IV Domenica dopo il martirio di san Giovanni il Precursore
24 settembre 2023
Giovanni 6, 24-35.
Riferimenti : Is 63, 19b – 64, 10 - Sal 76 - Eb 9, 1-12

Vieni, Signore, a salvare il tuo popolo. Nel giorno della mia angoscia io cerco il Signore, nella notte le mie mani sono tese e non si stancano; l’anima mia rifiuta di calmarsi. Mi ricordo di Dio e gemo, medito e viene meno il mio spirito. Ripenso ai giorni passati, ricordo gli anni lontani. Un canto nella notte mi ritorna nel cuore: medito e il mio spirito si va interrogando.

 Is 63, 19b – 64, 1
In quei giorni. Isaia pregò il Signore, dicendo: «Se tu squarciassi i cieli e scendessi! Davanti a te sussulterebbero i monti, come il fuoco incendia le stoppie e fa bollire l’acqua, perché si conosca il tuo nome fra i tuoi nemici, e le genti tremino davanti a te. Quando tu compivi cose terribili che non attendevamo, tu scendesti e davanti a te sussultarono i monti. Mai si udì parlare da tempi lontani, orecchio non ha sentito, occhio non ha visto che un Dio, fuori di te, abbia fatto tanto per chi confida in lui. Tu vai incontro a quelli che praticano con gioia la giustizia e si ricordano delle tue vie. Ecco, tu sei adirato perché abbiamo peccato contro di te da lungo tempo e siamo stati ribelli. Siamo divenuti tutti come una cosa impura, e come panno immondo sono tutti i nostri atti di giustizia; tutti siamo avvizziti come foglie, le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento. Nessuno invocava il tuo nome, nessuno si risvegliava per stringersi a te; perché tu avevi nascosto da noi il tuo volto, ci avevi messo in balìa della nostra iniquità. Ma, Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani. Signore, non adirarti fino all’estremo, non ricordarti per sempre dell’iniquità. Ecco, guarda: tutti siamo tuo popolo. Le tue città sante sono un deserto, un deserto è diventata Sion, Gerusalemme una desolazione. Il nostro tempio, santo e magnifico, dove i nostri padri ti hanno lodato, è divenuto preda del fuoco; tutte le nostre cose preziose sono distrutte».

Isaia 63, 19b - 64,10
L'esperienza drammatica della distruzione di Gerusalemme, avvenuta alcuni anni prima, è rimasta nel ricordo dei deportati a Babilonia come una enorme e sorprendente umiliazione. Nel luglio del 587 a.C. i Babilonesi demolirono le mura della città santa, incendiarono i palazzi, le case del re e il tempio; gli Edomiti, al seguito dei Babilonesi, si gettarono anche loro nella strage del popolo d'Israele (sal 137,7). I deportati continuarono a cercare le ragioni di questa sciagura, sapendo di essere un popolo santo, amato da Dio e liberato dalla schiavitù alcuni secoli prima, attraverso Mosé. Questo brano è una grande preghiera, una delle più belle della Scrittura, in cui Dio è chiamato Padre e Redentore (v 16). La tragedia dimostra che Dio è lontano e questa lontananza ha rovinato il popolo, non più disposto al timore di Dio, non più consapevole della propria dipendenza da Lui, della sua potenza e del suo amore. Il Signore si è ritirato al di là del cielo. E la terra non percepisce più né il suo potere di protezione, né la sua potenza. "S'è allontanato perché abbiamo peccato e ci siamo ribellati, diventando così, senza rendercene conto, una cosa impura e un panno immondo". "Solo tu sei il nostro Padre" perché non ci sono più padri a cui rivolgersi. "Abramo non ci riconosce e Israele (Giacobbe) non si ricorda di noi" (v 16). Solo Dio è Padre. Questa è la prima volta che si applica a Dio questo attributo nella Scrittura. Gli ebrei erano restii a chiamare Dio Padre come, spesso, i popoli pagani chiamavano i loro dei. Un tale linguaggio avrebbe facilmente equivocato su ipotetici matrimoni con "le figlie degli uomini" come la mitologia pagana, invece, ricordava facilmente. Qui il rapporto è una profonda meditazione che risale all'incontro con il Signore nel deserto, alla protezione e all'itinerario di molti anni, alla iniziale conversione del cuore mentre il Signore, passo passo, proteggeva il suo popolo. È' anche suggestivo il richiamo a Dio come "Redentore" perché ci si riferisce ad una cultura radicata di responsabilità e di rispetto verso i propri parenti. In caso in cui un membro della famiglia avesse perso la libertà o perché prigioniero o perché oberato di debiti, il parente prossimo diventa moralmente responsabile della schiavitù e quindi si impegna a riscattare lo schiavo con una somma di riscatto o addirittura consegnandosi, in sostituzione del proprio congiunto. Ora, purtroppo, pensa il popolo pentito, non ci sono padri e non ci sono possibili redentori: resta solo Dio che è l'unica speranza nuova. Il testo riassume la memoria riconquistata della potenza di Dio liberante, del proprio abbandono, e rilegge la desolazione della città deserta e del Tempio distrutto come prova del male avvenuto e quindi come prova del castigo di Dio. Tutto il testo è coraggioso: rilegge la propria storia e accetta di mettersi nelle mani di Dio di cui, comunque, ci si fida.

 

 Eb 9, 1-12
Fratelli, anche la prima alleanza aveva norme per il culto e un santuario terreno. Fu costruita infatti una tenda, la prima, nella quale vi erano il candelabro, la tavola e i pani dell’offerta; essa veniva chiamata il Santo. Dietro il secondo velo, poi, c’era la tenda chiamata Santo dei Santi, con l’altare d’oro per i profumi e l’arca dell’alleanza tutta ricoperta d’oro, nella quale si trovavano un’urna d’oro contenente la manna, la verga di Aronne, che era fiorita, e le tavole dell’alleanza. E sopra l’arca stavano i cherubini della gloria, che stendevano la loro ombra sul propiziatorio. Di queste cose non è necessario ora parlare nei particolari. Disposte in tal modo le cose, nella prima tenda entrano sempre i sacerdoti per celebrare il culto; nella seconda invece entra solamente il sommo sacerdote, una volta all’anno, e non senza portarvi del sangue, che egli offre per se stesso e per quanto commesso dal popolo per ignoranza. Lo Spirito Santo intendeva così mostrare che non era stata ancora manifestata la via del santuario, finché restava la prima tenda. Essa infatti è figura del tempo presente e secondo essa vengono offerti doni e sacrifici che non possono rendere perfetto, nella sua coscienza, colui che offre: si tratta soltanto di cibi, di bevande e di varie abluzioni, tutte prescrizioni carnali, valide fino al tempo in cui sarebbero state riformate. Cristo, invece, è venuto come sommo sacerdote dei beni futuri, attraverso una tenda più grande e più perfetta, non costruita da mano d’uomo, cioè non appartenente a questa creazione. Egli entrò una volta per sempre nel santuario, non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma in virtù del proprio sangue, ottenendo così una redenzione eterna.

Ebrei 9, 1-12.
Il Figlio è il sommo sacerdote. Così il cap.8 ci presenta Gesù: "Noi abbiamo un sommo sacerdote così grande che si è assiso alla destra del trono della Maestà nei cieli, 2ministro del santuario e della vera tenda, che il Signore, e non un uomo, ha costruito".
E quindi, oggi, leggiamo il confronto tra la liturgia del sommo sacerdote della Prima Alleanza e quella di Gesù, confronto tra la purificazione del popolo d'Israele e quella unica e completa, portata da Gesù per tutta l'umanità. Ora, nel capitolo successivo, ritornano a delinearsi, con molta attenzione e molti particolari, le prescrizioni che legavano l'Alleanza al culto del Tempio. La particolareggiata e minuziosa descrizione fa memoria delle prescrizioni dell'Esodo (capp 25; 36) e manifesta la competenza e l'esperienza ebraica sacerdotale. Si parla di una prima tenda e ed una seconda tenda (il Santo dei Santi) e il richiamo è per il santuario del deserto. L'essenziale della riflessione non è stato il culto dei sacerdoti ma il servizio compiuto, in prima persona, dal sommo sacerdote nella seconda tenda, richiamando, insieme, il giorno del Kippur. Solo in quell'unico giorno, e in nessun altro momento o circostanza, poteva accedere per purificare il luogo che, per sua forza, l'impurità poteva contaminare tutto e rendere impresentabile l'offerta, anche se ciò avveniva inconsapevolmente. Quei riti dovevano garantire che da quel giorno tutte le contaminazioni erano dissolte e il Santo dei Santi veniva decontaminato in modo da poter ricevere ed accogliere il Dio Santo, il grande ospite del Tempio d'Israele. L'autore vuole così sottolineare l'unicità del rito annuale di purificazione per preparare l'unico sacrificio da parte di Gesù. E introduce il tema del sangue. Ci si rifà alle origini, al tempo dell'uscita dall'Egitto, quando, ovviamente, non si parlava del Tempio, anche se è continuamente sottinteso. La tenda è espressione del tempo presente, dice l'autore, con offerte di doni e abluzioni e il sommo sacerdote purificava con il sangue degli animali. Valgono per il tempo dell'attesa. Ma "lo Spirito Santo intendeva mostrare che non era ancora aperta la via del santuario definitivo". "È Gesù colui che viene nella tenda perfetta, non costruita da mano d'uomo, non appartenente alla creazione, e vi entra una volta per sempre con il suo sangue ". In tal modo ottiene una redenzione eterna.


VANGELO Gv 6, 24-3
In quel tempo. Quando la folla vide che il Signore Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?». Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato». Allora gli dissero: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: “Diede loro da mangiare un pane dal cielo”». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo». Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!».

Giovanni 6, 24-35.
Oggi, generalmente, nel nostro mondo occidentale anche nell'ambito del pane vi sono molte sofisticazioni; addirittura si sostituisce spesso e volentieri il pane con qualcosa di più solleticante e ricercato. Si è perso il senso del pane come cibo necessario per l'esistenza, come elemento primario per la fame di tutti.
Qui, nel vangelo di questa domenica, viene proposto l'equivoco: siamo nel contesto della condivisione del pane con la folla del giorno prima, quando tutti poterono sfamarsi a sazietà e gratuitamente. Un personaggio così non è da lasciar perdere. Naturalmente non hanno capito niente e Gesù spiega: bisogna darsi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna. Il Pane vero è quello disceso dal cielo, cioè Lui, e la caratteristica di questo pane è di dare la vita al mondo. Torna il discorso del vero senso del segno del pane: la condivisione. Ma è una condivisione che passa attraverso il Signore con una finalità precisa: dare la vita. Dire e ascoltare queste parole con serietà implica una trasformazione di mentalità: non si tratta, in effetti e necessariamente, di offrirsi per la morte (Dio è il Dio dei viventi), ma di spendere la propria vita e il proprio pane con gli altri; non gli altri lontani, ma quelli che hai vicino e di cui faresti, a volte, volentieri a meno. Ecco perché bisogna purificare il nostro cercare Gesù, che per lo più è di là dal mare, cioè molto lontano da come concepiremmo noi il suo operato e le sue parole. Sempre con Gesù occorre fare dei salti qualitativi, domandandoci, ad esempio, riguardo al vangelo di oggi che cosa vuol dire per me sentire che Gesù è il pane della vita, in un contesto così tenebroso per le guerre e le violenze, così gretto e chiuso per gli egoismi degli uomini, così diffidente anche nelle disponibilità. Vuol dire forse che devo ricredermi sull'ascolto di parole ripetute per cominciare una buona volta a mettere in silenzio me stesso e lasciare che la "Parola - Pane di vita disceso dal cielo per dare la vita - "lavori dentro di me, aprendo delle brecce di preghiera e di conversione per venire veramente a Lui per non avere più fame e affidarsi totalmente a Lui per non avere più sete. Se lo si fa credendoci veramente, allora non potremo sottrarci a vivere la vita ogni attimo con intensità e gratitudine. Semplicemente. Sapendo che Lui è disceso dal cielo per tutti, e anche per me.

Credo
Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili. Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito, Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli: Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero; generato, non creato: della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo; e per opera dello Spirito santo si è incarnato nel seno della vergine Maria e si è fatto uomo. Fu crocifisso per noi, patì sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto. Il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture; è salito al cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti: e il suo regno non avrà fine. Credo nello Spirito santo, che è Signore e dà la vita, e procede dal Padre e dal Figlio e con il Padre ed il Figlio è adorato e glorificato: e ha parlato per mezzo dei profeti. Credo la Chiesa, una santa cattolica e apostolica. Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati. E aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà.
Amen.