 IV Domenica dopo il martirio di San Giovanni il Precursore
22 settembre 2019
Giovanni 6, 51-59
Riferimentri : Pr 9, 1-6 - Sal 33 - 1Cor 10, 14-21 |
Gustate e vedete com’è buono il Signore Benedirò
il Signore in ogni tempo, sulla mia bocca sempre la sua lode. Io
mi glorio nel Signore: i poveri ascoltino e si rallegrino.
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Pr 9, 1-6 La sapienza si è
costruita la sua casa, ha intagliato le sue
sette colonne. Ha ucciso il suo bestiame, ha
preparato il suo vino e ha imbandito la sua
tavola. Ha mandato le sue ancelle a proclamare
sui punti più alti della città: «Chi è inesperto
venga qui!». A chi è privo di senno ella dice:
«Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino
che io ho preparato. Abbandonate l’inesperienza
e vivrete, andate diritti per la via
dell’intelligenza». Proverbi.
9, 1-6 Dopo aver sviluppato una lunga
introduzione alla raccolta dei detti
sapienziali, attribuiti a Salomone, re sapiente
di Israele (sec X), incontriamo, a modo di
parabola, due donne che rappresentano la
Sapienza e la Follia. Già in precedenza,
l'autore ne ha parlato, ma qui colloca le due
donne nella loro casa, aperta ad ogni persona,
invitata ad incontrare colei che può dare
felicità e gusto della vita. Nel testo di oggi
viene ricordata la casa ed il profilo della
Sapienza. Un casa splendida con sette colonne
che ricordano la stabilità e la perfezione: le
colonne erano solo nelle case nobili per poter
avere sale spaziose e protette, il numero sette
richiama lo splendore e la completezza. La
tavola è imbandita e, dai punti più alti della
città, viene proclamato il messaggio ad ogni
persona. Le ancelle, poi, vanno per le strade ad
incoraggiare gli inesperti e chi si rende contro
di mancare di intelligenza e di preparazione
nella vita. Perciò il messaggio e l'invito
valgono per tutti, ma, prima di tutti, sono
invitati quelli che hanno bisogno e sono poveri
di comprensione. Anche Donna Follia ha imbandito
un banchetto (9,13-18). Essa però non va in
cerca, ma "sta seduta alla porta di casa, su un
trono in luogo alto della città" e invita gli
stessi passanti, rintracciati dalle ancelle
della Sapienza: "gli inesperti e i privi di
senno". La Sapienza offre da mangiare il pane e
da bere il vino. La Follia non ha vino (il vino
è la gioia messianica) ma acqua: "le acque
furtive sono dolci" e il pane gustoso perché
"preso di nascosto" ( si gioca sul gusto del
proibito). La Sapienza incoraggia a istruire ed
educare, tenendo presente che "principio della
Sapienza è il Timore del Signore". Timore del
Signore non è la paura ma la consapevolezza che
bisogna evitare il male, la stessa impressione
che ci viene se sporchiamo il mondo, inquiniamo
il terreno, mentre abbiamo maturato il rispetto
del creato. Il timore di Dio è il timore di
offendere, disgustare, rovinare, disprezzare ciò
che vale.

Sinagoga di Cafarnao
dove Gesu fece il discorso
del "pane" |
1Cor 10, 14-21 Miei cari, state
lontani dall’idolatria. Parlo come a persone intelligenti.
Giudicate voi stessi quello che dico: il calice della
benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il
sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse
comunione con il corpo di Cristo? Poiché vi è un solo pane, noi
siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo
all’unico pane. Guardate l’Israele secondo la carne: quelli che
mangiano le vittime sacrificali non sono forse in comunione con
l’altare? Che cosa dunque intendo dire? Che la carne sacrificata
agli idoli vale qualcosa? O che un idolo vale qualcosa? No, ma
dico che quei sacrifici sono offerti ai demòni e non a Dio. Ora,
io non voglio che voi entriate in comunione con i demòni; non
potete bere il calice del Signore e il calice dei demòni; non
potete partecipare alla mensa del Signore e alla mensa dei
demòni. 1 Corinzi. 10, 14-21 Nella sua
prima lettera ai Corinzi, Paolo unisce insieme verità di fede e
suggerimenti pastorali. E' un attento osservatore dei fatti
della vita quotidiana e suggerisce che i credenti si convertano
alla vita e alla Parola di Gesù. La fede, infatti, comporta uno
stile di vita coerente con le sue scelte ed obbliga ad una
revisione non solo i pagani, che si sono convertiti, ma lo
stesso popolo d'Israele, legato alla legge di Mosè. Un problema
pastorale, per noi curioso, è già stato iniziato al cap.8: ci si
interroga sul proprio comportamento in rapporto con la carne
comprata al mercato o la carne utilizzata da parenti che non
sono cristiani e che hanno invitato a mangiare a casa loro amici
e parenti cristiani. Il problema si pone perché tutta la carne,
anche quella in vendita sul mercato, proviene da sacrifici
offerti agli idoli. Paolo sviluppa alcune riflessioni
teologiche. In fondo gli dei pagani non esistono e quindi il
mangiare carne offerta agli idoli è inoffensivo. Ma d'altro lato
l'adesione a pratiche idolatre suppongono la fede non tanto in
Dio ma ad un antagonista di Dio che perciò è un demonio. In
conclusione, se i cristiani non debbono partecipare al culto
degli idoli, tuttavia non sono obbligati ad indagare su
eventuali operazioni cultuali precedenti, qualora siano stati
invitati ad un banchetto. Se non sanno la provenienza della
carne, non si preoccupino. Se invece ne sono consapevoli, allora
se ne astengano, soprattutto se la segnalazione viene da un
fratello o una sorella nella fede, per non offendere la
debolezza della fede di qualcuno che potrebbe scandalizzarsi
(10,23-32). Ma, riprendendo la problematica del capitolo 8,
Paolo si preoccupa che non si ritorni alla idolatria.
Partecipare ai banchetti idolatrici fa conseguire una vicinanza
con la divinità che l'idolo rappresenta: attraverso il cibo noi
costituiamo un incontro, una presenza del divino nel fedele.
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Gv 6, 51-59 In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «Io sono il pane
vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il
pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Allora i Giudei si
misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne
da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non
mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete
in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita
eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero
cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio
sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me
e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è
il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e
morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno». Gesù disse queste cose,
insegnando nella sinagoga a Cafàrnao. Giovanni 6, 51-59 Leggiamo,
oggi, un brano del lungo discorso che Gesù pronuncia nella sinagoga di
Cafarnao, il giorno dopo che è stato spezzato il pane per 5000 persone al di
là del lago. La gente ha tentato di sequestrarlo per farlo re, poiché hanno
ritenuto che, miracolosamente, questo anonimo profeta Galileo possa risolvere
con la sua potenza tutti i loro problemi. E' sfuggito loro di mano, l'hanno
cercato tutta la notte, sono tornati alla riva opposta, a Cafarnao e lo
trovano nella sinagoga il giorno dopo. La prima domanda che viene spontanea:
"Rabbi, quando sei venuto qui?" E Gesù risponde chiarendo loro il senso della
loro ricerca che è una ricerca ambigua e che debbono verificare la fede: «In
verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei
segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da
fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita
eterna e che il Figlio dell'uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha
messo il suo sigillo» (6,26-27). Così tutto il capitolo è il tentativo di
Gesù di aiutare a scoprire il segno che essi hanno visto nella potenza di
sfamare ma che hanno equivocato. Essi, infatti, hanno bisogno di sfamarsi del
pane vero.E Gesù vuol fare loro capire la sua identità, presentandosi come
"pane della vita, disceso dal cielo (6,33-35). A questo punto ci si ritrova
con una reazione abbastanza scontata, frutto della loro delusione e della
loro sorpresa: "Chi credi di essere?" (6,42) Gesù non aggiusta la sua
risposta sulle attese o sulla comprensione dei suoi interlocutori ma carica
la dose: "Il pane da mangiare non è solo la sua dottrina ma la sua carne".
Nella Bibbia "il Dio che si fa carne" (Gv1,14) significa che si deve
riconoscere la sua povertà e limitatezza e che si rivela attraverso un
galileo, vissuto in una famiglia semplice e conosciuta, figlio di Giuseppe il
carpentiere. Ma la domanda continua sconcertata: "Come possiamo mangiare una
persona?" Gesù parla anche di "bere il suo sangue" (6,52). In Israele è
severamente proibito bere il sangue di una animale perché la vita degli
animali e ancor più la vita delle persone è nel sangue e la vita dell'uomo e
degli animali appartiene a Dio (Lev17,10-11).
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