
IV Domenica di Quaresima
10 marzo 2024
Gv 9, 1-38b
riferimenti : Es 33, 7-11a - Sal 35 - 1Ts 4, 1b-12 |
Signore, nella tua luce vediamo la luce.
Signore, il tuo amore è nel cielo, la tua fedeltà fino alle
nubi, la tua giustizia è come le più alte montagne, il tuo
giudizio come l’abisso profondo: uomini e bestie tu salvi,
Signore. Quanto è prezioso il tuo amore, o Dio! Si rifugiano gli
uomini all’ombra delle tue ali, si saziano dell’abbondanza della
tua casa: tu li disseti al torrente delle tue delizie.
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Es 33, 7-11a In quei giorni. Mosè
prendeva la tenda e la piantava fuori
dell’accampamento, a una certa distanza
dall’accampamento, e l’aveva chiamata tenda del
convegno; appunto a questa tenda del convegno,
posta fuori dell’accampamento, si recava
chiunque volesse consultare il Signore. Quando
Mosè usciva per recarsi alla tenda, tutto il
popolo si alzava in piedi, stando ciascuno
all’ingresso della sua tenda: seguivano con lo
sguardo Mosè, finché non fosse entrato nella
tenda. Quando Mosè entrava nella tenda, scendeva
la colonna di nube e restava all’ingresso della
tenda, e parlava con Mosè. Tutto il popolo
vedeva la colonna di nube, che stava
all’ingresso della tenda, e tutti si alzavano e
si prostravano ciascuno all’ingresso della
propria tenda. Il Signore parlava con Mosè
faccia a faccia, come uno parla con il proprio
amico. Esodo 33, 7-11a
Mentre Mosé è sul monte, il popolo d'Israele ha
rinunciato ad essere fedele, preso dalla paura e
dalla violenza. Ha dimenticato così i propri
impegni assunti nell'Alleanza ed ha provocato la
tragica lacerazione di Mosé che, scendendo dal
Monte, ha eliminato il gruppo dei ribelli. Ma è
da verificare il perché. Dio non ha ordinato il
massacro. Proprio Mosè, che sentirà pronunciare
da Dio che il nome Santissimo del Signore è
misericordia, fedeltà e perdono non sa
interpretare il messaggio per sé. Mosè
crede di aver fatto un'azione giusta contro i
ribelli e immagina così di aver placato l'ira di
Dio: questa infatti è l'immagine che filtra
anche nella riflessione teologica di Mosè e del
suo popolo. Però, poi, Mosé ritorna dal Signore
dicendogli: "Questo popolo ha commesso un grande
peccato: si sono fatti un Dio d'oro. Ma ora, se
tu perdonassi il loro peccato... se no
cancellami dal tuo libro che hai scritto".(v
32,32). Nella consapevolezza del suo compito
Mosè conduce fino in fondo il suo incarico.
Il popolo, tuttavia, non è più affidabile. Il
Signore vuole addirittura abbandonarlo. C'è,
infatti, il pericolo che il Signore faccia
partire il popolo, senza di Lui. "Ma io non
verrò in mezzo a te, per non doverti sterminare
lungo il cammino, perché tu sei popolo di dura
cervice". Questa parola disorienta coloro che
sono rimasti fedeli e "tutti fecero lutto:
nessuno più indossò i suoi ornamenti" (v 33,4)
Dio prende le distanze, ma poi resta. Chiede
solo a Mosè che costruisca la "tenda del
convegno" dove incontrarsi, fuori
dall'accampamento. Il Signore continua ad essere
presente e accanto, continua il suo rapporto
privilegiato con Mosé. A lui, come mediatore,
garantisce una confidenza e una conoscenza che
assomiglia a quella di un uomo verso il proprio
amico. Ricordiamo che la parola, usata in
ebraico, per indicare amicizia, si richiama a
"colui con cui si condivide il pascolo" e quindi
ad un rapporto sereno, confidenziale e non
gerarchico, comprensivo ed accogliente La tenda
è anche il luogo della consultazione del popolo
di Dio e ci si può recare liberamente. Non si
dice come avvenga questa consultazione. Ma Mosé
è un tramite eccellente del dialogo con Dio. Il
popolo, nell'accampamento, ritrova un suo
equilibrio, riconosce e rispetta la
responsabilità di Mosé e scopre, per la propria
fiducia, la presenza di Dio che si fa visibile
attraverso una nube che scende sulla "tenda
dell'incontro". Così ciascuno interrompe ciò che
sta facendo, si ferma all'ingresso della propria
tend

Piscina di Siloe |
1Ts 4, 1b-12 Fratelli, vi
preghiamo e supplichiamo nel Signore Gesù affinché, come avete
imparato da noi il modo di comportarvi e di piacere a Dio – e
così già vi comportate –, possiate progredire ancora di più. Voi
conoscete quali regole di vita vi abbiamo dato da parte del
Signore Gesù. Questa infatti è volontà di Dio, la vostra
santificazione: che vi asteniate dall’impurità, che ciascuno di
voi sappia trattare il proprio corpo con santità e rispetto,
senza lasciarsi dominare dalla passione, come i pagani che non
conoscono Dio; che nessuno in questo campo offenda o inganni il
proprio fratello, perché il Signore punisce tutte queste cose,
come vi abbiamo già detto e ribadito. Dio non ci ha chiamati
all’impurità, ma alla santificazione. Perciò chi disprezza
queste cose non disprezza un uomo, ma Dio stesso, che vi dona il
suo santo Spirito. Riguardo all’amore fraterno, non avete
bisogno che ve ne scriva; voi stessi infatti avete imparato da
Dio ad amarvi gli uni gli altri, e questo lo fate verso tutti i
fratelli dell’intera Macedonia. Ma vi esortiamo, fratelli, a
progredire ancora di più e a fare tutto il possibile per vivere
in pace, occuparvi delle vostre cose e lavorare con le vostre
mani, come vi abbiamo ordinato, e così condurre una vita
decorosa di fronte agli estranei e non avere bisogno di nessuno.
Prima lettai Tessalonicesi 4, 1b-12 Paolo si sente
rassicurato dopo la relazione di Timoteo sulla situazione della
Comunità di Tessalonica, perché ha lasciato, precipitosamente,
alle spalle, una comunità ancora molto immatura, in un clima di
difficoltà. Ma le belle notizie ricevute da Timoteo lo
rasserenano. Così apre questa seconda parte della lettera con
raccomandazioni morali che però hanno sempre Cristo come
riferimento. C'è bisogno di coraggio e di sapienza, insieme ad
una consapevolezza che deve percorrere con decisione cammini
concreti e verificabili. Paolo sa che ci vogliono degli esempi
di vita per aiutare a scoprire stile e metodo di mentalità e di
comportamento. E quindi, in mancanza d'altro (le comunità non si
sono ancora sufficientemente sviluppate), Paolo offre il suo
esempio. Si tratta di agire e di pensare "come avete imparato da
noi il modo di comportarvi e di piacere a Dio"(v1b Poiché
Paolo deve dare orientamenti chiari, ricorda che c'è un
progresso continuo nel vivere da credenti: il Padre vuole che la
sua volontà si manifesti nella loro santificazione. E quando
dice: "imparate da me", non c'è esibizione nell'apostolo, ma la
preoccupazione di comportarsi come un maestro verso i discepoli
che sono inesperti ed hanno bisogno di una guida - La prima
consegna che offre loro è il rispetto del proprio corpo mediante
un comportamento etico, "senza lasciarsi dominare dalla
passione, come i pagani che non conoscono Dio". Paolo rimprovera
fondamentalmente ai greci e al mondo pagano la superficialità e
l'istintività che acquista, nel comportamento tra adulti, forme
di passionalità, propri di popolazioni che non conoscono Dio.
Senza Dio, pensa Paolo, c'è il degrado totale della persona
umana Il secondo impegno si sviluppa nell'accoglienza dell'altro
attraverso la maturazione di un affetto reciproco: "Voi stessi
infatti avete imparato da Dio ad amarvi gli uni gli altri, e
questo lo fate verso tutti i fratelli dell'intera Macedonia".
Paolo si complimenta con questa comunità poiché il messaggio che
è sempre stato nel cuore di Gesù e molto raccomandato, è stato
velocemente maturato e sviluppato, superando anche i confini
della propria comunità, verso i fratelli della intera
Macedonia". - La terza raccomandazione acquista e
interiorizza i valori di una convivenza umana dignitosa in una
vita pacifica e laboriosa. "Fare tutto il possibile per vivere
in pace" e lavorare con responsabilità e con le proprie mani" (v
11). Il lavoro, per non dipendere o sfruttare gli altri e la
manualità che, nel mondo greco, era disprezzata e lasciata agli
schiavi, diventano parametri nuovi e controcorrente poiché i
cristiani debbono sfidare la sapienza ellenica dominante. Già
Paolo stesso si è preoccupato, prima di tutto, come garanzia di
una autentica missione ricevuta, di lavorare e di lavorare
manualmente. Per gli ebrei tutto il mondo creato è fatto da Dio
ed è buono, per i greci la materia è male e bisogna starsene
lontani, indegna di ogni essere libero.
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Gv 9, 1-38b In quel tempo.
Passando, il Signore Gesù vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli
lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia
nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è
perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le
opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando
nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo». Detto
questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli
occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe» – che
significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. Allora i
vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante,
dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni
dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli
diceva: «Sono io!». Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti
gli occhi?». Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi
ha spalmato gli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e làvati!”. Io sono andato,
mi sono lavato e ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov’è costui?».
Rispose: «Non lo so». Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era
un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli
occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la
vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato
e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio,
perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore
compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. Allora dissero
di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto
gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». Ma i Giudei non credettero di lui
che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono
i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È
questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci
vede?». I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e
che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto
gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di
sé». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti
i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il
Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero:
«Ha l’età: chiedetelo a lui!». Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era
stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è
un peccatore». Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io
so: ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come
ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete
ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi
suoi discepoli?». Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo
discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non
sappiamo di dove sia». Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che
voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio
non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli
lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia
aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe
potuto far nulla». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a
noi?». E lo cacciarono fuori. Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando
lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi
è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui
che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!». Giovanni 9, 1-38b Siamo al sesto "segno" sui sette, raccolti nel "libro
dei segni" di Giovanni (1,19-12,50). Essi sono indicatori di Gesù e della
sua dignità. Posti per far scoprire la sua attenzione verso la libertà e
l'autonomia di ogni persona, rilevano, nello stesso tempo, una presenza di
liberazione e di rivelazione esaltante, capace finalmente di aprire gli occhi
sul vero volto di Dio.L'episodio del cieco nato, che acquista la vista,
avviene attorno alla settimana delle capanne (fine settembre-inizio ottobre)
nell'anno 29 d.C. e Gesù si ferma a Gerusalemme fino alla festa della
Dedicazione (dicembre). Il cieco è un mendicante,
sconosciuto anche se tutti lo vedono ogni giorno. Può sperare in qualche
elemosina, in attesa, a volte, di qualche rara sorpresa che lo rallegri. Gli
manca però il meglio che è la vista poiché gli manca la luce. Per l'ebreo la
cecità è una maledizione poiché il cieco non può leggere la Parola di Dio.
Il centro dell'episodio è Gesù che dà la vista ed è la vera luce che
libera e svela il volto di Dio nella realtà quotidiana. Ma centro è anche il
discepolo che accetta di verificare un segno strepitoso di Dio nella sua vita
e lo difende con tutte le sue forze, mettendosi a rischio di una totale
emarginazione. Ci sono molti conflitti in questo
testo: i giudei ed i credenti, i teologi e i discepoli,
l'autorità che comanda ed obbliga ai propri punti di vista ed i
genitori, i diffidenti e il cieco, il male e la liberazione, la malattia e la
guarigione, colui che è venuto: Mosè e colui che è "inviato", il mondo
strutturato in schemi precostituiti e Gesù che libera. Egli, ancor più, rompe
le contrapposizioni, e, alla fine di un itinerario faticoso, viene incontro e
si svela aggregando colui che crede in Lui in un popolo nuovo. Chi detiene la
legge e ritiene perciò di avere ereditato l'autorità di Dio, crede di saper
rettamente interpretare la volontà di Dio, rifiutando tutti gli altri: i
testimoni, i parenti (che rischiano di essere considerati appestati,
scacciati dalla sinagoga e quindi da tenere lontani almeno due metri), il
cieco, Gesù. In questo tempo sono intrecciati i
simboli dell'acqua e della luce e il dono di "avere aperto gli occhi" viene
ripetuto sette volte. Il cieco rappresenta l'umanità perduta nella sua cecità
e ciascuno di noi è chiamato ad incontrare l'acqua viva alla piscina
dell'Inviato. La malattia non è castigo. Ma se
la vivi con responsabilità, accettando i segni che il Signore ti manda,
ricuperi speranza e libertà. Non deve, comunque, diventare ostacolo per una
fedeltà al Signore. Alla saliva e al fango gli
antichi attribuivano proprietà terapeutiche: ma per Gesù c'è il richiamo
all'Adamo nuovo (Gen.2,7): Adamo fu creato con la terra ed il soffio del
Signore ( qui la saliva).
Credo Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo
e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili. Credo in un solo
Signore, Gesù Cristo, unigenito, Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti
i secoli: Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero; generato, non
creato: della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono
state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo; e
per opera dello Spirito santo si è incarnato nel seno della vergine Maria e
si è fatto uomo. Fu crocifisso per noi, patì sotto Ponzio Pilato, morì e fu
sepolto. Il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture; è salito al
cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per
giudicare i vivi e i morti: e il suo regno non avrà fine. Credo nello Spirito
santo, che è Signore e dà la vita, e procede dal Padre e dal Figlio e con il
Padre ed il Figlio è adorato e glorificato: e ha parlato per mezzo dei
profeti. Credo la Chiesa, una santa cattolica e apostolica. Professo un solo
battesimo per il perdono dei peccati. E aspetto la risurrezione dei morti e
la vita del mondo che verrà. Amen. |