V Domenica di Pasqua
15 maggio 2022
Gv 13, 31b-35
Riferimenti : At 4, 32-37 -
Sal 132 - 1Cor 12, 31 – 13, 8a |
Dove la carità è vera, abita il Signore. Ecco,
com’è bello e com’è dolce che i fratelli vivano insieme! R È
come olio prezioso versato sul capo, che scende sulla barba, la
barba di Aronne, che scende sull’orlo della sua veste |
At 4, 32-37 In quei giorni. La
moltitudine di coloro che erano diventati
credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e
nessuno considerava sua proprietà quello che gli
apparteneva, ma fra loro tutto era comune. Con
grande forza gli apostoli davano testimonianza
della risurrezione del Signore Gesù e tutti
godevano di grande favore. Nessuno infatti tra
loro era bisognoso, perché quanti possedevano
campi o case li vendevano, portavano il ricavato
di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai
piedi degli apostoli; poi veniva distribùito a
ciascuno secondo il suo bisogno. Così Giuseppe,
soprannominato dagli apostoli Bàrnaba, che
significa «figlio dell’esortazione», un levita
originario di Cipro, padrone di un campo, lo
vendette e ne consegnò il ricavato deponendolo
ai piedi degli apostoli. Atti
4, 32-37 Luca, scrivendo il seguito del suo
Vangelo come proseguimento e sviluppo della
presenza e dell'opera di Gesù risorto, nel breve
testo di oggi degli Atti, racconta la vita della
comunità di fratelli e sorelle, unita nel nome
di Gesù. Tutti portano il nuovo sigillo della
vita piena e sono detti "i cristiani", (dopo
qualche decennio, "Ad Antiochia per la prima
volta i discepoli furono chiamati cristiani" At
11,26). Per essi la vita piena di fede deve
avere riflessi anche nei rapporti quotidiani con
le persone della comunità che si riconosce nella
fede. Così la scelta fondamentale di Gesù deve
essere capace, insieme, di conoscere il
Salvatore e verificare la fatica, la sofferenza
che vediamo attorno, e il bisogno a cui portare
sollievo. Non possiamo provvedere a tutto ma,
per lo meno, verificare e sottrarre fratelli e
sorelle dal bisogno, poiché si mettono insieme
le risorse. E' vero che nel mondo greco ci sono
richiami e ricordi mitici dell'età dell'oro
quando si favoleggia che, all'inizio "tra amici
tutto è in comune". Ne parla Platone e altri
scrittori greci e latini, come Seneca.
L'amicizia diventa un elemento fondamentale di
coerenza e di coesione per cui non si accetta,
potendo alleviare il bisogno, che un amico
soffra. Per questo all'amico si mette tutto a
disposizione. Luca, probabilmente, non ha la
pretesa di ricostruire il mito. Luca vuole
aiutare a cogliere il senso di una esperienza
che capovolge i criteri della vita. La proprietà
non è un assoluto ma le risorse si utilizzano
per alleviare la fatica di quelli che
conosciamo. Probabilmente non si tratta però di
un fatto generalizzato dal momento che si sente
l'esigenza di ricordare il gesto di donazione di
Giuseppe che offre il ricavato di una sua
vendita agli apostoli. E tuttavia non si tratta
di minimizzare la generosità della Comunità
cristiana (ci sono tre sommari che riprendono lo
stesso tema: At 2,42; 4, 32-37 (testo di oggi) e
5, 12-16). Infatti scopriamo che c'è la
impegnata e seria preoccupazione di un servizio
giornaliero di mense per i poveri e, in
particolare, per le vedove. E questa
provvidenza, nella Comunità cristiana, costa
molte energie e pone fortemente un problema di
carità generosa e disinteressata. In realtà a
Gerusalemme, molto presto, per carestia e per il
moltiplicarsi dei poveri, finiscono presto le
risorse dei cristiani nella città e si sente il
bisogno dell'aiuto delle altre chiese (At
11,29-30) per cui s. Paolo si fa portavoce e
raccoglitore della colletta (Gal 2,10). Anzi,
proprio questa è una delle più grandi
preoccupazioni che Paolo riprende nelle due
lettere ai Corinzi (1 Cor 16,1-3; 2 Cor8-9;
12,16-18).
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1Cor 12, 31 – 13, 8a Fratelli,
desiderate intensamente i carismi più grandi. E allora, vi
mostro la via più sublime. Se parlassi le lingue degli uomini e
degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che
rimbomba o come cimbalo che strepita. E se avessi il dono della
profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la
conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne,
ma non avessi la carità, non sarei nulla. E se anche dessi in
cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne
vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe. La carità
è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si
vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non
cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del
male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della
verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.
La carità non avrà mai fine. 1 Cor 12, 31-13,8a
La Comunità cristiana di Corinto, pervasa dalla presenza dello
Spirito, in particolare, gode di una ricchezza di doni (carismi)
che, a volte, raggiunge anche una sua spettacolarità. Ci sono
manifestazioni che conducono ad una utilità della Chiesa per la
conversione degli infedeli e sono frutto dei doni di Dio e del
suo Spirito,, ma altre assomigliano di più a stati estatici
pagani che portano al delirio, a perdita parziale o totale della
razionalità, a manifestazioni spettacolari, ambite e apprezzate
spesso, ma che inducono al disordine, alla stravaganza e che,
comunque, tolgono la libertà. Diventano fenomeni di dubbia
autenticità e vanno tutti verificati dalla fede. Paolo
suggerisce di attendere ai carismi più grandi e più utili per
l'edificazione della Comunità, ma suggerisce che il vero
fondamento è dato dalla "carità" (in greco "agape") che, poco
usata, nel linguaggio cristiano corrisponde all'amore di
comunione. E' "la via più sublime". Essa è dono di Dio, è strada
da percorrere, è stile credente, è coscienza operativa nella
vita, è apertura di cuore che accoglie gratuitamente l'altro,
preoccupati, prima di tutto, dei suoi problemi. Ci troviamo di
fronte ad un testo famoso e bellissimo, mai sufficientemente
meditato. Sono molti gli aspetti che vengono riletti e calati
nella quotidianità: non è assolutamente un testo astratto o
moralistico. Esprime una ricchezza infinita che solo Dio
pienamente raggiunge, ma che a noi è dato come paradigma per
confrontarci e maturarvi la nostra esistenza. - Il parlare
nelle varie lingue mi farebbe un buon comunicatore, ma senza la
"carità" non evangelizzerei nessuno perché non comunico il
Signore. - Così, senza la "carità", la profezia, la
conoscenza e la fede non mi mettono pienamente in sintonia con
il Signore e le sue opere - Anche il dare tutti i beni e il
corpo stesso in sacrificio, senza la "carità" non mi fanno un
benefattore: sono nulla. - Si propongono 3 aspetti in
positivo: la "carità" è paziente, benevola (v 4) e si rallegra
della verità (v.7). - 8 stili di vita descrivono la "carità"
negando il male (o negando la morte: il numero 8 richiama la
risurrezione, "il giorno dopo il sabato"): "non è invidiosa, non
si vanta, non si gonfia di orgoglio, non manca di rispetto, non
cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del
male ricevuto, non gode dell'ingiustizia" (vv 4-7). - 4
atteggiamenti del cuore garantiscono una totalità di
accoglienza: "Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto
sopporta". Il tutto è ripetuto 4 volte: è la totalità
dell'orizzonte umano (numero 4). Si sommano l'accoglienza, la
fiducia, l'attesa piena e la non violenza. - "La "carità""
non avrà più fine (v 8) poiché è eterna come Dio, che è carità"
(Gv 4,8). Il pensiero di Paolo viene ripreso, con chiarezza e
nello stesso spessore, nella lettera ai Galati (5,14): "Tutta la
legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: Amerai
il tuo prossimo come te stesso".
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Gv 13, 31b-35
In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato
glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in
lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito.
Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete ma, come ho detto
ai Giudei, ora lo dico anche a voi: dove vado io, voi non potete venire. Vi
do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato
voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che
siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».
Gv 13, 31b-35 Le parole che leggiamo oggi sono tratte da un dialogo di
Gesù con gli apostoli, sviluppato durante la cena ultima, prima della sua
morte. Il testo di Giovanni carica di significati le parole di Gesù che,
all'inizio, non possono essere capite e tuttavia
restano il testamento perenne di Gesù alla sua Comunità.
Ma nella vita è questa la condizione di rapporto con Dio: riceviamo
segni e viviamo fatti che lentamente stratificano i loro significati e poi si
svelano per dono di grazia e per riflessione di fede sulla nostra vita.
Gesù ha lavato i piedi ai discepoli, anche a Giuda. E se, nel suo
cuore si sviluppa il dramma del proprio futuro prossimo che sta vivendo in
anticipo, Gesù sa affrontarlo con coraggio e con lucidità e lo circonda di
amore e di lode: il dramma che vivrà, dal tradimento di Giuda all'abbandono
dei suoi, dai processi al rifiuto del suo popolo ed alla condanna a morte
sono racchiusi nella glorificazione del Padre e nell'amore alla sua comunità.
Il dramma si trasformerà in gloria e bellezza agli occhi di Dio poiché
tutto si svolgerà nel cuore di Gesù, nell'accoglienza e nell'ubbidienza
amorosa per il Padre e nella profonda donazione ai suoi, affidati dal Padre
(Gv 17,6), compreso Giuda a cui Gesù dà il boccone della predilezione (13,
2-6). "Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo.
Erano tuoi e li hai dati a me, ed essi hanno osservato la tua parola
(Gv17,6)". Il Padre infatti glieli ha affidati. In
questa glorificazione che è dialogo amoroso e garanzia reciproca tra il Padre
e Gesù si inserisce una raccomandazione che è, essa stessa, una garanzia: "Vi
do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato
voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che
siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri".
Gesù lascia alla nostra libertà ed al futuro del mondo un progetto che
garantisce il capovolgimento del male e della violenza. Noi siamo ammalati di
paura e di ansietà e continuiamo a sognare un mondo fatto con le nostre mani,
ma che si distorce nel conflitto, nella potenza del nostro vincere e nella
nostra rassegnazione a non avere mai la speranza della pace.
Gesù ci consegna il segreto: "Amatevi come io ho amato voi", che fa
escludere ogni rivincita,. Il Signore ci consegna al mondo ed alla storia
come un popolo che sa amare, disarmato, coraggioso e ricco di una presenza,
pur invisibile, di Gesù e della sua esemplarità, - Ci lascia un parametro
consegnato alla nostra libertà: ma il parametro è Lui, senza scorciatoie.
- Ci garantisce che è efficace nella nostra convivenza tra i popoli per quel
"come io vi ho amato". - Ci offre un comandamento nuovo, non nella
formulazione (c'è già in Levitico 19,18), ma è nuovo per l'ampiezza che non
deve trovare barriere né sociali, né razziali, né culturali. Perciò ogni
forma di diffidenza per lo straniero, l'estraneo, il nuovo deve prima di
tutto lasciare spazio ad identificarlo come fratello e sorella, pur con tutte
le nostre paure, e insieme alle nostre prudenze. - Il termine di misura è
lo stile e l'amore di Gesù che arriva a dare la vita. - Il vero segno che
identifica i discepoli è il volersi bene. Tutto il resto, fatto di simboli
(crocifissi, statue), di gesti, di luoghi sacri, di dichiarazioni non è
sufficiente ad identificarci nella storia poiché tutto questo può diventare
ambiguo. E infine, e non è poco, c'è la reciprocità: "vi amiate gli uni
gli altri". E' il vero terreno di coltura della fede, è l'inizio della
fecondità dei valori cristiani nella storia. Se devi amare, mi dice Gesù,
devi anche cercare di rendere facile l'essere voluto bene. La reciprocità è
curiosa e difficile, eppure è essenziale, pare.
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