovrano la pace, tuo governatore la
giustizia. Non si sentirà più parlare di
prepotenza nella tua terra, di devastazione e di
distruzione entro i tuoi confini. Tu chiamerai
salvezza le tue mura e gloria le tue porte. Il
sole non sarà più la tua luce di giorno, né ti
illuminerà più lo splendore della luna. Ma il
Signore sarà per te luce eterna, il tuo Dio sarà
il tuo splendore. Il tuo sole non tramonterà più
né la tua luna si dileguerà, perché il Signore
sarà per te luce eterna; saranno finiti i giorni
del tuo lutto. Il tuo popolo sarà tutto di
giusti, per sempre avranno in eredità la terra,
germogli delle piantagioni del Signore, lavoro
delle sue mani per mostrare la sua gloria».
Isaia 60, 11-21 Il popolo di
Gerusalemme è orgoglioso di avere un tempio che
Dio stesso ha eletto come sua dimora sulla
terra. I testi che stiamo leggendo si
riferiscono al terzo Isaia, un profeta anonimo i
cui scritti (cc 56-66) sono stati inseriti nel
grande libro di Isaia, vissuto circa tre secoli
prima. Siamo al ritorno da Babilonia dopo
l'esilio (587-538 a.C.), nel tempo in cui si sta
ricostruendo la Gerusalemme distrutta e si sta
soprattutto ricostruendo il Tempio di
Gerusalemme (dal 520 a.C. in poi). Tutto costa
fatica poiché è un popolo senza risorse, povero,
sradicato un tempo ed ora profugo. Il ritorno ha
riempito di speranza e di sogni molti che hanno
accettato la fatica del cammino (non tutti), ma
ora si ritrovano con i grandi problemi della
ricostruzione. Perciò, da una parte si fidano di
Dio che non abbandona, se ha permesso, per
circostanze strane e drammatiche, di essere
liberati da Ciro, re del popolo vincitore dei
Medi su Babilonia, e perciò sentono di essere
grati a Dio ed alla sua provvidenza. Questo
testo corrisponde al sogno che il profeta apre
davanti, come garanzia di Dio. Ogni elemento è
di speranza e di benessere, di fiducia e di
pace. Lasciare aperte le porte suppone che non
si temono né ladri né scorrerie di predoni. E il
tempio accoglierà le genti (sono popoli pagani e
potenze straniere) che vengono a rendere omaggio
all'unico Dio, e quindi arrivano a Gerusalemme
che è il popolo alleato di Dio. Le immagini, che
scorrono davanti agli occhi, ricordano i
bassorilievi assiro-babilonesi con i re vinti in
ginocchio "proni alle piante dei piedi" del re
vincitore. ì Conseguenza di questi
riconoscimenti e vittorie è la ricchezza che
affluisce. Il primo segno di benessere è lo
splendore del giardino in una città.
L'abbondanza del legname (v 13) ci riporta alla
bellezza e all'abbondanza del tempo di Salomone
che, allora, aveva utilizzato il legno delle
foreste del Libano per il tempio ed ora lo
stesso legname può essere utilizzato per la
città. |
Eb 13,
15-17.20-21 Fratelli, per mezzo di
Gesù offriamo a Dio continuamente un sacrificio di lode, cioè il
frutto di labbra che confessano il suo nome. Non dimenticatevi
della beneficenza e della comunione dei beni, perché di tali
sacrifici il Signore si compiace. Obbedite ai vostri capi e
state loro sottomessi, perché essi vegliano su di voi e devono
renderne conto, affinché lo facciano con gioia e non
lamentandosi. Ciò non sarebbe di vantaggio per voi. Il Dio della
pace, che ha ricondotto dai morti il Pastore grande delle
pecore, in virtù del sangue di un’alleanza eterna, il Signore
nostro Gesù, vi renda perfetti in ogni bene, perché possiate
compiere la sua volontà, operando in voi ciò che a lui è gradito
per mezzo di Gesù Cristo, al quale sia gloria nei secoli dei
secoli. Amen. Eb. 13, 15-17. 20-21 Alla
conclusione della "Lettera agli ebrei" l'autore è consapevole di
aver operato, scritto e insegnato con coerenza e amore ai suoi
destinatari. Vuole lasciare alcuni ultimi sintetici messaggi che
riescano a richiamare ciò che ha sviluppato lungamente. Perciò
ci distacchiamo dal culto, che risale a Mosè, ed agli animali
sacrificati. Ora il culto più profondo nasce dal cuore ed è un
sacrificio di lode, carico del riconoscimento di Dio e della
fede maturata attraverso Gesù. Da questa fede nascono alcune
convinzioni che hanno lo spessore del dono a Dio: "la
beneficenza e il mettere in comune ciò che si ha" (v 16). Lo
sforzo e l'impegno per la coesione interna della comunità
suppongono obbedienza, partecipazione e solidarietà con i
responsabili (capi e guide) poiché compiono un compito
difficile, gravoso e spesso faticoso, soprattutto quando non
trovano collaborazione ma diffidenza. Ma ci si rende conto che
una comunità deve saper sostenere la fatica e lo sforzo
dell'unità. Il testo di oggi conclude con un augurio di pace che
si appoggia a colui che è fonte di grazia e fonte di
consolazione: il Dio della pace, che ci è stato comunicato da
Gesù, e che ha rinnovato una Alleanza eterna. Egli saprà dare
sufficiente forza a ciascuno di noi perché, nel mondo, compiamo
ciò che è gradito a Lui. C'è sempre un collegamento stretto tra
l'assemblea in cui Dio si riconosce Alleato, la presenza
dell'amore di Gesù che rende eterno e incommensurabile questo
incontro, l'operosità di amore nel mondo, la testimonianza e la
gioia profonda di un cammino fiducioso.
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Lc
6, 43-48 In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: «Non vi è
albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo
che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto:
non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. L’uomo
buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal
suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che
dal cuore sovrabbonda. Perché mi invocate: “Signore, Signore!” e non fate
quello che dico? Chiunque viene a me e ascolta le mie parole e le mette in
pratica, vi mostrerò a chi è simile: è simile a un uomo che, costruendo una
casa, ha scavato molto profondo e ha posto le fondamenta sulla roccia. Venuta
la piena, il fiume investì quella casa, ma non riuscì a smuoverla perché era
costruita bene». Luca 6, 43-48 Siamo, con il vangelo di
Luca, nella lettura parallela del discorso "sulle beatitudini" riportato da
Matteo (capp 5-7). Si riscontrano tuttavia alcune differenze, date dal
contesto per cui l'evangelista scrive. Matteo ha davanti un popolo di poveri
che è assetato della Parola nuova di Dio e il continuo sguardo critico dei
farisei, dotti e diffidenti, anzi avversari accaniti di Gesù per i loro
presupposti che li rende assolutamente incapaci di accettare Gesù. Luca
invece si preoccupa della sua comunità che vive in una cultura greca e che è,
certamente, costituita da discepoli e che, tuttavia, almeno alcuni,
mantengono difetti e rigidità proprie di persone superficiali. Se
riprendessimo la lettura del Vangelo di oggi al versetto 39: "Può forse un
cieco guidare un altro cieco?", scopriremmo che Luca fa una profonda ricerca,
analizzando i limiti della sua comunità, ma con la speranza di aiutare a
crescere. I difetti, che emergono tra i credenti, dice Luca, ci fanno
scoprire ciechi alla misericordia (v 39), presuntuosi (v 40), duri nel
valutare gli altri e indulgenti verso se stessi (v 41), sicuri di non aver
bisogno del perdono (v 42). Così ci viene posto il problema di un esame di
coscienza da fare su noi stessi e, nonostante Luca utilizzi la stessa
similitudine di Gesù sul costruire la casa, pone accenti diversi. Matteo ci
dice che la bontà o meno di una persona si valuta dai frutti. Luca pone il
problema di ciò che si insegna sul fare. In fondo, Luca vuol fare una
verifica per i maestri che insegnano ed hanno responsabilità nella Comunità
cristiana. Non basta avere fede, non basta pregare dicendo "Signore,
Signore". E' necessario fare quello che Gesù vuole. E' il messaggio che
offre. Ma come so che quello che offro è buono o cattivo? Debbo verificare le
fondamenta del mio vivere e rendermi conto se le appoggio alla roccia, avendo
prima faticosamente scavato fino ad arrivarvi. In altri termini, ciò che
insegno deve nascere dal cuore. Ma quello che mi nasce dal cuore, si misura
veramente sulla Parola del Signore e sulla sua volontà? In questi mesi
stiamo, con sorpresa, seguendo i messaggi e le parole di Papa Francesco.
Scopriamo che in lui ci sono una grande libertà e una grande consapevolezza.
Ma ci ricorda continuamente, e nessuno lo può negare, che le sue parole si
ricollegano con semplicità e profondità alle scelte di Gesù, scombinandoci le
immagini di grandezza, di pienezza e di potere, di ostentazione, di sfoggio,
di sontuosità e di sfarzo che molte volte lo ritenevamo dovuto per un Papa. |