
II Domenica dopo Pentecoste
19 giugno 2022
Matteo 6,25-33
Riferimenti : Sir 18, 1-2. 4-9a. 10-13b - Sal 135 - Rm 8, 18-25 |
Rendete grazie al Signore, il suo amore è per
sempre. Rendete grazie al Dio degli dèi, perché il suo amore è
per sempre. Rendete grazie al Signore dei signori, perché il suo
amore è per sempre. Lui solo ha compiuto grandi meraviglie,
perché il suo amore è per sempre. |
Sir 18, 1-2. 4-9a. 10-13b Colui
che vive in eterno ha creato l’intero universo.
Il Signore soltanto è riconosciuto giusto. A
nessuno è possibile svelare le sue opere e chi
può esplorare le sue grandezze? La potenza della
sua maestà chi potrà misurarla? Chi riuscirà a
narrare le sue misericordie? Non c’è nulla da
togliere e nulla da aggiungere, non è possibile
scoprire le meraviglie del Signore. Quando
l’uomo ha finito, allora comincia, quando si
ferma, allora rimane perplesso. Che cos’è
l’uomo? A che cosa può servire? Qual è il suo
bene e qual è il suo male? Quanto al numero dei
giorni dell’uomo, cento anni sono già molti.
Come una goccia d’acqua nel mare e un granello
di sabbia, così questi pochi anni in un giorno
dell’eternità. Per questo il Signore è paziente
verso di loro ed effonde su di loro la sua
misericordia. Vede e sa che la loro sorte è
penosa, perciò abbonda nel perdono. La
misericordia dell’uomo riguarda il suo prossimo,
la misericordia del Signore ogni essere vivente.
Siracide 18, 1-2. 4-9a. 10-13 Abbiamo letto
un bellissimo inno, che celebra la sapienza e la
grandezza di Dio, e viene dopo l'invito alla
conversione: "Ritorna al Signore e abbandona il
peccato, prega davanti a lui e riduci gli
ostacoli. Volgiti all'Altissimo e allontanati
dall'ingiustizia" (17,25-26). Il Signore è
misericordioso e la grandezza di Dio si mette a
confronto con la fragilità degli esseri umani. E
poiché Dio è grande, egli è ancor più
compassionevole e generoso. In questa attenzione
ad una umanità povera e tuttavia chiamata a
conoscere il vero Signore, si svolge il richiamo
della creazione. Ci troviamo così, tutti noi,
davanti alla sua misericordia, capace di
intrecciare l'universo e la nostra povera
generosità che, a malapena, riesce a perdonare
solo chi gli è più vicino. Si risente
l'influsso della cultura greca che l'autore
conosce, ma ancor più della cultura ebraica che
valorizza e ama, rivelatrice di rapporti
impensabili tra i popoli pagani. L'autore del
libro: "Gesù, figlio di Sira", e quindi
Siracide, è stato detto anche Ecclesiastico (dal
"libro da leggere nell'assemblea") ha,
probabilmente, scritto questo libro nei primi
decenni del II sec. a.C., destinandolo agli
Ebrei che sperimentano, nella loro terra, la
dominazione della cultura greca dei Tolomei
prima e dei Seleucidi dopo. Composto
originariamente in lingua ebraica, il Siracide
si è conservato completo soltanto nella versione
greca. E quindi, proprio per la sua diffusione
in lingua greca, non lo si è riconosciuto nella
Bibbia ebraica. Perciò è detto
"deuterocanonico", presente solo nell'elenco dei
libri, riconosciuti ispirati, dei cattolici. Non
è presente nell'elenco ebraico, né nell'elenco
delle confessioni cristiane protestanti. C'è
la meraviglia di una presenza di popolo che il
Signore ha scelto e che sa intravedere le opere
di Dio che, però, non si possono né misurare né
raccontare. E tuttavia, da questa penetrazione
sapiente nasce l'interrogativo fondamentale
della nostra intelligenza: chi siamo noi, a che
cosa serve la nostra vita, quali sono i
significati e la differenza tra bene e male? (v
7).
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Rm 8, 18-25 Fratelli, ritengo che
le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla
gloria futura che sarà rivelata in noi. L’ardente aspettativa
della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei
figli di Dio. La creazione infatti è stata sottoposta alla
caducità – non per sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha
sottoposta – nella speranza che anche la stessa creazione sarà
liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella
libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo infatti che
tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto
fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie
dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a
figli, la redenzione del nostro corpo. Nella speranza infatti
siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se è visto, non è
più oggetto di speranza; infatti, ciò che uno già vede, come
potrebbe sperarlo? Ma, se speriamo quello che non vediamo, lo
attendiamo con perseveranza. Romani 8, 18-25
Il cap.18 contrappone la legge dello Spirito e la legge del
peccato e della carne. Coloro che sono in Cristo, sono uniti a
Lui che ha offerto la sua vita e che quindi, con la sua morte,
ha distrutto il nostro peccato e la nostra debolezza. Lo Spirito
di Gesù ha strutturato in noi una rettitudine morale di fronte a
Dio e ci ha offerto la vita di figli di Dio, costituendoci in
una rettitudine morale la cui pienezza si raggiungerà con la
risurrezione dei corpi. Così " Voi - dice Paolo rivolgendosi ai
cristiani di Roma - non avete ricevuto uno Spirito da schiavi
per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende
figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!». Lo
Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo
figli di Dio" (vv. 15-16). La fatica del vivere ed operare con
fiducia nella linea che Gesù ci offre, ci sarà ricompensata in
pienezza, anzi in sovrabbondanza. Non è paragonabile alla gloria
futura. Nel maturare questa attesa e questa presenza carica di
speranza e di novità su cui Cristo ci garantisce con la sua
vita, sentiamo che dalla nostra fedeltà dipende anche
l'aspettativa del creato. Si parla di uno strano destino e di
una misteriosa comunione tra noi e il creato attorno a noi. Per
il male che portiamo nel cuore anche il creato è stato travolto
e, come noi, aspettiamo la liberazione. Anche la realtà creata
attende una sua liberazione che la riporti allo splendore della
creazione, come è uscita dalle mani di Dio.

Il monte delle beatitudine |
Matteo 6,25-33 In quel tempo. Il Signore Gesù ammaestrava le folle
dicendo: «Io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che
mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la
vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli
uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai;
eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi
di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita?
E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del
campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con
tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l’erba
del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più
per voi, gente di poca fede? Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa
mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. Di tutte queste cose
vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete
bisogno. Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e
tutte queste cose vi saranno date in aggiunta». Matteo
6,25-33 Il brano, scelto oggi dalla liturgia, va letto iniziando dal
versetto precedente: "Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l'uno
e amerà l'altro, oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non
potete servire Dio e la ricchezza" (6,24). Gesù
infatti pone, prima di tutto, un riferimento sconcertante e drammatico. Ne va
di mezzo il senso della vita poiché essa non si misura su l'avere o non avere
un Dio come scelta e quindi tra religiosità o ateismo, ma si misura sulla
scelta comunque di un Dio, la scelta tra il Dio d'Israele o l'idolatria di un
altro Dio che è la ricchezza.. L'uomo non può vivere
senza riferimenti o dipendenza: il verbo "servire" va tradotto con Gesù con i
verbi: "amare, odiare, preferire, disprezzare". Bisogna scegliere chi servire
(e nel significato religioso significa ubbidire, decidere totalmente,
mettersi a disposizione). Se il testo traduce il
pensiero di Gesù in "non preoccupatevi", in realtà il significato è molto più
pesante, Si dovrebbe dire "non affannatevi: (il verbo greco, nel brano, è
ripetuto 6 volte e, a dire il vero, significa letteralmente "non andate in
pezzi"), preceduto, come abbiamo visto, dalla riflessione sulla scelta tra
Dio e la ricchezza. Nella lingua di Gesù il danaro viene chiamato "Mammona".
E indica, fondamentalmente, ciò che si possiede, i beni. La cosa curiosa è la
radice di questa parola, in ebraico, "aman" (come il nostro Amen); vuol dire
"stare saldo, cercare appoggio". Perciò mi affido, mi appoggio, trovo
garanzia nel possedere. Ma Gesù dice: "Facilmente ciò che possiedi si
trasforma e passa, da mezzo che dà fiducia e sostegno, a potenza, unica
realtà importante, un Dio a cui tutto rivolgi e a cui dedichi la tua vita".
Se il nostro Dio è il Padre di Gesù, allora tutti gli uomini e tutte
le donne non mi sono estranee, ma mi sono fratelli e sorelle con cui
condividere cammini, competenze, vita, possibilità e scoperte. Se il Dio da
cui dipendo è la ricchezza e quindi i beni che possiedo e che accumulo nel
mio affannarmi, allora gli altri diventano o servi da sfruttare perché mi
garantiscano o ladri che mi derubano e che rifiuto e maledico.
La tentazione si fa esigente e angosciante. Mi trovo a servire un
idolo che metto al livello di un unico Dio.
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