
Domenica all’inizio di Quaresima
18 febbraio 2024
Mt 4, 1-11
Riferimenti : Is 57, 15 ù–58, 4a - Sal 50 2 - Cor 4, 16b – 5, 9 |
Pietà di me, o Dio, nel tuo amore. Pietà di me,
o Dio, nel tuo amore; nella tua grande misericordia cancella la
mia iniquità. Lavami tutto dalla mia colpa, dal mio peccato
rendimi puro. R Sì, le mie iniquità io le riconosco, il mio
peccato mi sta sempre dinanzi. Contro di te, contro te solo ho
peccato, quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto.
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Is 57, 15 – 58, 4a In quei
giorni. Isaia disse: «Così parla l’Alto e
l’Eccelso, che ha una sede eterna e il cui nome
è santo. “In un luogo eccelso e santo io dimoro,
ma sono anche con gli oppressi e gli umiliati,
per ravvivare lo spirito degli umili e rianimare
il cuore degli oppressi. Poiché io non voglio
contendere sempre né per sempre essere adirato;
altrimenti davanti a me verrebbe meno lo spirito
e il soffio vitale che ho creato. Per l’iniquità
della sua avarizia mi sono adirato, l’ho
percosso, mi sono nascosto e sdegnato; eppure
egli, voltandosi, se n’è andato per le strade
del suo cuore. Ho visto le sue vie, ma voglio
sanarlo, guidarlo e offrirgli consolazioni. E ai
suoi afflitti io pongo sulle labbra: ‘Pace, pace
ai lontani e ai vicini – dice il Signore – e io
li guarirò’”. I malvagi sono come un mare
agitato, che non può calmarsi e le cui acque
portano su melma e fango. “Non c’è pace per i
malvagi”, dice il mio Dio. Grida a squarciagola,
non avere riguardo; alza la voce come il corno,
dichiara al mio popolo i suoi delitti, alla casa
di Giacobbe i suoi peccati. Mi cercano ogni
giorno, bramano di conoscere le mie vie, come un
popolo che pratichi la giustizia e non abbia
abbandonato il diritto del suo Dio; mi chiedono
giudizi giusti, bramano la vicinanza di Dio:
“Perché digiunare, se tu non lo vedi,
mortificarci, se tu non lo sai?”. Ecco, nel
giorno del vostro digiuno curate i vostri
affari, angariate tutti i vostri operai. Ecco,
voi digiunate fra litigi e alterchi».
saia 57, 15 - 58, 4a Il profeta Isaia (gli
studiosi considerano questo testo scritto dal "
Terzo Isaia ") vive nel periodo del ritorno da
Babilonia (ha scritto i capitoli 56-66) nel VI
secolo a.C., durante il periodo della
ricostruzione di Gerusalemme. In questo tempo ci
sono difficoltà per il tempio (66,1); la
comunità è rientrata, ma in preda alla sfiducia
e alle lotte intestine (66,5), ha difficoltà di
ordine morale e religioso (55,9-11; 60,20). Vi
sono Giudei che praticano l'idolatria (57,7-8;
65,3. 11) ed i capi del popolo sono inetti ed
indifferenti. Il profeta garantisce la
grandezza di Dio inarrivabile (trascendenza),
insieme con la sua vicinanza, poiché Egli cura
le persone umili e povere (v 15). E se mostra
severità contro i comportamenti malvagi,
tuttavia sa mostrare misericordia perché
altrimenti "davanti a me verrebbe meno lo
spirito e il soffio vitale che ho creato" (v
16). E se il Signore reagisce abbandonando, per
un tempo, coloro che falliscono, tuttavia Egli
ama e garantisce che "guarirà, guiderà,
concederà il conforto a chi sbaglia" (v 18).
Il rapporto con Dio si gioca sempre sulla
libertà di Dio e dell'uomo: al centro c'è la
legge che è la volontà di Dio in rapporto alla
ubbidienza del suo popolo alle scelte morali.
Agli occhi di Dio sono chiari i sentimenti di
ciascuno, le sue vie, le sue afflizioni. Il
testo fa riferimento non solo agli esuli
ritornati, ma anche a coloro che restano
dispersi nelle terre del mondo antico e quindi
non possono tornare a Gerusalemme. Tuttavia il
Signore provvede a tutti ed è misericordioso con
tutti. Ma a Gerusalemme continuano ad esserci
ancora anche degli empi che risiedono nella
comunità dei salvati e che si comportano come il
mare agitato che sconvolge il vivere del popolo.
Imbrattano il mondo spargendo fango e detriti
ovunque. Sembrano ricordi di una alluvione che
si è sviluppata anche allora in tempi di
calamità. Ma il conflitto sulla legge morale,
che Dio verifica, necessita di una mediazione
per la giustizia e il comportamento
irresponsabile del popolo. Perciò Dio ha bisogno
di un profeta.

Monte delle tentazioni |
2Cor 4, 16b – 5, 9 Fratelli, se
anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello
interiore si rinnova di giorno in giorno. Infatti il momentaneo,
leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità
smisurata ed eterna di gloria: noi non fissiamo lo sguardo sulle
cose visibili, ma su quelle invisibili, perché le cose visibili
sono di un momento, quelle invisibili invece sono eterne.
Sappiamo infatti che, quando sarà distrutta la nostra dimora
terrena, che è come una tenda, riceveremo da Dio un’abitazione,
una dimora non costruita da mani d’uomo, eterna, nei cieli.
Perciò, in questa condizione, noi gemiamo e desideriamo
rivestirci della nostra abitazione celeste purché siamo trovati
vestiti, non nudi. In realtà quanti siamo in questa tenda
sospiriamo come sotto un peso, perché non vogliamo essere
spogliati ma rivestiti, affinché ciò che è mortale venga
assorbito dalla vita. E chi ci ha fatti proprio per questo è
Dio, che ci ha dato la caparra dello Spirito. Dunque, sempre
pieni di fiducia e sapendo che siamo in esilio lontano dal
Signore finché abitiamo nel corpo – camminiamo infatti nella
fede e non nella visione –, siamo pieni di fiducia e preferiamo
andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore. Perciò,
sia abitando nel corpo sia andando in esilio, ci sforziamo di
essere a lui graditi. 2Cor 4, 16b - 5, 9
Paolo si sente sfiduciato perché, attorno a lui, sorgono persone
che equivocando il messaggio che egli porta, provocano tensioni
e discordie. Così viene deformato il Vangelo di Gesù e, nello
stesso tempo, vengono messe in cattiva luce la sua persona e la
sua opera di apostolo. D'altra parte Paolo, che incomincia ad
accusare un suo indebolimento fisico, sa confrontare la
tribolazione di un "momentaneo peso leggero nella vita di
quaggiù" con la crescita del vigore di un uomo che rinasce alla
gloria futura, smisurata ed eterna, quale Dio offre a coloro che
lo accolgono. Così le cose visibili sono di un momento, egli
dice; se si paragonano a quelle invisibili, queste sono eterne.
Paolo non disprezza la realtà di questo mondo e non indirizza al
disimpegno e al disinteresse della realtà quotidiana. Invita,
invece, a dare il giusto valore alla propria operosità. I beni
materiali non possono in alcun modo trasformarsi in idoli né
diventare fine ultimo dell'esistenza. Le cose materiali servono
per vivere, non debbono diventare lo scopo fondamentale della
vita umana. Perciò è saggio colui che vive questa vita come
preparazione alla nascita di una nuova e definitiva realtà.
Infatti egli crede che riceveremo, in cambio dell'abitazione
della terra, una dimora eterna nei cieli. Paolo esprime la
certezza della fede in ciò che sta vivendo: il corpo è
paragonato ad una tenda dei beduini che la montano e la smontano
con rapidità, contrapposta alla casa eterna dei cieli cioè la
dimora presso Dio dopo quest'esistenza terrena. Paolo richiama
le due condizioni umane rispetto al mostrarsi del corpo. Con il
nostro corpo possiamo mostrarci vestiti o nudi. Essere vestiti
significa presentarci nello splendore di buone opere che ci
abbelliscono come uno splendente vestito: splendidi perché
rivestiti della dignità di figli di Dio che operano secondo la
volontà di Dio. Essere nudi equivale ad un presentarci davanti a
Dio a mani vuote, e quindi pieni di rossore, nella condizione
dello schiavo che non ha una sua dignità (spesso gli schiavi
venivano venduti nudi come animali). Dio ci ha fatti per la
grandezza, per la trasformazione nella gloria, avendoci dato la
caparra dello Spirito (v 5). Così lo Spirito Santo è la radice e
l' inizio della realtà nuova. Si ritorna allo splendore della
creazione, quando lo Spirito di Dio è il soffio della vita,
offerto all'umanità, ma è anche lo Spirito che aleggia sul mondo
ed è, anche, lo Spirito di Dio nella pienezza dell'amore di Gesù
che ci viene inviato come riconoscimento della ubbidienza e
della disponibilità a seguire la Parola del Fi
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Mt
4, 1-11 In quel tempo. Il Signore Gesù fu condotto dallo Spirito nel
deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni
e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò e gli
disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». Ma
egli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola
che esce dalla bocca di Dio”». Allora il diavolo lo portò nella città santa,
lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio,
gèttati giù; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo
ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una
pietra”». Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: “Non metterai alla prova il
Signore Dio tuo”». Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e
gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: «Tutte
queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». Allora
Gesù gli rispose: «Vattene, Satana! Sta scritto infatti: “Il Signore, Dio
tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”». Allora il diavolo lo lasciò, ed
ecco, degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano. Mt
4,1-11 (Matteo) Il vangelo delle tentazioni di Gesù mi richiama la
preghiera che Lui ci ha insegnato - il Padre nostro- là dove ci fa' chiedere
al Padre di non indurci in tentazione o, meglio, secondo una traduzione più
esatta, di non esporci alla tentazione, di non lasciarci troppo a lungo nella
tentazione. Anche il termine 'tentazioné, così radicato nella recita
abitudinaria e tradizionale di questa preghiera, evocatrice soprattutto di
'tentazioni' legate ai VI comandamento nella versione dei catechismi di una
volta, non è esatto, perché il testo greco ha la parola "peirasmòs", che più
propriamente significa 'prova', 'lottà, 'sfida'. E si tratta di 'prove'
che riguardano il senso da dare alla propria vita e alla propria missione in
essa, la prospettiva, l'orientamento. Non a caso la 'tentazione/prova'
massima per Gesù è la Croce, cioè la rivelazione del dono di Dio, che accetta
di morire con gli uomini e per gli uomini come manifestazione dell'assoluta e
sorprendente gratuità dell'amore: "un amore che rimane fermo, totale, anche
di fronte al rifiuto e al disprezzo, e che appare come la conclusione di una
vita spesa nella gratuità". Le 'prove', presentate a Gesù nel deserto,
sono le scelte che Gesù fa non in una sola volta raccontata in questo
episodio, ma in tutta la sua vita, perché il rifiuto del potere, del successo
e dell'uso stravolto della Parola di Dio a proprio esclusivo vantaggio sono
il modo concreto, visibile di mostrare e annunciare la novità di Dio,
vivendola in prima persona. E la novità di Dio consiste proprio nella
totale accoglienza, da parte di Gesù, della logica del Padre, la cui volontà
è che gli uomini si amino -imparino ad amarsi- come figli dello stesso Padre
misericordioso, al di là di ogni schematismo e rigidità formale o della
mentalità di sfruttare per se stessi i talenti propri e degli altri con la
spettacolarità e l'inganno, peggio ancora con il vuoto e la chiassosità.
Credo Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo
e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili. Credo in un solo
Signore, Gesù Cristo, unigenito, Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti
i secoli: Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero; generato, non
creato: della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono
state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo; e
per opera dello Spirito santo si è incarnato nel seno della vergine Maria e
si è fatto uomo. Fu crocifisso per noi, patì sotto Ponzio Pilato, morì e fu
sepolto. Il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture; è salito al
cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per
giudicare i vivi e i morti: e il suo regno non avrà fine. Credo nello Spirito
santo, che è Signore e dà la vita, e procede dal Padre e dal Figlio e con il
Padre ed il Figlio è adorato e glorificato: e ha parlato per mezzo dei
profeti. Credo la Chiesa, una santa cattolica e apostolica. Professo un solo
battesimo per il perdono dei peccati. E aspetto la risurrezione dei morti e
la vita del mondo che verrà. Amen. |