 VI Domenica dopo l'Epifania
13 febbraio 2022
Lc 17, 11-19
Riferimenti : Is 56, 1-8 -
Sal 66
- Rm 7, 14-25a |
Popoli tutti, lodate il Signore! Dio abbia pietà di
noi e ci benedica, su di noi faccia splendere il suo volto;
perché si conosca sulla terra la tua via,la tua salvezza fra
tutte le genti.
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Is 56, 1-8 In quei giorni. Così dice il
Signore: «Osservate il diritto e praticate la
giustizia, perché la mia salvezza sta per
venire, la mia giustizia sta per rivelarsi».
Beato l’uomo che così agisce e il figlio
dell’uomo che a questo si attiene, che osserva
il sabato senza profanarlo, che preserva la sua
mano da ogni male. Non dica lo straniero che ha
aderito al Signore: «Certo, mi escluderà il
Signore dal suo popolo!». Non dica l’eunuco:
«Ecco, io sono un albero secco!». Poiché così
dice il Signore: «Agli eunuchi che osservano i
miei sabati, preferiscono quello che a me piace
e restano fermi nella mia alleanza, io concederò
nella mia casa e dentro le mie mura un monumento
e un nome più prezioso che figli e figlie; darò
loro un nome eterno che non sarà mai cancellato.
Gli stranieri, che hanno aderito al Signore per
servirlo e per amare il nome del Signore, e per
essere suoi servi, quanti si guardano dal
profanare il sabato e restano fermi nella mia
alleanza, li condurrò sul mio monte santo e li
colmerò di gioia nella mia casa di preghiera. I
loro olocausti e i loro sacrifici saranno
graditi sul mio altare, perché la mia casa si
chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli».
Oracolo del Signore Dio, che raduna i dispersi
d’Israele: «Io ne radunerò ancora altri, oltre
quelli già radunati».
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Rm 7, 14-25a Fratelli, sappiamo che la Legge
è spirituale, mentre io sono carnale, venduto come schiavo del
peccato. Non riesco a capire ciò che faccio: infatti io faccio
non quello che voglio, ma quello che detesto. Ora, se faccio
quello che non voglio, riconosco che la Legge è buona; quindi
non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. Io so
infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene: in
me c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo;
infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non
voglio. Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a
farlo, ma il peccato che abita in me. Dunque io trovo in me
questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a
me. Infatti nel mio intimo acconsento alla legge di Dio, ma
nelle mie membra vedo un’altra legge, che combatte contro la
legge della mia ragione e mi rende schiavo della legge del
peccato, che è nelle mie membra. Me infelice! Chi mi libererà da
questo corpo di morte? Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù
Cristo nostro Signore!
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Lc 17, 11-19 In quel tempo.
Lungo il cammino verso Gerusalemme, il Signore Gesù attraversava la Samaria e
la Galilea. Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi,
che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi
pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai
sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. Uno di loro, vedendosi
guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù,
ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: «Non ne
sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato
nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo
straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!». Lc
17, 11-19 Il miracolo di Gesù è a favore delle persone più escluse dalla
società civile e religiosa. La legislazione del tempo era rigidissima e
minuziosa riguardo ai lebbrosi (Lev 13-14), considerati impuri, maledetti,
castigati da Dio con il peggior flagello. Erano obbligati a vivere separati
dalla famiglia, fuori dei villaggi, e a gridare ai passanti di tenersi
lontani da loro. Gesù, con il suo miracolo, capovolge quella mentalità
escludente: nei tempi nuovi la salvezza di Dio è offerta a tutti, senza
alcuna esclusione di persone. I lebbrosi non sono dei maledetti. Anzi la loro
guarigione diventa segno della presenza del Regno: il fatto che "i lebbrosi
sono purificati" (Mt 11,5; Lc 7,22) è un chiaro segno che il Messia è
presente e all'opera, come Gesù segnala agli inviati dell'amico Giovanni
Battista in carcere. Fin dall'inizio della sua vita pubblica, Gesù sente
compassione, tende la mano, tocca un lebbroso e lo guarisce (Mc 1,40-42). Il
progetto di Dio non è mai escludente, ma è inclusione, comunione,
aggregazione, condivisione. Questa apertura si manifesta anche nella
guarigione di un lebbroso straniero, Naamàn (I lettura), comandante
dell'esercito del re di Aram (Siria). Dei dieci lebbrosi, nove erano
giudei e uno era samaritano. Tutti sono ugualmente guariti da Gesù, ma non
tutti ottengono la salvezza piena. "L'episodio in esame ci dice che non
sempre la guarigione fisica diviene salvezza definitiva... I nove giudei
continuano il loro itinerario verso il tempio per reintegrarsi nella vita
civile e religiosa di Israele... Diversamente si comporta l'unico samaritano
del gruppo. Egli torna indietro da solo per ringraziare il maestro, perché
comprende che in Gesù può trovare qualcosa di nuovo e diverso da ciò che gli
offre la sua vecchia comunità di appartenenza... A lui Gesù offre una
salvezza maggiore della semplice salute fisica: «Alzati e va'; la tua fede ti
ha salvato!» (v. 19)... Il samaritano non si è affrettato verso il tempio
(come gli altri nove), ma è tornato da Gesù, «a rendere gloria a Dio» (v.
18), dimostrando, in tal modo, di comprendere che il Dio che salva non si
incontra e non si onora più nel tempio, bensì unendosi a Cristo"
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