
II Domenica dopo il martirio di san Giovanni il Precursore
8 Settembre 2024
Gv 5, 37-47
Riferimenti : Is 63, 7-17 - Sal 79 - Eb 3, 1-6 |
Fa’ splendere il tuo volto, Signore, e noi saremo
salvi. Tu, pastore d’Israele, ascolta, tu che guidi Giuseppe
come un gregge. Seduto sui cherubini, risplendi davanti a
Èfraim, Beniamino e Manasse.Risveglia la tua potenza e vieni a
salvarci. |
Is 63, 7-17 In quei giorni. Isaia
parlò, dicendo: «Voglio ricordare i benefici del
Signore, le glorie del Signore, quanto egli ha
fatto per noi. Egli è grande in bontà per la
casa d’Israele. Egli ci trattò secondo la sua
misericordia, secondo la grandezza della sua
grazia. Disse: “Certo, essi sono il mio popolo,
figli che non deluderanno”, e fu per loro un
salvatore in tutte le loro tribolazioni. Non un
inviato né un angelo, ma egli stesso li ha
salvati; con amore e compassione li ha
riscattati, li ha sollevati e portati su di sé,
tutti i giorni del passato. Ma essi si
ribellarono e contristarono il suo santo
spirito. Egli perciò divenne loro nemico e mosse
loro guerra. Allora si ricordarono dei giorni
antichi, di Mosè suo servo. Dov’è colui che lo
fece salire dal mare con il pastore del suo
gregge? Dov’è colui che gli pose nell’intimo il
suo santo spirito, colui che fece camminare alla
destra di Mosè il suo braccio glorioso, che
divise le acque davanti a loro acquistandosi un
nome eterno, colui che li fece avanzare tra i
flutti come un cavallo nella steppa? Non
inciamparono, come armento che scende per la
valle: lo spirito del Signore li guidava al
riposo. Così tu conducesti il tuo popolo, per
acquistarti un nome glorioso. Guarda dal cielo e
osserva dalla tua dimora santa e gloriosa. Dove
sono il tuo zelo e la tua potenza, il fremito
delle tue viscere e la tua misericordia? Non
forzarti all’insensibilità, perché tu sei nostro
padre, poiché Abramo non ci riconosce e Israele
non si ricorda di noi. Tu, Signore, sei nostro
padre, da sempre ti chiami nostro redentore.
Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle
tue vie e lasci indurire il nostro cuore, così
che non ti tema? Ritorna per amore dei tuoi
servi, per amore delle tribù, tua eredità».
Isaia 63, 7-17 Ciò che abbiamo letto è parte
di una bellissima preghiera di Israele, una
delle più commoventi della Scrittura,
(63,7-64,11) che nasce dalla esperienza
dell'esilio a Babilonia. Siamo alla fine del
secolo VI, e davanti agli occhi resistono ancora
vivissimi i ricordi della distruzione di
Gerusalemme (586 a.C.), le urla delle donne
terrorizzate che fuggono con i loro figli, le
stragi per le strade e le fiamme che avvolgono i
palazzi ed il tempio L'inizio della preghiera
è come una confidenza, un pensiero di speranza
di Dio stesso, che si fida di questo popolo che
ha aiutato in ogni modo. "Senz'altro - pensa il
Signore - questo popolo con la sua intelligenza
e la sua sensibilità saprà riconoscere la bontà
e l'opera svolta per loro. Certo- disse il
Signore- essi sono il mio popolo e i figli che
non deluderanno" (v 8). Il profeta garantisce
che questi sono i pensieri di Dio e lo fa a nome
di Dio, mentre ripensa ai significati della
storia del popolo. Dio stesso si è fatto carico
della salvezza, non ha mandato un angelo o un
messaggero, ma è stato Lui il Salvatore: "Non un
inviato né un angelo, ma egli stesso li ha
salvati; con amore e compassione li ha
riscattati, li ha sollevati e portati su di sé,
tutti i giorni del passato" (63,9). Ma proprio
questo Dio amorevole si sente tradito. Così la
riflessione teologica, propria del Primo
Testamento, ritraduce la sventura successiva del
popolo d'Israele come conclusione della
scellerata decisione di lacerare il patto di
Alleanza da parte dello stesso popolo. Ma, in
tal modo, il popolo di Dio si è ritrovato solo,
in un mondo di violenza e di sopraffazione.
Così l'itinerario del pentimento deve
ricominciare dalle origini, riandare al deserto
e a Mosè che si fece umile mediatore e quindi
ubbidiente testimone delle promesse di Dio (v
16).. C'è una sintesi interessantissima che
raccoglie in 5 frasi l'opera discreta e profonda
di Dio ( " Dov'è colui che? Cinque come i libri
della Legge: riassunto della sapienza e della
storia; vv 11-13). La preghiera si apre in
una accorata invocazione a Dio che, per la prima
volta, viene chiamato Padre. Gli ebrei sono
restii a chiamare Dio Padre poiché è questo il
titolo che i pagani utilizzano per i loro dei,
che usano sposare le figlie degli uomini ed
avere figli e figlie. Ma Gesù questo titolo lo
utilizzerà almeno 184 volte nei vangeli. Dio è
l'Unico, il Padre suo e di tutti noi.
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Eb 3, 1-6 Fratelli santi, voi che
siete partecipi di una vocazione celeste, prestate attenzione a
Gesù, l’apostolo e sommo sacerdote della fede che noi
professiamo, il quale è degno di fede per colui che l’ha
costituito tale, come lo fu anche Mosè in tutta la sua casa. Ma,
in confronto a Mosè, egli è stato giudicato degno di una gloria
tanto maggiore quanto l’onore del costruttore della casa supera
quello della casa stessa. Ogni casa infatti viene costruita da
qualcuno; ma colui che ha costruito tutto è Dio. In verità Mosè
fu degno di fede in tutta la sua casa come servitore, per dare
testimonianza di ciò che doveva essere annunciato più tardi.
Cristo, invece, lo fu come figlio, posto sopra la sua casa. E la
sua casa siamo noi, se conserviamo la libertà e la speranza di
cui ci vantiamo. Ebrei. 3, 1-6 La lettera è
indirizzata soprattutto ad una comunità di Giudei cristiani. E'
piuttosto difficile, nella prima generazione della Chiesa,
convincere i Giudei che diventano Cristiani di lasciare
completamente molta parte della loro vecchia religione, da
sempre rispettata, per accettare quella nuova. Alcuni erano
propensi a ritornare al giudaismo dopo aver accettato la fede
cristiana. Gli argomenti principali sono la superiorità di
Cristo come sacerdote su Aronne, e la superiorità del sacrificio
di se stesso sulla legge. Tutto questo dimostra, infatti, non
solo la superiorità di Cristo, ma impegna anche che il
sacerdozio di Aronne e i sacrifici della legge non debbono
essere più osservati. Dimostra anche che tutti i riti della
legge che dipendono dal sacerdozio di Aronne e dai sacrifici a
questo collegati sono passati con essi. Gesù è chiamato
"apostolo e sommo sacerdote". Normalmente l'essere apostoli è
dei discepoli inviati da Gesù, ma qui Gesù è il grande apostolo,
cioè «inviato» da Dio agli uomini (cf.Gv 3,17+.34;5,36;9,7;Rm
1,1+;8,3;Gal 4,4) e sommo sacerdote, che rappresenta gli uomini
presso Dio (cf.2,17;4,14+;5,5.10;6,20;7,26;8,1;9,11;10,21).
Il testo di oggi è all'inizio della sezione che presenta Gesù:
"Sommo sacerdote, degno di fede e misericordioso" (3,1-5,10). Il
termine di paragone è Mosè che ha condotto il popolo verso la
terra promessa. Sia Gesù che Mosè sono stati fedeli al Padre e
tutti e due hanno dato prova di tale adesione nella "casa di
Dio". Infatti Mosé e Gesù hanno operato nella "casa" (che è il
popolo d'Israele). Ma Mosé ha avuto da Dio un incarico come
servo mentre è membro del popolo. Gesù, invece, Figlio e
Messia (Cristo), non partecipa alla costruzione, ma Lui stesso è
costruttore di una propria casa, "non costruita da mano d'uomo"
(9,11). Esistiamo allora come popolo nuovo, assolutamente
unico poiché poggia sulla fede in Gesù. E siamo un popolo nuovo
non per etichetta o per riferimento culturale, tradizione od
abitudini. "E la sua casa siamo noi, se conserviamo la libertà e
la speranza di cui ci vantiamo" (v 6).
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Gv
5, 37-47 In quel
tempo. Il Signore Gesù disse: «Anche il Padre, che mi ha mandato, ha dato
testimonianza di me. Ma voi non avete mai ascoltato la sua voce né avete mai
visto il suo volto, e la sua parola non rimane in voi; infatti non credete a
colui che egli ha mandato. Voi scrutate le Scritture, pensando di avere in
esse la vita eterna: sono proprio esse che danno testimonianza di me. Ma voi
non volete venire a me per avere vita. Io non ricevo gloria dagli uomini. Ma
vi conosco: non avete in voi l’amore di Dio. Io sono venuto nel nome del
Padre mio e voi non mi accogliete; se un altro venisse nel proprio nome, lo
accogliereste. E come potete credere, voi che ricevete gloria gli uni dagli
altri, e non cercate la gloria che viene dall’unico Dio? Non crediate che
sarò io ad accusarvi davanti al Padre; vi è già chi vi accusa: Mosè, nel
quale riponete la vostra speranza. Se infatti credeste a Mosè, credereste
anche a me; perché egli ha scritto di me. Ma se non credete ai suoi scritti,
come potrete credere alle mie parole?».
Giovanni 5, 37-47 Tra i sette segni che Giovanni sviluppa, ritroviamo la
guarigione e quindi la vita, restituite al paralitico alla piscina di
Bethesda (5,1-18). La malattia che soffre da 38 anni lo qualifica come una
persona senza speranza (è interessante il numero 38 in rapporto al
Deuteronomio 2,14 dove si ricorda che gli ebrei, usciti dall'Egitto e che
hanno soggiornato nel deserto per 38 anni, non potranno entrare nella terra
promessa, ma moriranno prima). Sorge una durissima polemica, all'inizio,
tra i giudei e l'uomo guarito, che secondo l'invito di Gesù, torna a casa,
portandosi il suo giaciglio. Ma è giorno di riposo e quindi porta un peso:
viene violato il comando di Dio, il primo comando della Legge che vale quanto
la Legge stessa. Poi la discussione, accesissima e pesante, si sviluppa
con Gesù (5,19-47). Oggi leggiamo solo un tratto, in un quadro di drammatiche
accuse e di coraggiose testimonianze, che oltrepassano di molto il senso
della nostra comprensione. A noi sembra banale l'accusa eppure coinvolge
tutta la religiosità ebraica del suo tempo.. Tutto il testo adopera un
linguaggio adatto ad un tribunale. Qui si tratta veramente di un giudizio:
verificare davanti a Dio il valore della legge e il valore di Gesù, per
esaminare se è colpevole o innocente. Dal valore delle prove vengono la
soluzione e quindi la legittimità dell'operato di Gesù. Per Gesù i
testimoni sono: le sue opere, il Padre e le Scritture (vv 36-47); per i
giudei i testimoni sono Mosé e i suoi scritti. Gesù potrebbe anche portare la
testimonianza di Giovanni Battista, Ma è una testimonianza umana, data
all'inizio della sua predicazione e che non si può elevare al livello della
parola di Mosè, tanto più che Giovanni ha sempre negato di essere Elia, o il
profeta o il Messia (vv.33-36). Sono le opere che lo garantiscono: le
guarigioni tra i malati, gli storpi, i moribondi: le vere opere di Dio, opere
della misericordia e della liberazione. I giudei non sanno fare un
collegamento tra la sua opera che soccorre i poveri e guarisce i malati e la
volontà di Dio che desidera la liberazione di ogni persona. In tal modo essi-
dice Gesù - non credono nel Padre. Il Padre invece riconosce le opere di Gesù
perché sono secondo la Sua volontà e quindi riconosce Gesù stesso.
Credo Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo
e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili. Credo in un solo
Signore, Gesù Cristo, unigenito, Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti
i secoli: Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero; generato, non
creato: della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono
state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo; e
per opera dello Spirito santo si è incarnato nel seno della vergine Maria e
si è fatto uomo. Fu crocifisso per noi, patì sotto Ponzio Pilato, morì e fu
sepolto. Il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture; è salito al
cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per
giudicare i vivi e i morti: e il suo regno non avrà fine. Credo nello Spirito
santo, che è Signore e dà la vita, e procede dal Padre e dal Figlio e con il
Padre ed il Figlio è adorato e glorificato: e ha parlato per mezzo dei
profeti. Credo la Chiesa, una santa cattolica e apostolica. Professo un solo
battesimo per il perdono dei peccati. E aspetto la risurrezione dei morti e
la vita del mondo che verrà. Amen. |