 V Domenica di Quaresima
3 aprile 2022
Gv 11, 1-53
Riferimenti : Dt 6, 4a; 26, 5-11 - salmo 104 - Rm 1,
18-23a |
Lodate il Signore, invocate il suo nome.Rm 1,
18-23a Rendete grazie al Signore e invocate il suo nome,
proclamate fra i popoli le sue opere. A lui cantate, a lui
inneggiate, meditate tutte le sue meraviglie. |
Dt 6, 4a; 26, 5-11 In quei
giorni. Mosè disse: «Ascolta, Israele: tu
pronuncerai queste parole davanti al Signore,
tuo Dio: “Mio padre era un Arameo errante; scese
in Egitto, vi stette come un forestiero con poca
gente e vi diventò una nazione grande, forte e
numerosa. Gli Egiziani ci maltrattarono, ci
umiliarono e ci imposero una dura schiavitù.
Allora gridammo al Signore, al Dio dei nostri
padri, e il Signore ascoltò la nostra voce, vide
la nostra umiliazione, la nostra miseria e la
nostra oppressione; il Signore ci fece uscire
dall’Egitto con mano potente e con braccio teso,
spargendo terrore e operando segni e prodigi. Ci
condusse in questo luogo e ci diede questa
terra, dove scorrono latte e miele. Ora, ecco,
io presento le primizie dei frutti del suolo che
tu, Signore, mi hai dato”. Le deporrai davanti
al Signore, tuo Dio, e ti prostrerai davanti al
Signore, tuo Dio. Gioirai, con il levita e con
il forestiero che sarà in mezzo a te, di tutto
il bene che il Signore, tuo Dio, avrà dato a te
e alla tua famiglia». Deut. 26,
5-11 Mosè suggerisce una sintesi della storia
d'Israele che diventi consapevolezza e memoria
di ogni israelita, iniziando dalla
consapevolezza di una origine umile e povera:
"Mio padre era un Arameo errante". Quando
ciascun ebreo deve richiamare la propria
identità, non dimenticherà mai di essere poi
parte di un popolo che il Signore ha voluto, ha
liberato, ha condotto in uno spazio proprio e
gli ha dato consapevolezza di aver ricevuto
terra e doni della terra: frutti e animali che
sono il risultato di una predilezione e di una
benedizione. I doni sono gratuiti, perciò
suppongono alcune clausole di gradimento. Sono
di ciascuno, ma le primizie vanno offerte: il
ricevere deve aprire il cuore per poter
riconoscere, gradire e offrire. I doni, poi,
che dovranno essere elemento di gioia e di
ringraziamento, vanno vissuti e condivisi. Si
ricordano due categorie di persone che non hanno
la possibilità facile di possedere: i leviti e i
forestieri. I leviti sono discendenti di Levi,
uno dei figli di Giacobbe. Sono collegati,
spesso ai sacerdoti, ma hanno funzioni distinte.
I sacerdoti nel tempio sacrificano a Dio e
offrono incenso. I leviti svolgono compiti di
servitori, organizzatori degli aspetti esterni
del culto e cantori. Pur parlando di 48 città
affidate ai leviti, essi non possiedono e quindi
vivono di carità, ricevendo dagli altri ebrei la
possibilità di vivere. La stessa cosa va detta
per gli stranieri che hanno spesso una
precarietà di lavoro. Perciò il popolo, che
possiede e che porta l'offerta al Signore, deve
mantenere la memoria di questa rivoluzione
storica che il popolo ha vissuto e di cui è
consapevole e ringrazia. Va ricostituita la
gioia piena della liberazione insieme con il
levita e il forestiero. Così, alla fine,
sicuramente ci si contrappone alla schiavitù,
alla solitudine, all'abbandono. Le risorse
ricevute, e che vengono offerte nella gioia,
possano essere partecipate anche alla realtà
povera.
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Rm 1, 18-23a Fratelli, l’ira di
Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia
di uomini che soffocano la verità nell’ingiustizia, poiché ciò
che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha
manifestato a loro. Infatti le sue perfezioni invisibili, ossia
la sua eterna potenza e divinità, vengono contemplate e comprese
dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute.
Essi dunque non hanno alcun motivo di scusa perché, pur avendo
conosciuto Dio, non lo hanno glorificato né ringraziato come
Dio, ma si sono perduti nei loro vani ragionamenti e la loro
mente ottusa si è ottenebrata. Mentre si dichiaravano sapienti,
sono diventati stolti e hanno scambiato la gloria del Dio
incorruttibile con un’immagine e una figura di uomo
corruttibile. Rm 1, 18-23a Paolo si rifà
alla esperienza del suo popolo e riscopre che l'intervento di
Dio si sviluppa, inizialmente, nella sua ira per l'empietà
raggiunta. E' la reazione di Dio che è giusto e vuole un mondo
giusto e buono. Ma l'ira di Dio può essere considerata un
preludio necessario alla salvezza. Tutti gli uomini sono
peccatori, e Paolo stabilisce una situazione generale: essi, pur
avendo una conoscenza iniziale di Dio attraverso le opere - la
natura per i pagani gl'interventi nella storia per gli ebrei-
non hanno agito di conseguenza e hanno smarrito quel barlume
iniziale di sapienza, cadendo nella immoralità e nella
idolatria. Dio, pur nella sua invisibilità e inaccessibilità dei
suoi attributi, si rende visibile "per mezzo delle opere da lui
fatte", sia dalle creature del mondo sia dai fatti di
liberazione verso il popolo di Dio nella storia. Gli attributi
di Dio che generano opere particolarmente significative sono "la
sua eterna potenza e divinità" che muovono il creato e hanno
liberato il popolo d'Israele. Il non saper intravedere questa
formidabile presenza e armonia nel mondo rende gli uomini
"inescusabili" poiché non lo hanno "glorificato né ringraziato
come Dio". Sono diventati stolti poiché non hanno saputo
approfondire questa presenza e si sono fermati a "figure di
uomini corruttibili". Il messaggio arriva anche a noi, nella
sua drammaticità. Paolo lamenta che non si sviluppa né si matura
il senso delle cose, ci si ferma all'immediato, alla vanità,
alle apparenze e non si verifica ciò che conta davvero. In
tal modo non si scopre la profondità e non si sa ringraziare
veramente e gioire della pienezza e della grandezza.
Iniziando da qui, si può riprendere a rileggere i segni dei
tempi che si susseguono nel tempo, segni anonimi per chi non li
sa guardare e interpretare, segni non firmati eppure proposti
dal Signore per chi li vuole leggere.
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Gv 11, 1-53 In quel tempo.
Un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella,
era malato. Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò
i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. Le sorelle
mandarono dunque a dirgli: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato».
All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è
per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga
glorificato». Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. Quando sentì che era
malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. Poi disse ai
discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». I discepoli gli dissero: «Rabbì,
poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?». Gesù rispose:
«Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non
inciampa, perché vede la luce di questo mondo; ma se cammina di notte,
inciampa, perché la luce non è in lui». Disse queste cose e poi soggiunse
loro: «Lazzaro, il nostro amico, si è addormentato; ma io vado a svegliarlo».
Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se si è addormentato, si salverà».
Gesù aveva parlato della morte di lui; essi invece pensarono che parlasse del
riposo del sonno. Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto e io
sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma
andiamo da lui!». Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse agli altri
discepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!». Quando Gesù arrivò, trovò
Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. Betània distava da
Gerusalemme meno di tre chilometri e molti Giudei erano venuti da Marta e
Maria a consolarle per il fratello. Marta dunque, come udì che veniva Gesù,
gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù:
«Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora
so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». Gesù le
disse: «Tuo fratello risorgerà». Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella
risurrezione dell’ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e
la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me,
non morirà in eterno. Credi questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo
che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo». Dette
queste parole, andò a chiamare Maria, sua sorella, e di nascosto le disse:
«Il Maestro è qui e ti chiama». Udito questo, ella si alzò subito e andò da
lui. Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta
gli era andata incontro. Allora i Giudei, che erano in casa con lei a
consolarla, vedendo Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, pensando
che andasse a piangere al sepolcro. Quando Maria giunse dove si trovava Gesù,
appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: «Signore, se tu fossi stato
qui, mio fratello non sarebbe morto!». Gesù allora, quando la vide piangere,
e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente
e, molto turbato, domandò: «Dove lo avete posto?». Gli dissero: «Signore,
vieni a vedere!». Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: «Guarda
come lo amava!». Ma alcuni di loro dissero: «Lui, che ha aperto gli occhi al
cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?». Allora Gesù, ancora
una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e
contro di essa era posta una pietra. Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli
rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore: è lì
da quattro giorni». Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai
la gloria di Dio?». Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e
disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai
sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano
che tu mi hai mandato». Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni
fuori!». Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto
da un sudario. Gesù disse loro: «Liberàtelo e lasciàtelo andare». Molti dei
Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto,
credettero in lui. Ma alcuni di loro andarono dai farisei e riferirono loro
quello che Gesù aveva fatto. Allora i capi dei sacerdoti e i farisei
riunirono il sinedrio e dissero: «Che cosa facciamo? Quest’uomo compie molti
segni. Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui, verranno i
Romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra nazione». Ma uno di
loro, Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno, disse loro: «Voi non capite
nulla! Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia
per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!». Questo però non lo
disse da se stesso, ma, essendo sommo sacerdote quell’anno, profetizzò che
Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche
per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. Da quel giorno dunque
decisero di ucciderlo. Gv. 11,1-53 Lazzaro, un amico di
Gesù, gravemente malato, sta per morire. Il suo nome significa "Dio aiuta";
ma non sembra che ci sia speranza, tanto più che Gesù, che pur lo ama, appena
avvisato della malattia, si trattiene ancora due giorni là dove si trova, a
est del Giordano. Ci si aspetterebbe che Gesù si precipiti a guarirlo e
invece il messaggio che Gesù offre è quello che l'amore del Signore non evita
i passi difficili della vita, ma aiuta a rileggerli in una prospettiva nuova,
piena di speranza. Su un piano esclusivamente umano, ci si trova però in una
conclusione senza speranza, perché Gesù giunge dopo quattro giorni, quando
non v'è più possibilità che l'anima del defunto si aggiri ancora nei pressi
del cadavere (massimo tre giorni, pensano i rabbini). E poiché c'è il fetore
dalla tomba, non si può parlare di morte apparente. Il
testo è complesso e l'interpretazione va dalla restituzione di Lazzaro alla
sua famiglia alla restituzione della vita nuova a Lazzaro che giunge, già
ora, alla pienezza della vita di Dio, andando dove il Padre destina i suoi
amici. Gesù è riconosciuto come colui che porta la
vita e la offre a chi crede. Ma è anche colui che, per rigenerare nella vita
il mondo, deve passare lui stesso attraverso la morte (11,53). e
scene più importanti e i dialoghi aprono gli orizzonti delle attese e
interpellano Gesù sulla morte. - Nel dialogo tra Marta e Gesù,
l'attaccamento e la fiducia di Marta si spalancano sulla fede nuova, ma ella
non riesce a seguire Gesù fino in fondo, pur pronunciando l'atto di fede
della comunità dei cristiani: "Credo che Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio
che deve venire in questo mondo". Ma non è la fede piena del credente, quanto
piuttosto la fede dell'ebreo che attende il Messia (per il mondo ebraico
"Figlio di Dio" ha ancora il significato di "giusto, santo, prediletto da
Dio" e non il significato trinitario di cui noi cristiani lo abbiamo
caricato). - Il dialogo-monologo di Gesù di fronte al sepolcro si svolge
davanti agli operai che devono togliere la pietra, davanti alle sorelle, ai
discepoli ed agli amici venuti da Gerusalemme. Gesù si rivolge al Padre,
ringraziandolo "perché mi hai ascoltato". A questo punto il grido di Gesù è
il grido della forza di Dio di fronte al male ed alla morte: "Lazzaro, vieni
fuori". Con questo segno Gesù mostra di poter donare la vita e di esserne la
fonte, capace di una vita che inizia già ora e non finisce, anche se deve
attraversare il passo difficile della morte. Ci troviamo di fronte ad un
testo di grande valore battesimale. Siamo diventati figli di un popolo che
lotta e vince contro la morte come Gesù e intercede per coloro che soffrono e
sono incatenati dalle paure, dalle disavventure, dalle tragedie, dalla
ingiustizia del mondo. Il Signore ci chiede di intercedere presso il Padre e
di non avere paura e di essere sicuri che egli sa interpretare, capire e
soccorrere colui che, per rigenerare nella vita il mondo, deve passare lui
stesso attraverso la morte (11,53). Le scene più importanti e i
dialoghi aprono gli orizzonti delle attese e interpellano Gesù sulla morte.
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