PARROCCHIA
S. MARIA REGINA
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Anno 2002
Numero 1 - Settembre 2001

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La fiaba di Cenerentola

Oggi la vita media si ?allungata (cos?si dice) e sar?anche vero, forse per merito della scienza medica o forse e soprattutto - penso io - per la "qualit?del legno" che contraddistingue alcune persone.

Infondo se prendo in considerazione la mia piccola casistica di pazienti un discreto numero ha superato il traguardo dell?ottantina o gi?di l? quella generazione che ha vissuto e sub?o la guerra, con tutto il suo fardello di dolore, di stenti, di fame, di lutti e disperazione; qualcuno, anzi, ha anche provato il soggiorno nei "campeggi tedeschi" dove "il lavoro rendeva liberi", nel senso che sia uno ci lasciasse la vita o salvasse la pelle, comunque si liberava da una esperienza assurda e da un vero incubo. Oggi i "ragazzi del ?18-?19-?20" che sono ancora vivi non sono pochi, segno che la loro vita un po? "movimentata" li ha temprati a tante altre prove, ha creato in loro validi anticorpi per affrontare le situazioni pi?difficili, permettendo di trovare una sistemazione dignitosa per loro e per i figli. Cos?capita di trovare queste persone rimaste vedove od ancora in coppia, ma con seri problemi di salute, che restano sole tra le mura domestiche, sudate mattone su mattone, perch?i figli o i parenti non hanno la possibilit?di accoglierli con loro o per motivi di lavoro non possono accudirli con continuit? E? un problema molto serio e sempre pi?attuale in questa nostra societ?che invecchia; senza farne una colpa a nessuno e tanto meno senza ombra di giudizio le soluzioni sono solo due: la struttura protetta tipo ospizio o la persona tipo colf che si prende cura giorno e notte dell?anziano, abitando sotto lo stesso tetto. Poich?la prima soluzione spesso non ?percorribile per carenza di strutture a prezzi accessibili, la seconda prende sempre pi?piede grazie al reperimento di persone extracomunitarie in cerca di lavoro e di una sistemazione abitativa relativamente stabile.

Nel mio giro di visite domiciliari ho cominciato ad incontrare volti nuovi accanto ai miei pazienti;

si tratta spesso di donne provenienti dall?America Latina (Ecuador, Per? Cile, Bolivia), donne che hanno lasciato non solo il loro paese, ma anche gli affetti pi? cari, marito, figli, genitori per migliorare con il loro lavoro la situazione di povert?nella loro terra. Non penso sia una situazione poco pesante quella di L. originaria dell?Ecuador, una laurea in medicina, che qui non vale niente, che deve adattarsi a svolgere non solo mansioni da infermiera, ma anche da inserviente, considerato il tipo di malato impegnativo che deve seguire. Tutto questo genera un senso di imbarazzo quando lo visito, come se stessi umiliando quella sfortunata collega.

Mi fa tenerezza un?altra ragazza ecuadoregna, diplomata maestra, che mi viene sempre ad aprire la porta quando faccio visita alla "sua famiglia"; un buongiorno sincero, un sorriso luminoso che risalta su quel viso dolce e di colore olivastro, il capo leggermente inchinato in segno di omaggio per l?ospite. Poi ritorna subito ai suoi lavori, svolti ordinatamente senza soste strategiche, con discrezione e gentilezza, che traspare da ogni suo gesto. Una domenica l?ho incontrata in una chiesa locale intenta a pregare di fronte al quadro della Vergine: mi ha confidato che stava pregando per la "sua signora" perch?la vede soffrire tanto.

Che dire poi di quella signora peruviana, che vive con due miei "ragazzi del ?99", che mi accoglie gioiosamente con un sonoro "ciao dottore"; la sua presenza ed il suo brio mitigano l?atmosfera piuttosto depressa della casa, soprattutto in questi ultimi tempi. Il suo saluto cos?simpatico mi fa sentire giovane e pieno di energia tanto che potrei scalare le Ande peruviane!

Ultimamente, invece, accanto ad un mio paziente rimasto da poco vedovo e con qualche problemino di salute, c??un ragazzo boliviano, poco pi?che ventenne. Un bel fusto, spesso questa estate si aggirava a torso nudo in casa, mostrando i segni ben visibili di un?acne giovanile, per la quale ho consigliato bagni di sole; ma il sole di Busto non ?altrettanto efficace come quello degli altopiani boliviani. Nonostante l?immancabile radio registratore che diffonde musiche da hit parade, non ?mai fermo: ora a scopare, ora a preparare il pranzo, ora a fare il bucato: insomma ?un ragazzo da sposare!

Osservare queste situazioni porta necessariamente a riflettere sulla globalizzazione: mondi diversi, culture diverse, lingue diverse, persone diverse possono convivere accettando la propria diversit?fino a valorizzarla pienamente. E? buffo sentire la ragazza sudamericana spiaccicare qualche parola in dialetto bustocco o veneto, testimonianza di volersi far accettare e rispetto alla cultura dell?altro, oppure ?altrettanto significativo l?apprezzamento del tocco etnico in cucina del ragazzo boliviano da parte del sig. A. a lui affidato.

Sembra di rivivere un po? la fiaba di Cenerentola, dato il ruolo di queste persone; per la loro disponibilit?e pazienza riescono ad integrarsi molto bene nella nostra societ? Per ci?come ogni fiaba che si rispetti anche questa ?a lieto fine.

Sandro

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