 XII DOMENICA DOPO
PENTECOSTE
7.08.2016
Matteo 23, 37 - 24, 2
Riferimenti : secondo libro dei Re 25, 1-6. 8-12 -
SALMO 77 - Romani 2, 1-10 |
Popolo mio, porgi l’orecchio al mio
insegnamento. Ciò che abbiamo udito e conosciuto e i nostri
padri ci hanno raccontato non lo terremo nascosto ai nostri
figli, raccontando alla generazione futura le azioni gloriose e
potenti del Signore. Scacciò davanti a loro le genti e sulla
loro eredità gettò la sorte, facendo abitare nelle loro tende le
tribù d’Israele. Ma essi lo tentarono, si ribellarono a Dio,
l’Altissimo, e non osservarono i suoi insegnamenti. |
secondo libro dei Re 25, 1-6. 8-12
Nell’anno nono del suo regno, nel decimo mese,
il dieci del mese, Nabucodònosor, re di Babilonia, con tutto il
suo esercito arrivò a Gerusalemme, si accampò contro di essa e
vi costruirono intorno opere d'assedio. La città rimase
assediata fino all’undicesimo anno del re Sedecìa. Al quarto
mese, il nove del mese, quando la fame dominava la città e non
c’era più pane per il popolo della terra, fu aperta una breccia
nella città. Allora tutti i soldati fuggirono di notte per la
via della porta tra le due mura, presso il giardino del re, e,
mentre i Caldei erano intorno alla città, presero la via
dell'Araba. I soldati dei Caldei inseguirono il re e lo
raggiunsero nelle steppe di Gerico, mentre tutto il suo esercito
si disperse, allontanandosi da lui. Presero il re e lo
condussero dal re di Babilonia a Ribla; si pronunciò la sentenza
su di lui. Il settimo giorno del quinto mese – era l’anno
diciannovesimo del re Nabucodònosor, re di Babilonia –
Nabuzaradàn, capo delle guardie, ufficiale del re di Babilonia,
entrò in Gerusalemme. Egli incendiò il tempio del Signore e la
reggia e tutte le case di Gerusalemme; diede alle fiamme anche
tutte le case dei nobili. Tutto l’esercito dei Caldei, che era
con il capo delle guardie, demolì le mura intorno a Gerusalemme.
Nabuzaradàn, capo delle guardie, deportò il resto del popolo che
era rimasto in città, i disertori che erano passati al re di
Babilonia e il resto della moltitudine. Il capo delle guardie
lasciò parte dei poveri della terra come vignaioli e come
agricoltori.
2Re 25, 1-17 La sottomissione a potenze
straniere veniva sempre più considerata un
affronto a Dio e alla propria indipendenza di
popolo privilegiato, scelto da Dio stesso.
D'altra parte il quadro del medio oriente era
costituito da due potenze che si scontravano:
gli Assiri prima e i Babilonesi poi da una parte
e gli Egiziani dall'altra. Il regno d'Israele a
Nord era stato distrutto dagli Assiri nel 721
con la sua capitale Samaria e restò invece
indenne Gerusalemme nel suo piccolo regno di
Giuda perché si era alleato con gli Assiri. Ma
poi, per diffidenze e dissapori, gli Assiri
avevano posto un assedio terribile a Gerusalemme
e rischiarono la distruzione, nel 701 da parte
del re Assiro Sennacherib. Eppure,
"miracolosamente" Gerusalemme fu abbandonata in
una sola notte dagli assedianti. Questo portò
alla certezza religiosa di una sicurezza: Dio
non avrebbe permesso l'occupazione della sua
città santa. Ma tale sicurezza sarà pagata cara.
Infatti, alcuni fanatici della indipendenza e
forti della fede che Dio non avrebbe abbandonato
la sua città ai nemici, influenzarono i
responsabili politici ed il popolo e fecero
esplodere, a distanza di 7 secoli, due
distruzioni totali della città, da parte dei
Babilonesi, prima (testo di oggi), e poi, da
parte dei Romani (70d.C). Ci fu, a dire il vero,
un momento che fece sperare l'impossibile
durante l'assedio dei Babilonesi. Di fatto, per
sommovimenti in Egitto, i Babilonesi tolsero
momentaneamente l'assedio a Gerusalemme (Ger
37,5.11), ma, raggiunto e sconfitto l'esercito
egiziano, ritornarono ad assediare la città
santa. Geremia, il profeta, sempre contestato e
sempre malmenato, lo aveva predetto, ma non lo
ascoltarono. Siamo, pare, all'inizio del 588 e
la città cadde nella metà del 587 (per altri dal
587 al 586 a.C), in tutto circa 1 anno e mezzo
di assedio. Il crollo fu commemorato poi ogni
anno. A partire del II secolo d.C. il 9 di Av
(luglio-agosto), nella stessa data, saranno
ricordati diversi avvenimenti drammatici della
storia d'Israele: il giorno in cui fu deciso che
i Padri non sarebbero entrati nella terra
promessa, il giorno in cui fu distrutto il
tempio di Gerusalemme da Nabucodonosor nel 587
a.C. e da Tito nel 70 d.C., il fallimento della
seconda rivolta giudaica nel 135 d,C.. E' giorno
di lutto e di digiuno. Il re di Babilonia si
vendica, seguendo gesti di crudeltà del mondo
assiro, per cui l'ultima realtà guardata dagli
occhi del re sconfitto di Gerusalemme fu la
morte dei figli uccisi mentre poi lui stesso fu
accecato. Il racconto del saccheggio del tempio
ha un significato simbolico e indica che il
tempio ha un carattere transitorio. Dio ha
abbandonato la sua dimora, il luogo scelto per
il suo nome (1Re8,16.29) e nel quale i giudei
avevano posto tale fiducia da non preoccuparsi
più della loro condotta (Ger7,1-11). Così Dio
non ha fissato la sua presenza in quel luogo in
maniera perpetua e incondizionata. Egli esigeva
una fedeltà che non c'è stata. Per questo crebbe
via via sempre più la convinzione che la
salvezza non sarebbe venuta dal tempio ma
dall'Inviato: il Messia. Il lamento del Salmo
74, bellissimo, dopo il saccheggio del tempio
esprime tuttavia ancora la speranza che il
Signore non si dimentichi di Israele. "Non
dimenticare mai la vita dei tuoi poveri"
(Sal74,19). |
Romani 2, 1-10 Chiunque tu sia, o
uomo che giudichi, non hai alcun motivo di scusa perché, mentre
giudichi l’altro, condanni te stesso; tu che giudichi, infatti,
fai le medesime cose. Eppure noi sappiamo che il giudizio di Dio
contro quelli che commettono tali cose è secondo verità. Tu che
giudichi quelli che commettono tali azioni e intanto le fai tu
stesso, pensi forse di sfuggire al giudizio di Dio? O disprezzi
la ricchezza della sua bontà, della sua clemenza e della sua
magnanimità, senza riconoscere che la bontà di Dio ti spinge
alla conversione? Tu, però, con il tuo cuore duro e ostinato,
accumuli collera su di te per il giorno dell’ira e della
rivelazione del giusto giudizio di Dio, che «renderà a ciascuno
secondo le sue opere»: la vita eterna a coloro che, perseverando
nelle opere di bene, cercano gloria, onore, incorruttibilità;
ira e sdegno contro coloro che, per ribellione, disobbediscono
alla verità e obbediscono all’ingiustizia. Tribolazione e
angoscia su ogni uomo che opera il male, sul Giudeo, prima, come
sul Greco; gloria invece, onore e pace per chi opera il bene,
per il Giudeo, prima, come per il Greco. Paolo
ha completato la missione nell'area nord orientale del
Mediterraneo (15,19. 23), è pronto a partire alla volta di
Gerusalemme (15,25) per portare soccorso ai fratelli bisognosi
con danaro che aveva raccolto nelle chiese della Macedonia e
della Acaia e quindi spera di continuare la missione che il
Signore gli ha affidato, continuando il suo impegno nella
Spagna. Siamo verso il 57-58 o anche 55-56 d.C. e il luogo di
composizione sembra possa essere stata la città di Corinto.
Paolo non ha predicato per primo il Vangelo a Roma, ma sente i
cristiani di Roma fratelli e sorelle e desidera presentarsi a
loro, offrendo la sintesi del messaggio che egli porta nel
mondo. Dopo l'indirizzo e il saluto (1,1-7), e dopo il
ringraziamento, la preghiera e l'argomento della lettera
(1,8-17), Paolo sviluppa il tema della salvezza mediante la fede
(1,18-4,25). Tutta l'umanità è bisognosa di salvezza: i pagani
ed i Giudei. E se in un primo momento, Paolo traccia a grandi
linee la situazione del mondo pagano (1,18-32), parla di seguito
del mondo giudaico nel testo di oggi (2,1-3,8). Egli,
ovviamente, conosce bene questo mondo e perciò si preoccupa di
sviluppare la riflessione del teologo che mostra la misericordia
di Dio aperta al mondo, sia pagano che ebraico. Certamente agli
occhi di un ebreo il mondo pagano fa inorridire per la
immoralità imperante e tuttavia- dice Paolo- i giudei non
debbono farsi giudici, forti della propria posizione di
privilegio come popolo di Dio. Ma se ci si verifica davvero,
molte colpe che noi giudichiamo immorali negli altri, poi, sono
le stesse nostre colpe. Se non si usa misericordia e non si
resta profondamente fedeli, " perseverando nelle opere di bene,
e in tal modo cercano gloria, onore, incorruttibilità", il
giorno dell'ira è per tutti, così come il giorno del
riconoscimento e della speranza per chi è fedele. Dio, con il
suo giusto giudizio, renderà a ciascuno secondo le sue opere:
vita eterna per chi persevera nelle opere di bene, ira e sdegno
per chi disobbedisce alla verità (vv. 6-8). E questo avverrà
"sul giudeo prima, come sul greco" (vv.9-10). Il fatto che si
sia ebrei o greci è ininfluente e non ci sono privilegi o
raccomandazioni. Il giudizio di Dio è giusto per ognuno.
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Matteo 23, 37 - 24, 2 In quel
tempo. Il Signore Gesù disse: «Gerusalemme, Gerusalemme, tu che uccidi i
profeti e lapidi quelli che sono stati mandati a te, quante volte ho voluto
raccogliere i tuoi figli, come una chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le
ali, e voi non avete voluto! Ecco, la vostra casa è lasciata a voi deserta!
Vi dico infatti che non mi vedrete più, fino a quando non direte: /
“Benedetto colui che viene nel nome del Signore!”». Mentre Gesù, uscito dal
tempio, se ne andava, gli si avvicinarono i suoi discepoli per fargli
osservare le costruzioni del tempio. Egli disse loro: «Non vedete tutte
queste cose? In verità io vi dico: non sarà lasciata qui pietra su pietra che
non sarà distrutta».
Le parole che leggiamo oggi sono alla conclusione di una penosissima e
furibonda discussione di Gesù contro i capi religiosi e gli studiosi della
Scrittura, i farisei e gli scribi. Matteo sintetizza tutto in "sette guai".
"Guai a voi, maestri della legge" (cap 23), a somiglianza del profeta Isaia
(5,8-25). Il rimprovero durissimo si sviluppa per la durezza che i maestri
mostrano nell'imporre la legge e nella ipocrisia dell'abbandono di Dio, nella
infedeltà, nel formalismo, nella ingiustizia, nella mancanza di
misericordia.. Qui Matteo, mentre scrive, rispecchia la persecuzione
durissima che la comunità ebraica sviluppa contro i cristiani, nel primo
secolo, denunciati come infedeli, pagani ed eretici. Dopo l'invettiva il
lamento di Gesù è quasi il pianto di un funerale che anticipa il destino di
una Gerusalemme ormai travolta. E Gesù piange sul suo popolo, sulla sua città
e fa intravedere il suo ritorno conclusivo alla fine dei tempi, citando il
salmo 118,26. Nella frase: "quante volte..." si può cogliere un'allusione
alle visite fatte da Gesù alla città di Gerusalemme, che però troviamo
ricordate in Giovanni, ma non nei vangeli sinottici. I discepoli di Gesù sono
comunque affascinati dalla costruzione del tempio che doveva essere splendido
già ai tempi di Gesù nella sua ristrutturazione che finì attorno all'anno 66
d.C, proprio all'inizio della rivolta contro i romani e quindi dell'assedio
che si conclude nel 70 d.C.. E invece Gesù parla della distruzione di
Gerusalemme e del tempio, della lacerazione che avverrà in un futuro
prossimo, dell'abbandono di Dio e della sua presenza (la Shekhinà). Gesù sta
riprendendo il lamento di Geremia, di 6 secoli prima. "Ma se non ascolterete
queste parole, io lo giuro per me stesso - parola del Signore - questa casa
diventerà una rovina" (Geremia 22,5). Gesù è la presenza di Dio, il nuovo
tempio, la nuova Shekhinà e l'evangelista sottolinea l'uscita dal tempio di
Gesù (24,1) senza farvi più ritorno. Lo stravolgimento della storia ci porta
a drammi imprevisti: eppure tutto fa pensare che spesso desolazione e morte
possono essere evitati se restiamo fedeli a Dio e non ci lasciamo travolgere
dalla supponenza, dalla superficialità e dall'ipocrisia. Senza il Signore il
tempo diventa tiranno e la potenza del male ci travolge. Il Signore invita i
suoi credenti a farsi portatori di valori e coraggio nuovi, di saggezza e di
responsabilità essenziali, accettando di sentirci partecipi e in cammino con
tutti. Noi sappiamo che il Signore è presente nella sua misericordia con il
popolo cristiano e sa dare forza per superare e vincere il male come ha fatto
lui. Ma ci invita. Insieme, ad amare la nostra città e il popolo in cui
viviamo e ad operare in essi perché crescano in sapienza e grandezza di
cuore.
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