 IV Domenica di Quaresima
Domenica del cieco
27 marzo 2022
Gv 9, 1-38b
Riferimenti :
Es 17, 1-11 - Sal 35 - 1T5, 1-11
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Signore, nella tua luce vediamo la luce. Signore, il
tuo amore è nel cielo, la tua fedeltà fino alle nubi, la
tua giustizia è come le più alte montagne, il tuo giudizio
come l’abisso profondo: -uomini e bestie tu salvi, Signore.
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Es 17, 1-11 In quei giorni. Tutta la comunità
degli Israeliti levò le tende dal deserto di
Sin, camminando di tappa in tappa, secondo
l’ordine del Signore, e si accampò a Refidìm. Ma
non c’era acqua da bere per il popolo. Il popolo
protestò contro Mosè: «Dateci acqua da bere!».
Mosè disse loro: «Perché protestate con me?
Perché mettete alla prova il Signore?». In quel
luogo il popolo soffriva la sete per mancanza di
acqua; il popolo mormorò contro Mosè e disse:
«Perché ci hai fatto salire dall’Egitto per far
morire di sete noi, i nostri figli e il nostro
bestiame?». Allora Mosè gridò al Signore,
dicendo: «Che cosa farò io per questo popolo?
Ancora un poco e mi lapideranno!». Il Signore
disse a Mosè: «Passa davanti al popolo e prendi
con te alcuni anziani d’Israele. Prendi in mano
il bastone con cui hai percosso il Nilo, e va’!
Ecco, io starò davanti a te là sulla roccia,
sull’Oreb; tu batterai sulla roccia: ne uscirà
acqua e il popolo berrà». Mosè fece così, sotto
gli occhi degli anziani d’Israele. E chiamò quel
luogo Massa e Merìba, a causa della protesta
degli Israeliti e perché misero alla prova il
Signore, dicendo: «Il Signore è in mezzo a noi
sì o no?». Amalèk venne a combattere contro
Israele a Refidìm. Mosè disse a Giosuè: «Scegli
per noi alcuni uomini ed esci in battaglia
contro Amalèk. Domani io starò ritto sulla cima
del colle, con in mano il bastone di Dio».
Giosuè eseguì quanto gli aveva ordinato Mosè per
combattere contro Amalèk, mentre Mosè, Aronne e
Cur salirono sulla cima del colle. Quando Mosè
alzava le mani, Israele prevaleva; ma quando le
lasciava cadere, prevaleva Amalèk.
Es. 17, 1-11 Israele ha accettato di seguire
Mosè e di contrapporsi a Faraone. Ma il
cammino è faticoso e imprevedibile. E questo fa
scoprire limiti, difficoltà anche drammatiche.
Così sorgono malumori e proteste. Suppongono
disagio e rabbia, ripensamento e nostalgia del
passato. Non si apprezza il tempo presente e
non si superano le difficoltà se non si tenta di
accordarsi con i responsabili. Non ci si deve
dimenticare che bisogna, coraggiosamente,
ricostruire uno stile di vita completamente
diverso. Ci vogliono risorse e intraprendenza
per lottare e sopravvivere. Ma il cammino del
popolo, uscito dall'Egitto, si fa sempre più
difficile perché gli Israeliti scoprono
difficoltà d'ogni genere. Prima manca il pane (e
mangiano manna), poi manca la carne ( e Dio
offre loro le quaglie), poi manca l'acqua,
fondamentale per la vita quotidiana. Qui si
inaspriscono le recriminazioni perché si arriva
ad avere seriamente paura. Il popolo non ha
strumenti per provvedervi; non sa rivolgersi a
Dio. Lotta e rimprovera Mosè fino a farlo
responsabile della propria miseria. Mosè è
fedele a Dio ed in Lui ha creduto. In questo
caso è anche responsabile, mediatore,
condottiero, custode. Mosè grida poiché è
spaventato dalla situazione difficile.
L'interrogativo fondamentale che serpeggia non è
quello dell'ateo: "Dio non c'è", ma
l'interrogativo su dove Egli sia presente, se è
ancora disposto a mantenere la sua parola e la
sua protezione che ha promesso. Mosè si è presa
la responsabilità di essere l'intercessore e Dio
lo ascolta. Dopo la mancanza di acqua,
risolta nel dono, che altrimenti avrebbe portato
alla morte, vengono la guerra e la violenza che
possono ricondurre alla schiavitù e alla
distruzione di molti. Nella battaglia contro
Amelèk, ci si chiede come vincere un popolo che
impedisce la conquista della Terra Promessa? Il
Signore dà criteri inusuali ma complementari:
- la presenza di un piccolo gruppo di soldati,
- la preghiera di intercessione: il segno delle
mani alzate come richiamo e dipendenza al
bisogno di Dio. Nelle difficoltà sono
necessarie le responsabilità personali che si
mettono in campo con coraggio e la fedeltà a Dio
per intercedere e ricuperare la fiducia e la
libertà.
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1T5, 1-11 Riguardo ai tempi e ai
momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; infatti
sapete bene che il giorno del Signore verrà come un ladro di
notte. E quando la gente dirà: «C’è pace e sicurezza!», allora
d’improvviso la rovina li colpirà, come le doglie una donna
incinta; e non potranno sfuggire. Ma voi, fratelli, non siete
nelle tenebre, cosicché quel giorno possa sorprendervi come un
ladro. Infatti siete tutti figli della luce e figli del giorno;
noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre. Non dormiamo
dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri. Quelli che
dormono, infatti, dormono di notte; e quelli che si ubriacano,
di notte si ubriacano. Noi invece, che apparteniamo al giorno,
siamo sobri, vestiti con la corazza della fede e della carità, e
avendo come elmo la speranza della salvezza. Dio infatti non ci
ha destinati alla sua ira, ma ad ottenere la salvezza per mezzo
del Signore nostro Gesù Cristo. Egli è morto per noi perché, sia
che vegliamo sia che dormiamo, viviamo insieme con lui. Perciò
confortatevi a vicenda e siate di aiuto gli uni agli altri, come
già fate. 1 Tessalonicesi 5, 1-11 Il tempo
può custodire la pace e può nascondere la guerra. Noi cristiani
siamo chiamati ad essere sempre all'erta, pronti però ad
affrontare situazioni di emergenza e di sconvolgimento. Paolo,
riprendendo le affermazioni del Signore sull'incertezza della
data della conclusione del mondo (Mt 24,36p; At 1,7), e che
bisogna attendere vegliando (Mt 24,42p.50;25,13), afferma di non
conoscere il termine dell'esistenza del mondo. Il giorno del
Signore (1Cor 1,8) verrà come un ladro (cf.Mt 24,43p); bisogna
stare in guardia (v 6; cf.Rm 13,11), il tempo è breve (2Cor
6,2). Egli, prima, si pone per ipotesi tra quelli che vedranno
questo giorno (4,17; cf.1Cor 15,51); poi passa a considerare di
morire prima (2Cor 5,3;Fil 1,23); quindi mette in guardia quelli
che credono imminente (2Ts 2,1s) il compimento, considerando che
prima deve verificarsi la conversione dei pagani (Rm 11,25). In
questa totale incertezza i tempi non si intravedono brevi. Paolo
riprende i contatti con la prima comunità greca, da lui
visitata, quella di Tessalonica, che si è mostrata subito
recettiva e attenta alla sua predicazione, ma poi presto ha
dovuto abbandonarla per la reazione della popolazione non
credente che ha messo in pericolo la stessa vita di Paolo. Ora
Timoteo torna a visitare la comunità per garantirsi della
solidità della fede, e quindi riferisce all'apostolo liete e
rassicuranti notizie. Riconoscente e commosso, Paolo scrive una
lettera che è il primo testo scritto nel Nuovo Testamento (siamo
nel 50 - 51 d.C.). Tra i molti problemi Paolo sa di dover
affrontare anche il "tempo della Conclusione", come accennato
più sopra. Alla fine ricorda di essere svegli e all'erta perché
nessuno lo conosce ma il Giorno del Signore viene all'improvviso
e chiederà conto della responsabilità e della legge del nostro
cuore a tutti gli uomini e a tutte le donne del mondo. Per
questo i credenti debbono essere come figli della luce e
custodire la luce di Dio senza profanarla, né spegnerla. I
"figli della luce" vivono la sobrietà, si attrezzano sulle virtù
della fede, della carità e della speranza come difesa contro il
tempo e i drammi che nella vita rapiscono la serenità e
l'esistenza. Abbiamo un destino di speranza perché ci fidiamo
di Gesù che ci apre alla garanzia e alla fiducia nel mondo di
Dio.
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Gv 9, 1-38b In quel tempo.
Passando, il Signore Gesù vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli
lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia
nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è
perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le
opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando
nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo». Detto
questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli
occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe» – che
significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. Allora i
vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante,
dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni
dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli
diceva: «Sono io!». Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti
gli occhi?». Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi
ha spalmato gli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e làvati!”. Io sono andato,
mi sono lavato e ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov’è costui?».
Rispose: «Non lo so». Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era
un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli
occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la
vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato
e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio,
perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore
compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. Allora dissero
di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto
gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». Ma i Giudei non credettero di lui
che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono
i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È
questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci
vede?». I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e
che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto
gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di
sé». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti
i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il
Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero:
«Ha l’età: chiedetelo a lui!». Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era
stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è
un peccatore». Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io
so: ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come
ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete
ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi
suoi discepoli?». Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo
discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non
sappiamo di dove sia». Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che
voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio
non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli
lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia
aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe
potuto far nulla». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a
noi?». E lo cacciarono fuori. Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando
lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi
è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui
che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!».
Gv. 9,1-38b Incontrare un cieco lascia
sempre uno strascico di commiserazione e provoca un brivido di risentimento e
paura. Perciò la sofferenza provoca la domanda del perché e del male che
l'altro sta soffrendo. Ma, nel mondo ebraico, spunta anche il sospetto che
quella cecità possa essere un castigo per il male commesso, magari prima di
nascere, essendo un cieco nato. Gesù risponde che non v'è peccato alla
radice ma attesa di opere grandi di Dio. E Gesù sa di essere stato chiamato a
sostenere la luce di questo cieco e vuole chiarire a tutti che ogni malato
deve poter sperimentare la potenza di Dio attraverso noi. Gesù sa che la
sua presenza è posta come garanzia della speranza di tutti e quindi di chi
non s'aspetta nulla dalla vita e pensa che la quotidianità è fatta di fatiche
e sofferenze senza novità e capovolgimenti. Gesù invece interviene; però
al cieco chiede che si fidi di Lui e accetti di essere visitato dalla fede
nel Messia. Deve perciò andare a lavarsi alla piscina dell'Inviato (Siloe).
Il messaggio è al cieco ma anche ai discepoli e a coloro che si imbatteranno
in questo avvenimento strabiliante. Bisogna sapere di essere ciechi.
Bisogna desiderare di vedere. Bisogna accettare la scelta di chi ti manda dal
Messia, il coraggio di credere che ci possa essere una trasformazione,
l'accettazione di difendere la scelta fatta, la verità riconquistata, la
disponibilità del giudizio su chi ti ha fatto una proposta, il coraggio della
semplicità e della coerenza. Accettare il Messia, in questo caso Gesù,
significa trovarsi tutto il mondo contro o, per lo meno, reticente. Tutti
sperano che si sveli l'imbroglio, che si ritorni alla malattia ed alla
rassegnazione, oppure allo svelamento dello stratagemma per poter dire che il
mondo è malvagio, che si strumentalizza la religione, che non può avvenire
nulla di splendido nel mondo dove Dio vuole abitare. Il cieco difende la
sua verità e ritiene che la luce che sta vedendo debba essere il paradigma
del suo linguaggio. Come vede così manifesta e difende. Non può negare che
ora vede né vuole negare la sofferenza e la fatica del precedente non poter
vedere. E si stupisce che non si voglia credergli, e non capisce del perché
dei secondi fini che essi caparbiamente portano, mentre pretendono di
smascherarlo. Il cieco si stupisce di questa ostinazione nel non voler
accettare, mentre resiste l'insistenza di continuare ad interrogarlo.
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