Questa nuova annata del Tassello e della vita parrocchiale inizia con il segno della scuola di
Beslan, quella sconvolgente tragedia che ci ha tutti toccati. Siamo tutti genitori, figli, nonni,
insegnanti, educatori e possiamo comprendere le grida, le lacrime e, in un certo senso, l’odio che
quel fatto ha provocato. Come un interminabile gioco delle pedine del domino che formano
bellissimi effetti colorati, siamo davanti al continuo emergere dell’odio e della violenza che provoca
altro odio e altra violenza. Con quella scuola, con quelle madri e con quei padri abbiamo pianto
anche noi che cerchiamo di custodire i nostri figli con l’amore offrendo loro quei valori positivi che
abbiamo a nostra volta ricevuti.
Ripartiamo con iniziative e occasioni per crescere nella fede, ma questa fede deve diventare
capace di bene, debole forza per rompere le funi dell’odio, della ripicca, del parlare male, del
pensare il male! E’ un compito che sentiamo ancor più urgente e necessario e che non obbliga a
chissà quali attività, solo a custodire il bene che possediamo, a riconoscere il bene che è nell’altro
o, come direbbe Etty Hillesum, “a disseppellire Dio dai cuori devastati di tanti uomini”.
Nuove mani scriveranno su questo piccolo strumento, al fine di far circolare aria buona, idee
positive, emozioni vissute. Sono penne che si aggiungono a quelle che ci hanno accompagnato in
questi sei anni. E, fin quando c’è posto, ben vengano tutti. Non abbiamo altre pretese per il
Tassello, semplice voce di “una comunità che vive al di là del cimitero”: essere un pugno di
cemento che l’acqua dello Spirito può impastare per un mondo “come Dio comanda”.
Parrocchia Santa Maria Regina, Busto Arsizio - 26 settembre 2004 Anno VII - Numero 1
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E’ una espressione
che si sente in giro
e che ho usato al
termine dell’incon-
tro con un gruppo
di genitori a cui
abbiamo proposto
un modo nuovo di fare catechismo per la prima
Comunione. La sintesi di quella chiacchierata la
si può leggere nelle pagine interne del Tassello.
Usare questa espressione non significa ap-
pellarsi genericamente al Padreterno come riso-
lutore dei nostri problemi. Si vuole riconoscere
che, al di là di quello che riusciamo a fare noi, c’è
bisogno di rivolgersi ad una mano amica. In ogni
circostanza cerchiamo di tirare fuori la nostra in-
ventiva, la nostra creatività; mettiamo in moto la
nostra intraprendenza telefonando, leggendo,
confrontandoci. Cerchiamo in tutti i modi di
“realizzare”, portando a compimento una inizia-
tiva o un obiettivo che ci stanno a cuore. Spendia-
mo energie, sudore, talvolta anche sonno davanti
a qualcosa che ci prende e che vogliamo raggiun-
gere. Dopo tutto questo lavoro però è come se
mancasse qualche cosa. Sappiamo degli imprevi-
sti che possono capitare, siamo consapevoli che
in un ingranaggio basta un piccolo sasso per
bloccare tutto.
Ma in più avvertiamo che ci sarà sempre
qualcosa che ci sfuggirà, che non rientrerà del
tutto in ciò che abbiamo programmato e previsto.
Questo è lo spazio del “che Dio che la mandi
CHE DIO CE LA MANDI BUONA