Pagina 4 - Il Tassello

Versione HTML di base

- 4 -
SCR I T TOR I L I BER I
Si racconta che, per tener vivo sulle labbra
l’enigmatico sorriso che splende sul volto di Monna
Lisa, Leonardo da Vinci teneva, mentre la ritraeva, chi
suonasse o cantasse e buffoni che la facessero stare
allegra.
Leonardo lavorò, sempre insoddisfatto della sua
opera, per quattro anni. Interrotto dalla prematura
morte di Monna Lisa, ritenne sempre incompiuto quel
quadro: ciò lo spinse a portarlo con sé, in ogni paese in
cui andava, per dei continui studi e ritocchi. Risultando,
poi, uno dei più noti e più discussi capolavori del mondo
proprio per quell’indefinibile espressione del viso.
Certo che non sarebbe tanto bello se nella realtà,
sui visi che incontriamo giornalmente, ci fosse un’e-
spressione del genere. Indefinibile è qualcosa che
sfugge, impreciso e vago, che adattato al linguaggio del
viso, toglie personalità. Per fortuna s’incontrano spesso
sorrisi e “occhi che parlano ”, che hanno la capacità di
trasmettere emozioni, magari non sempre belle, ma
rispecchiano la sensibilità dell’animo.
Proviamo a pensare agli occhietti furbetti di un
bimbo che comincia a pasticciare con le prime pappe o
a conoscere i primi fiori. Agli occhioni, della ragazzina,
che brillano dalla felicità alla vista del suo micino, o
quelli affascinati di un ragazzo che
racconta le immagini che gli sono
rimaste impresse dall’ultimo suo
viaggio. Al dolce ed emozionato
scambio di sguardi degli sposi al-
l’altare. All’espressione amorosa
di una mamma con qualche ruga in più che guarda “il
suo bambino”, oramai cinquantenne o quella di una
mamma alla quale si arrossano ancora gli occhi alla
spiegazione della scelta del nome del suo primo figlio.
Occhi bassi per la timidezza, addolorati, indignati, severi,
invadenti, cattivi, che in qualche modo lanciano mes-
saggi e lasciano intravedere le vicende della vita. Ma in
particolare mi colpiscono gli occhi che in silenzio, seb-
bene non di innamorati, hanno un’intensità di compren-
sione, di accoglienza verso l’altro che chi incrocia quello
sguardo, si sente accarezzare il cuore e non può fare a
meno di scoprire che lì dietro c’è l’amore per Gesù.
Amore trasformato da Lui, che riesce a far
vedere con i Suoi occhi. Amore che vorresti essere
capace di sentire anche tu, ma che ti fa solo dire
“Signore tieni i tuoi occhi su di me”.
A
NTONELLA
CRONACA DEL ‘500
La stagione televisiva è ormai
al termine ed è possibile trarre qual-
che considerazione. La stagione
2003/2004 è stata quella dei
Reality
Show
. Ce ne hanno sciroppati tanti:
L’isola dei famosi, Il grande fratello,
La fattoria, La talpa, Amici, Super
senior, Beauty Farm e penso (spero)
basta. Lo schema del gioco è sem-
pre lo stesso: delle persone segre-
gate in un luogo per alcuni mesi
affrontano delle prove, dei giochi,
con le telecamere sempre accese. I
“segregati” accettano di farsi spiare
24 ore su 24 pur di acquistare un po’
di fama o di farsi pubblicità.
Fin qui tutto bene (?), o me-
glio, niente da dire, visto che si tratta
di persone che volontariamente par-
tecipano al gioco e noi telespettatori,
volontariamente, decidiamo se guar-
darlo o no.
I gusti sono gusti
, di-
rebbe un buon “slogheggiatore”.
Una cosa invece proprio non va:
chiamare questi spettacoli
reality
.
Ma che realtà è quella?, bisogne-
rebbe chiamarli "un-reality". Show
dell’irreale, del fantastico. Chi di noi
potrebbe vivere mesi e mesi nello
stesso luogo senza fare niente, fu-
mando e chiaccherando tutto il
giorno insomma
tirando a cam-
pare.
E cosa dire della “paghetta”
che i protagonisti ricevono settima-
nalmente? Sembra quasi che vivano
in ristrettezze economiche e che
facciano la fame. Ma è facile far
quadrare i bilanci quando non hai la
bolletta del gas, della luce, dell’ac-
qua, della spazzatura, del telefono,
le spese condominiali, il mutuo, la
retta dell’asilo, l’assicurazione del-
l’auto, l’ICI e via dicendo. Chissà
quando inventeranno il “Bolletta
Show” dove vince chi riesce a far
quadrare un bilancio familiare? Pro-
babilmente mai.
Guardando questi cosiddetti
reality show ho la sensazione di
essere ad una fiera. Una di quelle
fiere di paese dove ancora si porta il
bestiame in mostra. Dove gli alleva-
tori, per fare bella figura, portano le
mucche strigliate e lucidate, i maiali
puliti e profumati, le galline rasset-
tate, i conigli infiocchettati e cotonati
e i cavalli strinati e pettinati.
Tutto sembra bello, puliti e in
ordine. Ti viene persino l’idea di
comprarti un maialino dall’aria così
simpatica. Ti viene voglia di lasciare
tutto per diventare anche tu un alle-
vatore, vivere una vita diversa senza
tanti problemi in mezzo alla natura.
Ma l’incanto svanirà presto: quando
scopriremo il significato della parola
letame
. Quando porteremo a casa il
nostro animale bello, pulito e rasset-
tato, scopriremo che, comunque, è
una bestia come tutte le altre.
A
NDREA
I.
LETAME
T E L ECOMANDO