
IV Domenica di Pasqua
30 aprile 2023
Gv 10, 11-18
Riferimenti : At 6, 1-7 - Sal 134 - Rm 10, 11-15 |
Lodate il nome del Signore, lodatelo, servi del
Signore, voi che state nella casa del Signore, negli atri della
casa del nostro Dio. Il Signore si è scelto Giacobbe, Israele
come sua proprietà. Lodate il Signore, perché il Signore è
buono; cantate inni al suo nome, perché è amabile. Signore, il
tuo nome è per sempre; Signore, il tuo ricordo di generazione in
generazione. Sì, il Signore fa giustizia al suo popolo e dei
suoi servi ha compassione. |
At 6, 1-7 In quei giorni,
aumentando il numero dei discepoli, quelli di
lingua greca mormorarono contro quelli di lingua
ebraica perché, nell’assistenza quotidiana,
venivano trascurate le loro vedove. Allora i
Dodici convocarono il gruppo dei discepoli e
dissero: «Non è giusto che noi lasciamo da parte
la parola di Dio per servire alle mense. Dunque,
fratelli, cercate fra voi sette uomini di buona
reputazione, pieni di Spirito e di sapienza, ai
quali affideremo questo incarico. Noi, invece,
ci dedicheremo alla preghiera e al servizio
della Parola». Piacque questa proposta a tutto
il gruppo e scelsero Stefano, uomo pieno di fede
e di Spirito Santo, Filippo, Pròcoro, Nicànore,
Timone, Parmenàs e Nicola, un prosèlito di
Antiòchia. Li presentarono agli apostoli e, dopo
aver pregato, imposero loro le mani. E la parola
di Dio si diffondeva e il numero dei discepoli a
Gerusalemme si moltiplicava grandemente; anche
una grande moltitudine di sacerdoti aderiva alla
fede. At 6,1-7 Nei primi
cinque capitoli degli Atti degli Apostoli,
l'evangelista Luca sviluppa in modo intelligente
e coerente il cammino di questa nuova comunità
cristiana alla luce di Gesù risorto e, ricca
dello Spirito del Signore, vuole vivere a
Gerusalemme le scelte di Gesù, sperimentando e
mettendo n pratica proposte e valori che i primi
discepoli raccontano e testimoniano, parlando di
Gesù. Con il cap. 6 si segnala l'inizio della
rapida espansione del Vangelo in Israele fino ad
Antiochia e, insieme, il racconto dei fatti
quotidiani della Comunità di Gerusalemme che
rivelano le iniziali difficoltà interne che
mettono in crisi la fiducia reciproca e la
comunione. A Gerusalemme la comunità ebraica è
costituta da ebrei e da ellenisti. Gli ebrei
erano nati e cresciuti in Palestina, parlano in
aramaico e, nelle sinagoghe, leggono la Bibbia
in ebraico, sono molto attaccati alle tradizioni
dei padri ed alla legge di Mosè, considerano
indiscutibili le interpretazioni dei rabbini.
Gli ellenisti sono nati e cresciuti all'estero.
Vivono una cultura molto più aperta per la
conoscenza e la convivenza con altri popoli.
Ora, a Gerusalemme, hanno sinagoghe proprie
(pare che a Gerusalemme si possono contare sul
palmo di una mano) mentre le sinagoghe degli
ebrei sono alcune centinaia. La Comunità
cristiana è costituita, in maggioranza, da ebrei
nati in Israele ma anche da ellenisti.
Nell'assistenza quotidiana sorge una lamentela
della minoranza, costituita da ellenisti, poiché
rimproverano una certa trascuratezza nel
confronto delle vedove di questo gruppo. E'
interessante verificare allora il metodo seguito
per risolvere la tensione. Gli Apostoli
riconoscono la situazione di difficoltà e
decidono di sviluppare, diversificando, ruoli e
compiti. Non accusano, non rivendicano un loro
potere insindacabile, ma si preoccupano della
elezione dei "sette", tutti di origine greca (lo
si vede dal nome), che si occupino
dell'assistenza quotidiana e, in particolare,
delle mense. |
Rm 10, 11-15 Fratelli, dice
la Scrittura: «Chiunque crede in lui non sarà deluso». Poiché
non c’è distinzione fra Giudeo e Greco, dato che lui stesso è il
Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano.
Infatti: «Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato».
Ora, come invocheranno colui nel quale non hanno creduto? Come
crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare? Come ne
sentiranno parlare senza qualcuno che lo annunci? E come lo
annunceranno, se non sono stati inviati? Come sta scritto:
«Quanto sono belli i piedi di coloro che recano un lieto
annuncio di bene!». Rom10,11-15 Paolo si
preoccupa di aiutare a scoprire che il centro della fede: è
Gesù. Tale centralità deve essere nel cuore e sulla labbra di
ciascuno: "Perché se con la tua bocca proclamerai: «Gesù è il
Signore!», e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato
dai morti, sarai salvo. Con il cuore infatti si crede per
ottenere la giustizia, e con la bocca si fa la professione di
fede per avere la salvezza". Accogliere Gesù richiede un
profondo e coraggioso atto di fede per cui con la bocca e con il
cuore crediamo e accettiamo che Gesù è il Signore, vissuto tra
noi, crocifisso e risorto. La bocca e il cuore sono due vie
importanti per esprimere la fede (10,8). Il cuore è il luogo
delle scelte, delle decisioni, delle appartenenze. Nel cuore
matura e si sviluppa la fede nel Signore Gesù morto e risorto e
quindi una coerente coscienza morale. In questo caso il cuore
proclama la signoria di Gesù sulla nostra vita e quindi la sua
unicità e il suo valore per poterci unire in pienezza. La bocca
proclama ed offre la novità gioiosa che il Signore ci ha offerto
gratuitamente e per questo ci elegge messaggeri per tutto il
mondo. Attraverso noi, che crediamo, scopriamo le scelte di Gesù
che sono scelte per tutti gli uomini, senza distinzione. "Poiché
non c'è distinzione fra Giudeo e Greco, dato che lui stesso è il
Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano" (v
12). Paolo ci ricorda allora la fondamentale parità di dignità
agli occhi di Dio per ogni uomo e donna e, insieme, ci ricorda
quel desiderio che il Signore ha di aiutare e salvare ogni
persona. Così ci ha "inviati". Come battezzati stiamo scoprendo
la vocazione di essere fondamentalmente missionari, vivendo in
noi l'urgenza ed esprimendo attorno a noi questa notizia
portentosa della scelta che Dio fa di ciascuno. E' una scelta di
dignità e di valore, scelta di accoglienza e privilegiata,
scelta che si sviluppa ogni giorno nella concretezza di
quotidiana operosità, nel lavoro e nelle amicizie, nella
politica e negli affetti familiari. Nulla è escluso dalla
testimonianza che non suppone cose eccezionali, ma
responsabilità, attenzione, competenza, accoglienza. In tal modo
si manifesta che Gesù è risorto per tutti.

Il buon pastore |
Gv
10, 11-18 In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai farisei: «Io sono il
buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario
– che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il
lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché
è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore,
conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre
conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre
pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare.
Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Per
questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di
nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e
il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal
Padre mio». Gv 10,11-18
Pastore buono: è il titolo più disarmato e disarmante che Gesù abbia dato a
se stesso. Eppure questa immagine non ha in sé nulla di debole o remissivo: è
il pastore forte che si erge contro i lupi, che ha il coraggio di non
fuggire; il pastore bello nel suo impeto generoso; il pastore vero che si
frappone fra ciò che dà la vita e ciò che procura morte al suo gregge.
Il pastore buono che nella visione del profeta «porta gli agnellini sul seno
e conduce pian piano le pecore madri» (Isaia 40,11), evoca anche una
dimensione tenera e materna che, unita alla fortezza, compone quella che papa
Francesco chiama con un magnifico ossimoro, una «combattiva tenerezza»
(Evangelii gaudium 88). Che cosa ha rivelato Gesù ai suoi?
Non una dottrina, ma il racconto della tenerezza ostinata e mai arresa di
Dio. Nel fazzoletto di terra che abitiamo, anche noi siamo chiamati a
diventare il racconto della tenerezza di Dio. Della sua combattiva tenerezza.
Qual è il comportamento, il gesto che caratterizza questo pastore secondo il
cuore di Dio? Il Vangelo di oggi lo sottolinea per cinque volte,
racchiudendolo in queste parole: il pastore dà la vita. Qui affiora il filo
d'oro che lega insieme tutta intera l'opera ininterrotta di Dio nei confronti
di ogni creatura: il suo lavoro è da sempre e per sempre trasmettere vita,
«far vivere e santificare l'universo» (Prece eucaristica III).
Dare la vita non è, innanzitutto o solamente, morire sulla croce, perché se
il Pastore muore le pecore sono abbandonate e il lupo rapisce, uccide, vince.
Dare la vita è l'opera generativa di Dio, un Dio inteso al modo delle madri,
uno che nel suo intimo non è autoreferenzialità, ma generazione..
Credo Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo
e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili. Credo in un solo
Signore, Gesù Cristo, unigenito, Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti
i secoli: Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero; generato, non
creato: della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono
state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo; e
per opera dello Spirito santo si è incarnato nel seno della vergine Maria e
si è fatto uomo. Fu crocifisso per noi, patì sotto Ponzio Pilato, morì e fu
sepolto. Il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture; è salito al
cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per
giudicare i vivi e i morti: e il suo regno non avrà fine. Credo nello Spirito
santo, che è Signore e dà la vita, e procede dal Padre e dal Figlio e con il
Padre ed il Figlio è adorato e glorificato: e ha parlato per mezzo dei
profeti. Credo la Chiesa, una santa cattolica e apostolica. Professo un solo
battesimo per il perdono dei peccati. E aspetto la risurrezione dei morti e
la vita del mondo che verrà. Amen. |