
XI Domenica dopo Pentecoste
4 agosto 2024
Mt 21, 33-46
Riferimentiv:1Re 18, 16b-40a - Sal 15 - Romani 11,1-15 |
Sei tu, Signore, l’unico mio bene. Proteggimi, o
Dio: in te mi rifugio. Ho detto al Signore: «Il mio Signore sei
tu, solo in te è il mio bene». |
1Re 18, 16b-40a In quei giorni.
Acab si diresse verso Elia. Appena lo vide, Acab
disse a Elia: «Sei tu colui che manda in rovina
Israele? ». Egli rispose: «Non io mando in
rovina Israele, ma piuttosto tu e la tua casa,
perché avete abbandonato i comandi del Signore e
tu hai seguito i Baal. Perciò fa’ radunare tutto
Israele presso di me sul monte Carmelo, insieme
con i quattrocentocinquanta profeti di Baal e
con i quattrocento profeti di Asera, che
mangiano alla tavola di Gezabele». Acab convocò
tutti gli Israeliti e radunò i profeti sul monte
Carmelo. Elia si accostò a tutto il popolo e
disse: «Fino a quando salterete da una parte
all’altra? Se il Signore è Dio, seguitelo! Se
invece lo è Baal, seguite lui!». Il popolo non
gli rispose nulla. Elia disse ancora al popolo:
«Io sono rimasto solo, come profeta del Signore,
mentre i profeti di Baal sono
quattrocentocinquanta. Ci vengano dati due
giovenchi; essi se ne scelgano uno, lo squartino
e lo pongano sulla legna senza appiccarvi il
fuoco. Io preparerò l’altro giovenco e lo porrò
sulla legna senza appiccarvi il fuoco.
Invocherete il nome del vostro dio e io
invocherò il nome del Signore. Il dio che
risponderà col fuoco è Dio!». Tutto il popolo
rispose: «La proposta è buona!». Elia disse ai
profeti di Baal: «Sceglietevi il giovenco e fate
voi per primi, perché voi siete più numerosi.
Invocate il nome del vostro dio, ma senza
appiccare il fuoco». Quelli presero il giovenco
che spettava loro, lo prepararono e invocarono
il nome di Baal dal mattino fino a mezzogiorno,
gridando: «Baal, rispondici!». Ma non vi fu
voce, né chi rispondesse. Quelli continuavano a
saltellare da una parte all’altra intorno
all’altare che avevano eretto. Venuto
mezzogiorno, Elia cominciò a beffarsi di loro
dicendo: «Gridate a gran voce, perché è un dio!
È occupato, è in affari o è in viaggio; forse
dorme, ma si sveglierà». Gridarono a gran voce e
si fecero incisioni, secondo il loro costume,
con spade e lance, fino a bagnarsi tutti di
sangue. Passato il mezzogiorno, quelli ancora
agirono da profeti fino al momento dell’offerta
del sacrificio, ma non vi fu né voce né risposta
né un segno d’attenzione. Elia disse a tutto il
popolo: «Avvicinatevi a me!». Tutto il popolo si
avvicinò a lui e riparò l’altare del Signore
che era stato demolito. Elia prese dodici
pietre, secondo il numero delle tribù dei figli
di Giacobbe, al quale era stata rivolta questa
parola del Signore: «Israele sarà il tuo nome».
Con le pietre eresse un altare nel nome del
Signore; scavò intorno all’altare un canaletto,
della capacità di circa due sea di seme. Dispose
la legna, squartò il giovenco e lo pose sulla
legna. Quindi disse: «Riempite quattro anfore
d’acqua e versatele sull’olocausto e sulla
legna!». Ed essi lo fecero. Egli disse: «Fatelo
di nuovo!». Ed essi ripeterono il gesto. Disse
ancora: «Fatelo per la terza volta!». Lo fecero
per la terza volta. L’acqua scorreva intorno
all’altare; anche il canaletto si riempì
d’acqua. Al momento dell’offerta del sacrificio
si avvicinò il profeta Elia e disse: «Signore,
Dio di Abramo, di Isacco e d’Israele, oggi si
sappia che tu sei Dio in Israele e che io sono
tuo servo e che ho fatto tutte queste cose sulla
tua parola. Rispondimi, Signore, rispondimi, e
questo popolo sappia che tu, o Signore, sei Dio
e che converti il loro cuore!». Cadde il fuoco
del Signore e consumò l’olocausto, la legna, le
pietre e la cenere, prosciugando l’acqua del
canaletto. A tal vista, tutto il popolo cadde
con la faccia a terra e disse: «Il Signore è
Dio! Il Signore è Dio!». Elia disse loro:
«Afferrate i profeti di Baal; non ne scappi
neppure uno!»
primo libro dei Re 18,16b-40a Il Signore
manda alcuni messaggi ad Elia che è rimasto solo
in Israele ad onorare pubblicamente il Dio
d'Israele mentre, se non è scomparsa la fede nel
popolo, tutti sono impauriti per la persecuzione
pesante che il re e la regina sviluppano e per
l'uccisione dei profeti che onorano Dio. Tra
coloro che ancora fattivamente adorano Dio c'è
Abdia, il maggiordomo del re Acab, che "teme il
Signore". Poiché è un uomo di molte risorse, è
riuscito a nascondere in alcune grotte almeno
100 profeti di fede genuina e li alimenta in
incognito, con pane ed acqua, in un periodo in
cui una grande siccità sta divorando il lavoro
ed i magri raccolti da almeno da tre anni. Tutta
questa sofferenza e questa miseria, che si
moltiplicano, mettono in grande crisi il
territorio e rendono furiosa l'autorità poiché
si è sparsa la certezza che tale siccità viene
da Dio ed Elia ne è responsabile. Finora Elia è
fuggito, pur inseguito dalle forze militari del
re che non l'hanno saputo incontrare. Ora Elia
stesso, attraverso Abdia, si fa annunciare ad
Acab e propone quello che poi sarebbe stato
detto un "giudizio di Dio". Così la sfida
davanti al popolo, pure impaurito, dà però al
profeta coraggioso il salvacondotto per poter
svolgere la prova. Sono previsti, in pratica, i
due sacrifici fondamentali che si celebrano in
Israele. Quello del mattino viene desiderato dai
sacerdoti di Baal. E tutta l'impetrazione si
allunga ben oltre il mezzogiorno. L'offerta del
pomeriggio viene lasciata ad Elia. Il testo è
gustoso e la provocazione è accompagnata anche
dal sarcasmo del profeta verso gli "idoli muti o
addormentati". I sacerdoti danzano, gridano,
pregano, in attesa che un fuoco dai loro dei
incenerisca l'offerta. Ma invano. Elia è sicuro
nella propria fede e quindi utilizza l'ironia
sulle attese e speranze pagane, risollevando
l'atteggiamento di alcuni convinti e di molti
rassegnati. Nel momento della prova, in un
silenzio drammatico, Dio viene invocato con le
stesse parole con cui Dio si manifestò a Mosé.
"Signore, Dio di Abramo, di Isacco e d'Israele,
oggi si sappia che tu sei Dio in Israele e che
io sono tuo servo e che ho fatto tutte queste
cose sulla tua parola" (v 36). Perciò ciò che
serve in questo momento è che "questo popolo
sappia che tu, o Signore, sei Dio e che converti
il loro cuore!" (v 37). Tutto il seguito è una
rivincita sovrabbondante: il fuoco brucia tutto,
anche le pietre dell'altare e le suppellettili.
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Romani 11,1-15 Fratelli, io
domando: Dio ha forse ripudiato il suo popolo? Impossibile!
Anch’io infatti sono Israelita, della discendenza di Abramo,
della tribù di Beniamino. «Dio non ha ripudiato il suo popolo»,
che egli ha scelto fin da principio. Non sapete ciò che dice la
Scrittura, nel passo in cui Elia ricorre a Dio contro Israele?
Signore, «hanno ucciso i tuoi profeti, hanno rovesciato i tuoi
altari, sono rimasto solo e ora vogliono la mia vita». Che cosa
gli risponde però la voce divina? «Mi sono riservato settemila
uomini, che non hanno piegato il ginocchio davanti a Baal». Così
anche nel tempo presente vi è un resto, secondo una scelta fatta
per grazia. E se lo è per grazia, non lo è per le opere;
altrimenti la grazia non sarebbe più grazia. Che dire dunque?
Israele non ha ottenuto quello che cercava; lo hanno ottenuto
invece gli eletti. Gli altri invece sono stati resi ostinati,
come sta scritto: «Dio ha dato loro uno spirito di torpore,
occhi per non vedere e orecchi per non sentire, fino al giorno
d’oggi». E Davide dice: «Diventi la loro mensa un laccio, un
tranello, un inciampo e un giusto castigo! Siano accecati i loro
occhi in modo che non vedano e fa’ loro curvare la schiena per
sempre!». Ora io dico: forse inciamparono per cadere per sempre?
Certamente no. Ma a causa della loro caduta la salvezza è giunta
alle genti, per suscitare la loro gelosia. Se la loro caduta è
stata ricchezza per il mondo e il loro fallimento ricchezza per
le genti, quanto più la loro totalità! A voi, genti, ecco che
cosa dico: come apostolo delle genti, io faccio onore al mio
ministero, nella speranza di suscitare la gelosia di quelli del
mio sangue e di salvarne alcuni. Se infatti il loro essere
rifiutati è stata una riconciliazione del mondo, che cosa sarà
la loro riammissione se non una vita dai morti?
Romani 11,1-15
Il rifiuto d'Israele è il dramma che pesa
sul cuore di Paolo e sulla coscienza della prima Comunità
cristiana, poiché la lontananza, globalmente presa, del popolo
d'Israele sembra smentire l'opera e la promessa di Dio. E
tuttavia la separazione non è totale ma temporanea. Dio resta
fedele sempre ed ha riservato a sé un "resto" (vv 2b-4). Così il
Signore garantisce che sta continuando il suo piano di salvezza.
Esso, però, dovrà essere colto come dono e non come il risultato
di uno sforzo da parte degli interessati. Chi segue Gesù è stato
scelto con amore, per grazia, e non certo per le sue opere. E
Paolo tiene a ripetere che la sequela di Gesù ci porta a Dio,
perché è Gesù che ha posto in noi questa vocazione. E se la
cultura ed il linguaggio ebraici traducono lo sviluppo di questa
opposizione del popolo ebraico a Cristo come opera di Dio "che
ha indurito e reso sclerotico il loro cuore, duro come un callo
attraverso cui non passa la verità", la riflessione successiva
si ammorbidisce, ricordando che Dio accetta pure di essere
rifiutato là dove la persona ha rinunciato a Dio. La ricerca di
Dio assomiglia ad una corsa. Molti inciampano e sono caduti. Non
si tratta, tuttavia, di un castigo definitivo. Dio si riserva
l'avvenire. Se rifiuta ciò che lo ha rifiutato, tuttavia non
dimentica ciò che ha amato. Se i popoli pagani hanno
approfittato del rifiuto degli ebrei per sostituirsi a loro e
sono così entrati nelle scelte di Dio, questo susciterà gelosia
e quindi reazione per saper ripensare e ritrovare i varchi
sempre aperti che il Signore lascia a tutti, ma ancor più al suo
popolo d'Israele. Tale lontananza ha permesso al mondo pagano di
entrare nella conoscenza del vero Dio. Si verificherà un
avvenimento ancora più grande, quando tutto il mondo sarà
riconciliato con il Signore. L'ingresso dei pagani è allora solo
una tappa, non la sanzione di una maledizione. Il Signore sa
aspettare e sa riprendere. Il Signore non abbandona. Il Signore
continua ad amare. Ed anche Paolo svela le sue intenzioni. Egli
è andato ai pagani con la segreta e certa speranza di poter
aiutare e ricuperare il suo popoloPaolo è sicuro delle
intenzioni di Dio: coraggiose e pazienti. Egli non è impaurito
del tempo che passa, non scoraggiato della fragilità e della
chiusura. La conclusione non sarà solo una conversione ma una
piena risurrezione dei morti. Paolo ci aiuta a rileggere il
cammino della fede, proprio nel tempo in cui ci sembra sia
diventata più fragile e meno consistente. A noi spetta seguire
il Signore con fiducia e con amore e avere la nostalgia di un
mondo di uomini e donne, ricco di pace e di amore.
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Mt
21, 33-46 In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «Ascoltate un’altra
parabola: c’era un uomo, che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La
circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre.
La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. Quando arrivò il
tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il
raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo
uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi
dei primi, ma li trattarono allo stesso modo. Da ultimo mandò loro il proprio
figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Ma i contadini, visto il
figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la
sua eredità!”. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero.
Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?».
Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la
vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo». E Gesù
disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture: “La pietra che i
costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato
fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi”? Perciò io vi dico: a
voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i
frutti. Chi cadrà sopra questa pietra si sfracellerà; e colui sul quale essa
cadrà, verrà stritolato». Udite queste parabole, i capi dei sacerdoti e i
farisei capirono che parlava di loro. Cercavano di catturarlo, ma ebbero
paura della folla, perché lo considerava un profeta. Matteo
21,33-46
Gesù è nel tempio (v 21,23) e sta insegnando. Arrivano anche
i sommi sacerdoti, gli anziani del popolo, le autorità religiose. Ritengono
di avere il diritto di interpellare Gesù poiché custodi della legge. E Gesù
sta insegnando nel tempio, come un maestro della legge. "Con quale autorità
fai questo?". Gesù non rifiuta di rispondere. Chiede solo a loro che prima
essi diano un giudizio sul battesimo di Giovanni il Battista. In fondo Gesù
ha posto questa domanda poiché la loro risposta vuole essere una verifica
della loro serietà di ricerca. Anche le autorità religiose intuiscono il
significato della domanda di Gesù e rifiutano. Proprio i responsabili della
legge rispondono:"Non lo sappiamo". Gesù, di rimando: "Neanche io vi dico con
quale autorità faccio queste cose". Ma Gesù aggiunge due parabole, ambedue
legate all'immagine della vigna, che coinvolge insieme la loro e la sua
posizione. La prima parabola (non riportata in questa
liturgia) parla di due figli a cui il padre chiede di andare a lavorare nella
vigna. Uno risponde di si, e non ci va; l'altro risponde di no e poi ci va.
Gesù pone la domanda: "Chi ha compiuto la volontà del padre?" e non: "Chi è
stato rispettoso con il padre? La seconda parabola si
rifà ad un celebre canto della vigna del profeta Isaia (5,1-7). Il profeta
ricorda che c'è un grave conflitto tra la vigna che rifiuta di dare un frutto
dolce e maturo, e il padrone che, personalmente, ha sviluppato un lavoro
coscienzioso per lungo tempo: "(Il padrone) aspettò che producesse uva, ma
essa fece uva selvatica". Il Padrone è Dio e la vigna è il popolo d'Israele.
Qui Gesù cambia gl'interlocutori del processo. Non è più la vigna che
deve giustificarsi ma sono i lavoratori che si rifiutano di rendere conto del
lavoro fatto. Possono essere ingordi, possono aver sperperato tutto, possono
non aver lavorato. Non si fa un problema del valore del prodotto, ma del
riconoscere il diritto del padrone sulla sua vigna. Al
tempo della vendemmia il padrone manda i suoi servi (i profeti) in due invii
successivi (potrebbero identificarsi quelliviventi prima e dopo l'esilio di
Babilonia). Alla fine il padrone manda il figlio suo
perché continua a sperare nel recupero di queste persone che ha sempre amato
e onorato. E mostra di sperare in una soluzione positiva. Ma, alla vista del
figlio, i vignaioli ribelli non solo continuano nella rivolta, ma sviluppano
ancor di più l'ostinazione di voler diventare i padroni, senza dover più
rendere conto a nessuno.
Così anche il figlio viene
rifiutato anzi, portato fuori dalla vigna, e ucciso.
Credo Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo
e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili. Credo in un solo
Signore, Gesù Cristo, unigenito, Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti
i secoli: Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero; generato, non
creato: della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono
state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo; e
per opera dello Spirito santo si è incarnato nel seno della vergine Maria e
si è fatto uomo. Fu crocifisso per noi, patì sotto Ponzio Pilato, morì e fu
sepolto. Il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture; è salito al
cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per
giudicare i vivi e i morti: e il suo regno non avrà fine. Credo nello Spirito
santo, che è Signore e dà la vita, e procede dal Padre e dal Figlio e con il
Padre ed il Figlio è adorato e glorificato: e ha parlato per mezzo dei
profeti. Credo la Chiesa, una santa cattolica e apostolica. Professo un solo
battesimo per il perdono dei peccati. E aspetto la risurrezione dei morti e
la vita del mondo che verrà. Amen. |