LE
ASSOCIAZIONI
Sito Ufficiale dell'Azione Cattolica
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Azione cattolica: la
sfida del «nuovo» annuncio
CHIESA IN ITALIA
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Aiutare i
ragazzi a riscoprire l’importanza di Gesù Cristo nella loro vita. È il
compito su cui per quattro giorni si confronta l’associazione: «Il
Vangelo rappresenta sempre un valore aggiunto per la gioventù» |
Da Roma Mimmo Muolo (da Avvenire)
Il grande tabellone dietro il
tavolo di presidenza riporta a caratteri cubitali il tema del convegno nazionale
degli assistenti diocesani e parrocchiali dell’Azione Cattolica, apertosi ieri
alla Domus Pacis: Noi Lo annunciamo a voi. «Non è un errore di stampa quel "Lo"
con la maiuscola – fa notare monsignor Francesco Lambiasi, poco prima
dell’inizio dei lavori – Noi, infatti, non annunciamo una cosa, ma una persona.
Non siamo testimoni di un valore astratto (pure importante come ad esempio la
pace, la fraternità, la giustizia), ma di un evento: la risurrezione di Gesù. Ed
è proprio Cristo che vogliamo annunciare». La precisazione dell’assistente
generale di Ac è come un fil rouge che ci aiuta a capire a che cosa mira questo
incontro, il primo - per quanto riguarda gli assistenti - dopo il Convegno di
Verona.
Monsignor Lambiasi, continuiamo nell’esame del tema. Quel noi a chi si
riferisce?
«È un noi ecclesiale, che comprende Cristo. Gesù infatti non è un oggetto, ma il
soggetto dell’annuncio. Di conseguenza la "conversione pastorale" richiede
innanzitutto un passaggio dalla concezione della pastorale come opera a favore
di Cristo a opera di Cristo. Dunque il "noi" significa noi assistenti di Azione
cattolica con Lui e Lui con noi. Infatti il nuovo progetto formativo, che
abbiamo lanciato a Loreto nel 2004, ha tutto un capitolo su Gesù Cristo. Oggi
non possiamo più dare per scontata la conoscenza di Gesù, come avveniva fino a
qualche tempo fa».
E il voi quali destinatari individua?
«Sono in particolare le giovani generazioni. Secondo un’inchiesta curata dallo
Iard per il Centro di orientamento pastorale (Cop), la fede cristiana rimane uno
dei capisaldi anche tra questi giovani. Ma per quanto riguarda l’importanza
attribuita alla religione, i ricercatori parlano di un effetto ad U: un picco
durante l’adolescenza, discesa verso i 20-30 anni, una risalita tra i 20 e i 30
anni. Dunque le crisi adolescenziali non sono irreversibili. Oggi assistiamo al
fenomeno di molti ragazzi che vogliono riscoprire la fede. E noi come Azione
Cattolica ci siamo attrezzati per questo».
Come intercettare questi giovani?
«Da un lato nei luoghi della vita – quindi la scuola, il lavoro, lo svago – con
persone che sappiano far nascere o rinascere la domanda di fede. Dall’altro,
però, bisogna valorizzare anche quelle occasioni, magari sporadiche, in cui
vengono in chiesa. Penso alla notte di Natale e di Pasqua, penso ai matrimoni e
ai funerali, penso alla celebrazione degli altri sacramenti. Perché in queste
occasioni, accanto all’annuncio di Cristo risorto non lanciamo l’invito a
entrare nella comunità ecclesiale per fare un itinerario di riscoperta della
fede?».
Dopo Verona, cambia il ruolo dell’assistente di Ac?
«L’assistente deve prendere sempre più coscienza di essere guida nella fede,
cioè colui che accompagna un cammino e sa preparare degli accompagnatori che a
loro volta sappiano far passare, a cascata, questa domanda di fede. È un ruolo
più missionario, perché si tratta di favorire quel contatto con Gesù che
purtroppo anche molte famiglie non favoriscono più e di suscitare il desiderio
di una vita bella secondo il Vangelo. Inoltre l’assistente di Ac deve essere
l’uomo del grande sì, secondo l’espressione usata dal Papa a Verona. Cioè far
vedere che il cristianesimo, quando chiede dei no, lo fa per un sì più grande».
La cronaca tragica di questi giorni ci dice che siamo in piena emergenza
educativa. Qual è la riflessione dell’Ac?
«Penso innanzitutto che tutta la società debba fare un mea culpa. Li abbiamo
ingozzati di cose questi figlioli, abbiamo spiegato loro come sono venuti al
mondo, ma ci siamo dimenticati di dirgli che senso ha il loro stare al mondo.
Inoltre stiamo scherzando troppo con la famiglia. Una società fatta di adulti
che scambiano il desiderio con il diritto, che si ubriacano di tivù, che fanno
uso di cocaina (sette italiani su cento!), come può pretendere che i figli siano
colti, sensibili retti e corretti? Nel dibattito politico in corso sembra che le
uniche questioni siano legate a istituzionalizzare nuove forme di convivenza tra
adulti. E i figli? Quando ci decideremo ad affrontare la "questione educativa"
con una famiglia più solida, e non invece indebolita da modelli di
simil-famiglia?».
Come se ne esce?
«Noi vogliamo formare dei giovani convinti che il valore aggiunto costituito dal
Vangelo non diminuisca, anzi aumenti, il loro tasso di gioventù. Sulla base del
Vangelo, dunque, dobbiamo aiutare i ragazzi a riscoprire quella grammatica di
base dei rapporti umani, che oggi è ampiamente smarrita. Scardinando anche la
cultura dell’a-me-mi-pare (che scambia l’opinione con la verità), dell’a-me-mi-piace
(che scambia il piacere con la felicità) e dell’a-me-mi-va (che scambia
l’istinto con la libertà). In pratica la cultura di Narciso». |