
IV Domenica dopo il martirio di san Giovanni il Precursore 21
settembre 2025 Gv 6, 51-59 Sal 33 Pr 9, 1-61Cor 10, 14-21
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Gustate e vedete com’è buono il Signore. Benedirò il
Signore in ogni tempo, sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
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Pr 9, 1-6 La sapienza si è costruita la sua
casa, ha intagliato le sue sette colonne. Ha
ucciso il suo bestiame, ha preparato il suo vino
e ha imbandito la sua tavola. Ha mandato le sue
ancelle a proclamare sui punti più alti della
città: «Chi è inesperto venga qui!». A chi è
privo di senno ella dice: «Venite, mangiate il
mio pane, bevete il vino che io ho preparato.
Abbandonate l’inesperienza e vivrete, andate
diritti per la via dell’intelligenza».
Proverbi. 9, 1-6 Dopo aver sviluppato una
lunga introduzione alla raccolta dei detti
sapienziali, attribuiti a Salomone, re sapiente
di Israele (sec X), incontriamo, a modo di
parabola, due donne che rappresentano la
Sapienza e la Follia. Già in precedenza,
l'autore ne ha parlato, ma qui colloca le due
donne nella loro casa, aperta ad ogni persona,
invitata ad incontrare colei che può dare
felicità e gusto della vita. Nel testo di
oggi viene ricordata la casa ed il profilo della
Sapienza. Un casa splendida con sette colonne
che ricordano la stabilità e la perfezione: le
colonne erano solo nelle case nobili per poter
avere sale spaziose e protette, il numero sette
richiama lo splendore e la completezza. La
tavola è imbandita e, dai punti più alti della
città, viene proclamato il messaggio ad ogni
persona. Le ancelle, poi, vanno per le strade ad
incoraggiare gli inesperti e chi si rende contro
di mancare di intelligenza e di preparazione
nella vita. Perciò il messaggio e l'invito
valgono per tutti, ma, prima di tutti, sono
invitati quelli che hanno bisogno e sono poveri
di comprensione. Anche Donna Follia ha
imbandito un banchetto (9,13-18). Essa però non
va in cerca, ma "sta seduta alla porta di casa,
su un trono in luogo alto della città" e invita
gli stessi passanti, rintracciati dalle ancelle
della Sapienza: "gli inesperti e i privi di
senno". La Sapienza offre da mangiare il pane e
da bere il vino. La Follia non ha vino (il
vino è la gioia messianica) ma acqua: "le acque
furtive sono dolci" e il pane gustoso perché
"preso di nascosto" ( si gioca sul gusto del
proibito). La Sapienza incoraggia a istruire ed
educare, tenendo presente che "principio della
Sapienza è il Timore del Signore". Timore del
Signore non è la paura ma la consapevolezza che
bisogna evitare il male, la stessa impressione
che ci viene se sporchiamo il mondo, inquiniamo
il terreno, mentre abbiamo maturato il rispetto
del creato. Il timore di Dio è il timore di
offendere, disgustare, rovinare, disprezzare ciò
che vale. In questi giorni l'inizio della
scuola è un tempo importante per tutta la nostra
comunità: qualcuno esperto in diverse materie si
prende carico delle nuove generazioni e aiuta a
superare l'inesperienza e la mancanza di
sapienza. Ma se la conoscenza può essere data a
scuola, la Sapienza è anche frutto di interventi
diversi: la conoscenza, il saper valutare il
valore di una cosa o di un'azione, il desiderio
di costruire insieme, il coraggio di aiutare chi
è in difficoltà, la forza di affrontare senza
paura la fatica in vista di un progetto grande.
Solo la scuola non riesce a dare la Sapienza ai
giovani, se non ci sono gli altri contributi di
soggetti vicini: in particolare, la famiglia,
gli amici, la Comunità cristiana, gli stessi
adulti vicini o gli adulti "modello". La
conoscenza che si riceve a scuola ha bisogno di
tanti altri collaboratori che, mentre la
valorizzano, la stimano, la cercano, la
promuovono in tutto il contesto in cui si vive.
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1Cor 10, 14-21 Miei cari, state lontani
dall’idolatria. Parlo come a persone intelligenti. Giudicate voi
stessi quello che dico: il calice della benedizione che noi
benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il
pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di
Cristo? Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un
solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane. Guardate
l’Israele secondo la carne: quelli che mangiano le vittime
sacrificali non sono forse in comunione con l’altare? Che cosa
dunque intendo dire? Che la carne sacrificata agli idoli vale
qualcosa? O che un idolo vale qualcosa? No, ma dico che quei
sacrifici sono offerti ai demòni e non a Dio. Ora, io non voglio
che voi entriate in comunione con i demòni; non potete bere il
calice del Signore e il calice dei demòni; non potete
partecipare alla mensa del Signore e alla mensa dei demòni. 1
Corinzi. 10, 14-21 Nella sua prima lettera ai Corinzi, Paolo
unisce insieme verità di fede e suggerimenti pastorali. E' un
attento osservatore dei fatti della vita quotidiana e suggerisce
che i credenti si convertano alla vita e alla Parola di Gesù. La
fede, infatti, comporta uno stile di vita coerente con le sue
scelte ed obbliga ad una revisione non solo i pagani, che si
sono convertiti, ma lo stesso popolo d'Israele, legato alla
legge di Mosè. Un problema pastorale, per noi curioso, è già
stato iniziato al cap.8: ci si interroga sul proprio
comportamento in rapporto con la carne comprata al mercato o la
carne utilizzata da parenti che non sono cristiani e che hanno
invitato a mangiare a casa loro amici e parenti cristiani. Il
problema si pone perché tutta la carne, anche quella in vendita
sul mercato, proviene da sacrifici offerti agli idoli. Paolo
sviluppa alcune riflessioni teologiche. In fondo gli dei pagani
non esistono e quindi il mangiare carne offerta agli idoli è
inoffensivo. Ma d'altro lato l'adesione a pratiche idolatre
suppongono la fede non tanto in Dio ma ad un antagonista di Dio
che perciò è un demonio. In conclusione, se i cristiani non
debbono partecipare al culto degli idoli, tuttavia non sono
obbligati ad indagare su eventuali operazioni cultuali
precedenti, qualora siano stati invitati ad un banchetto. Se non
sanno la provenienza della carne, non si preoccupino. Se invece
ne sono consapevoli, allora se ne astengano, soprattutto se la
segnalazione viene da un fratello o una sorella nella fede, per
non offendere la debolezza della fede di qualcuno che potrebbe
scandalizzarsi (10,23-32). Ma, riprendendo la problematica
del capitolo 8, Paolo si preoccupa che non si ritorni alla
idolatria. Partecipare ai banchetti idolatrici fa conseguire una
vicinanza con la divinità che l'idolo rappresenta: attraverso il
cibo noi costituiamo un incontro, una presenza del divino nel
fedele. Viene ricordata l'Eucarestia con una formulazione già
arcaica, che fa riferimento alle iniziali descrizioni sintesi,
esistenti nella prima Comunità cristiana: sottolineano i tratti
comunitari e la partecipazione: "Il calice della benedizione che
noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo?
E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo
di Cristo? Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un
solo corpo: tutti infatti partecipiamo all'unico pane"
(10,16-17). E' la sintesi dell'ultima Cena, maturata come
adesione piena e totale con Gesù per cui diventiamo, con Lui, un
solo corpo. E noi, insieme, siamo la Chiesa, presenza di Gesù
nel mondo. In tal modo noi ritroviamo, a livello altissimo, un
legame tra credenti e l'unità al Padre attraverso Gesù.
Dall'idolatria come culto bisogna stare attenti poiché la si può
vivere anche oggi come stile di vita e come metodo di scelte,
quando la Parola di Gesù viene dimenticata nelle nostre scelte
economiche, di convivenza, di rapporti sociali fino alle
lacerazioni ideologiche che portano alla dissoluzione di
condivisioni, alla violenza, alla distruzione della persona e
dei popoli. E si vive come se Dio non esista.
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Gv 6, 51-59
In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «Io sono
il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno
e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Allora i Giudei
si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua
carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se
non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non
avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita
eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero
cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio
sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me
e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è
il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e
morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno». Gesù disse queste cose,
insegnando nella sinagoga a Cafàrnao. Giovanni 6, 51-59
Leggiamo, oggi, un brano del lungo discorso che Gesù pronuncia nella sinagoga
di Cafarnao, il giorno dopo che è stato spezzato il pane per 5000 persone al
di là del lago. La gente ha tentato di sequestrarlo per farlo re, poiché
hanno ritenuto che, miracolosamente, questo anonimo profeta Galileo possa
risolvere con la sua potenza tutti i loro problemi. E' sfuggito loro di mano,
l'hanno cercato tutta la notte, sono tornati alla riva opposta, a Cafarnao e
lo trovano nella sinagoga il giorno dopo. La prima domanda che viene
spontanea: "Rabbi, quando sei venuto qui?" E Gesù risponde chiarendo loro il
senso della loro ricerca che è una ricerca ambigua e che debbono verificare
la fede: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete
visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati.
Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la
vita eterna e che il Figlio dell'uomo vi darà. Perché su di lui il Padre,
Dio, ha messo il suo sigillo» (6,26-27). Così tutto il capitolo è il
tentativo di Gesù di aiutare a scoprire il segno che essi hanno visto nella
potenza di sfamare ma che hanno equivocato. Essi, infatti, hanno bisogno di
sfamarsi del pane vero. E Gesù vuol fare loro capire la sua identità,
presentandosi come "pane della vita, disceso dal cielo (6,33-35). A questo
punto ci si ritrova con una reazione abbastanza scontata, frutto della loro
delusione e della loro sorpresa: "Chi credi di essere?" (6,42) Gesù non
aggiusta la sua risposta sulle attese o sulla comprensione dei suoi
interlocutori ma carica la dose: "Il pane da mangiare non è solo la sua
dottrina ma la sua carne". Nella Bibbia "il Dio che si fa carne" (Gv1,14)
significa che si deve riconoscere la sua povertà e limitatezza e che si
rivela attraverso un galileo, vissuto in una famiglia semplice e conosciuta,
figlio di Giuseppe il carpentiere. Ma la domanda continua sconcertata: "Come
possiamo mangiare una persona?" Gesù parla anche di "bere il suo sangue"
(6,52). In Israele è severamente proibito bere il sangue di una animale
perché la vita degli animali e ancor più la vita delle persone è nel sangue e
la vita dell'uomo e degli animali appartiene a Dio (Lev17,10-11). L'incontro
con Gesù si completa in un gesto misterioso: "Chi mangia la mia carne e beve
il mio sangue dimora in me e io in lui" (Gv. 6,54). Nessuno lo può capire a
Cafarnao né lo capiscono gli apostoli che tuttavia, a parte qualche reazione
spesso bloccata da Gesù, sanno fidarsi di Lui e della sua verità. Sarà dopo
l'ultima Cena e quindi dopo la Pentecoste (l'immersione nello Spirito santo)
che riusciranno a cogliere il significato di quelle parole di Cafarnao nel
"segno": ritrovarsi insieme e ripetere le parola di Gesù sul pane e sul vino.
Essi, allora, colgono la possibilità del segno (sacramento) che è mistero e
rivelazione della presenza particolare di Gesù tra i suoi. Così ce lo hanno
trasmesso, allo stesso modo, e con la stessa fede che hanno di domenica in
domenica celebrato.
Credo Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo
e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili. Credo in un solo
Signore, Gesù Cristo, unigenito, Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti
i secoli: Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero; generato, non
creato: della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono
state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo; e
per opera dello Spirito santo si è incarnato nel seno della vergine Maria e
si è fatto uomo. Fu crocifisso per noi, patì sotto Ponzio Pilato, morì e fu
sepolto. Il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture; è salito al
cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per
giudicare i vivi e i morti: e il suo regno non avrà fine. Credo nello Spirito
santo, che è Signore e dà la vita, e procede dal Padre e dal Figlio e con il
Padre ed il Figlio è adorato e glorificato: e ha parlato per mezzo dei
profeti. Credo la Chiesa, una santa cattolica e apostolica. Professo un solo
battesimo per il perdono dei peccati. E aspetto la risurrezione dei morti e
la vita del mondo che verrà. Amen. |