
III Domenica dopo Pentecoste
26 giugno 2022
Mt 1, 20b-24b
Riferimento : Gen 3, 1-20Sal 129 Romani 5, 18-21 |
Il Signore è bontà e misericordia. Dal profondo
a te grido, o Signore; Signore, ascolta la mia voce. Siano i
tuoi orecchi attenti alla voce della mia supplica.
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Gen 3, 1-20 In quei giorni. Il
serpente era il più astuto di tutti gli animali
selvatici che Dio aveva fatto e disse alla
donna: «È vero che Dio ha detto: “Non dovete
mangiare di alcun albero del giardino”?».
Rispose la donna al serpente: «Dei frutti degli
alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma
del frutto dell’albero che sta in mezzo al
giardino Dio ha detto: “Non dovete mangiarne e
non lo dovete toccare, altrimenti morirete”». Ma
il serpente disse alla donna: «Non morirete
affatto! Anzi, Dio sa che il giorno in cui voi
ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e
sareste come Dio, conoscendo il bene e il male».
Allora la donna vide che l’albero era buono da
mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile
per acquistare saggezza; prese del suo frutto e
ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era
con lei, e anch’egli ne mangiò. Allora si
aprirono gli occhi di tutti e due e conobbero di
essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se
ne fecero cinture. Poi udirono il rumore dei
passi del Signore Dio che passeggiava nel
giardino alla brezza del giorno, e l’uomo, con
sua moglie, si nascose dalla presenza del
Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino.
Ma il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse:
«Dove sei?». Rispose: «Ho udito la tua voce nel
giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi
sono nascosto». Riprese: «Chi ti ha fatto sapere
che sei nudo? Hai forse mangiato dell’albero di
cui ti avevo comandato di non mangiare?».
Rispose l’uomo: «La donna che tu mi hai posto
accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho
mangiato». Il Signore Dio disse alla donna: «Che
hai fatto?». Rispose la donna: «Il serpente mi
ha ingannata e io ho mangiato». Allora il
Signore Dio disse al serpente: «Poiché hai fatto
questo, maledetto tu fra tutto il bestiame e fra
tutti gli animali selvatici! Sul tuo ventre
camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni
della tua vita. Io porrò inimicizia fra te e la
donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa
ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il
calcagno». Alla donna disse: «Moltiplicherò i
tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore
partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo
istinto, ed egli ti dominerà». All’uomo disse:
«Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e
hai mangiato dell’albero di cui ti avevo
comandato: “Non devi mangiarne”, maledetto il
suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il
cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e
cardi produrrà per te e mangerai l’erba dei
campi. Con il sudore del tuo volto mangerai il
pane, finché non ritornerai alla terra, perché
da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in
polvere ritornerai!». L’uomo chiamò sua moglie
Eva, perché ella fu la madre di tutti i viventi.
Genesi. 3, 1-20 Il primo testo, che leggiamo
oggi, è tratto dai primi 11 capitoli del libro
della Genesi. Sono capitoli preziosissimi poiché
indicano l'inizio ed il sorgere della vita (capp
1-2), e quindi la storia di 5 generazioni da
Adamo ad Abramo (inizio del mondo ed inizio del
popolo d'Israele) in cui si consuma una
terribile degradazione dell'umanità, dovuta
all'arroganza dell'uomo che si ribella al
progetto di sviluppo e di crescita del Creatore
(capp 3-11). Con il cap. 12 compare nella
narrazione Abramo che inizia di nuovo la
speranza sulla Parola del Signore che lo chiama.
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Rm 5, 18-21 Fratelli, come per la
caduta di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la
condanna, così anche per l’opera giusta di uno solo si riversa
su tutti gli uomini la giustificazione, che dà vita. Infatti,
come per la disobbedienza di un solo uomo tutti sono stati
costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno solo
tutti saranno costituiti giusti. La Legge poi sopravvenne perché
abbondasse la caduta; ma dove abbondò il peccato, sovrabbondò la
grazia. Di modo che, come regnò il peccato nella morte, così
regni anche la grazia mediante la giustizia per la vita eterna,
per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore. Romani
5, 18-21 Secondo le usanze interpretative dei rabbini, Paolo
contrappone alla disobbedienza del primo uomo l'obbedienza del
Figlio di Dio. Nella sua obbedienza alla volontà del Padre, Gesù
ha giustificato l'umanità che Dio ha sempre amato, mentre essa
ha continuato a sentirsi lontana, imprigionata nella sua
condizione di peccato e di morte. L'opera di Gesù è giustizia e
conduce l'umanità nella pienezza della vita. Gesù ci ha
liberato dalla condanna, dal destino di una consunzione e di una
perdizione. Gesù ci ha liberato anche dalla Legge che ha
moltiplicato la coscienza del peccato. E tuttavia tale
consapevolezza non ha aiutato a liberarci. Piuttosto ci ha reso
sempre più certi di una nostra incapacità ad uscire dal tunnel
del rifiuto e dalla disperazione che ci rende improponibile il
cammino verso la giustizia. Paolo ne fa esperienza con la sua
puntigliosa aderenza alla legge nei tempi precedenti la sua
conversione. Egli ha vissuto in quella atmosfera di tensione
verso la totale ubbidienza alla legge e il disprezzo del popolo
che, rassegnato ed ignorante, non sa essere coerente alle
infinite sfumature della legge di Mosè. "Questa gente che non
conosce la legge è maledetta" (Gv7,49) dicono i farisei. Così,
nella tensione alla perfezione, anche Paolo ha disprezzato quel
"popolo maledetto", incapace di piena ubbidienza.
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Mt 1, 20b-24b In quel tempo. Apparve in sogno a Giuseppe un angelo
del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere
con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo
Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli
infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». Tutto questo è avvenuto
perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:
«Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il
nome di Emmanuele, che significa Dio con noi». Quando si destò dal sonno,
Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore.
Matteo 1,20b-24 Con questo testo di Vangelo ci troviamo alla conclusione
della riflessione iniziata con il peccato di Adamo ed Eva. L'umanità ha
peccato e non ha risorse né capacità né prospettive di risollevarsi. Ma Dio è
il Dio di amore e, se accetta di vedere un suo capolavoro lacerato e disperso
per la libertà che l'umanità si vuole gestire su interessi, voglie,
presunzioni, potenze, violenze e poteri, Egli continua ad inseguire e a
proporre progetti di vita e di speranza. Alla fine la salvezza verrà dal
grembo della sua pienezza, dal Figlio che manderà nel mondo. Il Figlio
accetta questo ruolo di uomo fedele, disarmato e amorevole. Il Figlio entra
nella cultura di un popolo, in una famiglia, in un corpo generato da donna,
nelle strutture del popolo che ha mantenuto il richiamo e ha custodito le
promesse. Il Vangelo di Matteo racconta sull'inizio di questa presenza
alcuni fatti che vanno letti come messaggi teologici più che come cronaca e
ci mettono sulle tracce di questa promessa che si sviluppa tra noi. Una
coppia di giovani sposi sta vivendo, secondo le usanze d'Israele, quell'anno
di attesa tra promessa e convivenza. Non possono frequentarsi e tuttavia, già
sposati, attendono con trepidazione l'incontro definitivo e ufficiale della
nuova famiglia. Per dare una ragione plausibile bisogna ricordare che le
ragazze sono promesse a 12-13 anni, e i ragazzi a 14-15 anni. In questo
periodo la coppia è coinvolta nelle scelte di Dio. Luca racconta il messaggio
dell'angelo a Maria e gli interrogativi sul suo futuro, Matteo racconta il
messaggio di Dio nel sogno a Giuseppe sulle scelte che egli non sa prendere,
probabilmente riflettendo sul proprio ruolo in questo frangente misterioso in
cui si sente totalmente estraneo. Probabilmente è questo il motivo delle
perplessità più che i sospetti e le diffidenze su Maria. Si parla di un
messaggio di Isaia per l'annuncio della nascita del figlio del re Acaz in un
momento drammatico della storia di Gerusalemme ( siamo nel sec VIII a.C.). E'
stato veramente un segno di Dio in quel momento, un "Emanuele" (un Dio con
noi) che visita il popolo. Ma non tutte le vicende di questo re, diventato
adulto, hanno risposto alle attese riposte in lui. Matteo sta dicendo che Dio
avrebbe mandato un nuovo "vero Emanuele". Anzi racchiude tutto il suo Vangelo
tra due citazioni dell'Emanuele: questa, all'inizio (1,23), l'abbiamo letta
oggi; l'altra si trova alla fine del Vangelo dopo l'invio per la missione
degli apostoli nel mondo.(28,20) «Ed ecco, io sono con voi ( l'Emanuele)
tutti i giorni, fino alla fine del mondo». Un'ultima citazione va fatta
sulla parola "Vergine" che, nel nostro linguaggio, ha un significato di
"donna ammirevole, degna di stima"; ma, nel linguaggio ebraico, colei che
rimane vergine per tutta la vita mostra solo l'incapacità di attirare su di
sé lo sguardo di un uomo. Degna di lode, in Israele, è la donna sposata che
ha figli. La vergine è considerata un albero senza frutti, meritevole di
commiserazione (Is 56,3-6). Quando ci parla della "Vergine Sion", Geremia
non vuol dire "Gerusalemme pura, immacolata e senza macchia" ma "Povera,
disprezzata, priva di vita" (Ger 31,4; 14,13). Maria parla di sé come se
fosse la "Vergine Sion": "Ha guardato la bassezza, la povertà della sua
serva" (Lc 48-49). Ma "vergine" ha anche un significato particolare:
l'amore totale per il Signore". Ne parla s. Paolo: "Vi ho promesso ad un
unico sposo, per presentarvi quale vergine casta a Cristo" (2 Cor 11,2). Ma
qui siamo già nei parametri del Nuovo Testamento e nelle prospettive nuove
che Gesù ha portato.
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