PARROCCHIA
S. MARIA REGINA
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Anno 2008/2009
Numero 7 - maggio 2009

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La mia festa

In tutte le religioni la festa è un elemento essenziale del culto: mediante certi riti fissati nel tempo l’assemblea esalta nella gioia alcuni aspetti della vita umana; rende grazie e implora il favore della divinità.

Nella Bibbia la festa è un ricordo e un legame al Dio che salva e che agisce incessantemente a favore del suo popolo. Le diverse feste d’Israele sono in funzione del passato che ricordano, del futuro che annunciano, e del presente di cui rivelano l’esigenza.

È celebrazione riconoscente dei grandi fatti della salvezza e della liberazione.

Israele celebra il suo Dio a diversi titoli. Il Creatore è commemorato ogni sabato; il liberatore dall’Egitto è presente nella festa di Pasqua, festa del passaggio dalla schiavitù alla libertà; la festa dei tabernacoli ricorda gli anni del deserto quando viveva sotto le tende; la festa di Pentecoste ricorda il dono della legge sul Sinai. Nella preghiera dell’ebreo s’innalza il ringraziamento per i doni della terra e per i grandi fatti del passato.

È anticipazione gioiosa del futuro.

Il passato di Dio assicura il futuro del popolo eletto. L’esodo commemorato annuncia e garantisce un nuovo esodo: un giorno Israele sarà definitivamente liberato; il regno d’Israele si estenderà a tutte le nazioni che saliranno a Gerusalemme.

È esigenza del presente.

Infatti la gioia non è autentica se non emana da un cuore contrito e purificato. I salmi ricordano questa esigenza. I profeti non cessano di protestare contro la sicurezza illusoria che può dare una festa gioiosa compiuta con cuori infedeli.

Senza dubbio Gesù ha osservato le feste ebraiche del suo tempo, ma mostrava già che la sua persona e la sua opera conferivano loro un pieno significato. Così la festa di Pasqua è diventata la festa definitiva ed eterna.

La Pasqua cristiana riporta all’unità tutte le feste ebraiche e conferisce un senso nuovo alle molteplici feste della Chiesa qui in terra. Essa concentra la celebrazione del mistero pasquale, che commemora nell’Eucaristia la quale raduna la comunità alla domenica, giorno della risurrezione del Signore. Punto di partenza della settimana la domenica segna la novità della festa cristiana, festa unica che illumina tutto l’anno religioso. Per questo motivo io, prete, faccio festa ogni domenica. E se anche è giorno di lavoro intenso (qualcuno dice che è l’unico giorno in cui lavora il prete) alla sera sono felice, stanco, ma felice.

Perché faccio festa alla domenica?

Perché mi sento uomo della speranza, inviato dal Signore a sostenere, incoraggiare e illuminare. Perché bisognoso della misericordia di Dio sono chiamato a dispensare a piene mani, a toccare con mano le meraviglie che il Signore compie.

Perché nella celebrazione della Messa lui si fa presente per il popolo di Dio.

Perché mi accorgo che la Parola di Dio, seminata abbondantemente alla domenica e che mi chiede molto impegno nella preparazione, è feconda e rende nonostante le apparenze, riesce a dare frutto anche nei cuori che sembrano di pietra.

Perché in confessionale sperimento che anime semplici, ma ricche di Dio, mi chiamano padre e camminano più di me verso la santità.

Perché avendo rinunciato a formare una mia propria famiglia posso partecipare alla gioia, trepidazione e difficoltà di ogni famiglia della mia comunità, sentendomi coinvolto a donare qualche parola di luce e speranza.

Perché abbraccio la comunità con tante persone che si impegnano per gli altri; gli ammalati e sofferenti che portano una croce con serenità e la pace frutto della fede; un fratello e una sorella che si preparano all’incontro definitivo con il Signore senza paura e angoscia.

Perché sento il Signore accanto a me, soprattutto quando il cammino è faticoso.

Perché sento risuonare in me la sua parola consolatrice: “Non temere, io sono con te”.

La domenica è il giorno in cui il prete porta agli uomini la gioia, la felicità, la pace di Dio. Per tutti questi motivi di gioia se nasco un’altra volta faccio ancora il prete.

Intanto sono in attesa della festa eterna e definitiva dove non ci sarà né pianto, né dolori, dove Dio sarà tutto in tutti.

Don Peppino

 

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