Pagina 4 - Il Tassello

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Dopo la quarantena
Il comandamento della gioia
D
opo la penitenza, la gio-
ia. Dopo la Quaresima,
la gioia della Pasqua.
Ma davvero il cristiano è una
persona felice? Ha il cristiano
il diritto di essere felice?
Di più: pare che il cristiano ab-
bia il
dovere
di essere felice. La
gioia per il cristiano non è una
possibilità, ma una responsabi-
lità. Dal punto di vista dell’espe-
rienza cristiana, la gioia non è
un
optional
, ma un compito,
l’adempimento di un comando:
“Rallegratevi nel signore, sem-
pre; ve lo ripeto ancora, ralle-
gratevi!” (Fil 4,4).
Qualcuno forse può essere deluso: anche la
felicità è comandata? anch’essa è ridotta a do-
vere? se anche la felicità diventa un peso in più
da portare, cosa resta di sopportabile in questa
vita?
Queste obiezioni contengono una verità: la
testimonianza dei cristiani ci attesta che dav-
vero la felicità può essere speri-
mentata come un
peso
, proprio
là dove il nostro cuore sembra
troppo angusto, le nostre forze
troppo limitate per sostenere
una realtà tanto grande.
Prendiamo per esempio una
breve poesia di quello che è co-
nosciuto come il “santo della
gioia”, san Filippo Neri: è una
delle pochissime pagine che que-
sto straordinario personaggio ci
ha lasciato, scritta nell’italiano
del ‘500:
Amo, e non posso non amarvi, quando
resto cotanto vinto dal desio,
che’l mio nel vostro, e ‘l vostro amor nel mio;
anzi ch’io ‘n voi, voi ‘n me ci andiam cangiando.
E tempo ben saria veder il quando
ch’alfin io esca d’esto carcer rio,
di così folle e così cieco oblio,
dov’io mi trovo, e di me stesso in bando.
Ride la terra e ‘l cielo e l’ora e i rami,
stan queti i venti, e son tranquille l’onde,
e ‘l sol mai si lucente non apparse.
e far sentire la riconoscenza al
suo Signore per la bella notizia
di essere salvati.
Ripenso alla Messa di inau-
gurazione dell’anno sacerdo-
tale, venerdì 19 febbraio, nella
chiesa parrocchiale di Kabala-
ye, strapiena di fedeli. E’ dura-
ta oltre due ore, ma poi io sono
venuto via perché dovevo ri-
partire per l’Italia e essi hanno
continuato a fare festa. Fede
di africani che sono contenti
di essere stati evangelizzati dai
nostri missionari. Il missiona-
rio: la mano di Dio nell’Africa
che rinasce.
E invece mi viene addos-
so una certa tristezza quando
penso all’annuncio della risur-
rezione nelle nostre chiese. Alla
proclamazione sacerdotale:
Cristo è risorto da morte, noi
rispondiamo, se rispondiamo,
stentatamente uno striminzito:
Deo gratias, molto debole, sen-
za entusiasmo. Un “rendiamo
grazie a Dio” che dà l’impres-
sione di dire: meno male che è
finita la quaresima.
Sono pessimista? Provate a
venire a certe Messe dove sem-
bra che il prete faccia l’attore
e la gente lo spettatore di uno
spettacolo imposto e mal sop-
portato.
Abbiamo bisogno di entu-
siasmarci, di gridare con gioia
“Amen, alleluia”
una, due, tre,
cento volte mentre le campane
suonano a festa. Gioia perché
Cristo è risorto. Ma davvero
siamo contenti? Lo viviamo
questo entusiasmo?
Sento ripetere da alcuni cri-
stiani la paura che l’Islam ci
soppianterà. Sì, l’Islam trion-
ferà là dove cesserà il nostro
entusiasmo di professarci cri-
stiani, quando ci accontentia-
mo di appendere il Crocifisso
nelle scuole, senza andare ad
adorarlo nella nostra chiesa;
quando facciamo belle profes-
sioni di fede a parole e non ri-
conosciamo di essere peccato-
ri, bisognosi della misericordia
e del perdono di Dio.
Viviamo con entusiasmo la
nostra fede e sarà per tutti noi
gioia di vivere.
Don Peppino