Pagina 5 - Il Tassello

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TRA MOGLIE E MARITO
«Vorrei donarti un fiore // dai petali di luce //
che sia nella notte un sole // che all'alba ti conduce...».
I versi proseguivano, ma Sonia posò il piccolo foglio
di carta per asciugare due lacrime che, fulminee, le
avevano attraversato il viso. La poesia si intitolava «A
mia mamma» e l'autore era proprio Fabio, suo figlio,
di appena otto anni di età.
Fabio era un ragazzo «fatto tutto a modo suo!»;
così ripeteva spesso sua madre. Era il figlio di Sonia e
Giacomo. Effettivamente Fabio non assomigliava alla
media dei ragazzi della sua età: alla televisione prefe-
riva la lettura dei libri, in particolare del genere fan-
tasy; tornava da scuola spesso in ritardo, perché gli
piaceva camminare e allungava il tragitto; però non
amava lo sport e soprattutto detestava il calcio; gli
piacevano le fotografie dei paesaggi africani (e ci ave-
va letteralmente tappezzato la propria cameretta) e di
queste sapeva raccontare ogni dettaglio; però era mal-
destro e sovente distratto nelle cose più pratiche: in
più di una occasione la madre aveva dovuto fermarlo
sulla porta di casa perché lui infilandosi le scarpe ne
aveva presa una diversa dall'altra.
Quando Sonia si riferiva a lui, usava espressioni
del tipo: «Fabio? Ha sempre la testa fra le nuvole!»;
oppure «È distratto! Non sa fare niente!». E Giacomo
ogni tanto commentava che quel figlio era per lui per-
fino motivo di qualche preoccupazione.
Non per questo, però, Fabio era trascurato. Gia-
como giocava spesso con lui, a basket o a pallavolo, e
poi, alla domenica, non di rado, lo portava con sé al
grande centro informatico che gestiva il movimento
dei treni alla Stazione Centrale di Milano, dove lavo-
rava, spiegandogli ogni dettaglio su orari, scambi e
semafori. Così pure la mamma: anche lei lo accudiva
in ogni modo e siccome a Fabio piacevano un mondo
alcune cose particolari (i libri fotografici; oppure i
pullover di colore rosso o arancione; oppure la frutta
candita) Sonia faceva in modo di non fargliene man-
care o di sorprenderlo ogni tanto con qualche regalo
inatteso. Però...
Agli occhi di Fabio, il padre era un uomo alto,
alto, alto... E così stavano effettivamente le cose, per-
ché Giacomo era alto quasi due metri. In ogni caso,
nello sguardo di un bimbo di otto anni un padre è qua-
si sempre... alto. Figuriamoci uno che è già alto di
suo! E poche volte Fabio riusciva a guardare suo pa-
dre alla propria altezza: perché Giacomo era un pizzi-
co avaro nei gesti di affetto e si "abbassava" poco;
perché a basket e a pallavolo vinceva sempre lui; e
perché a Fabio piacevano le poesie e le foto della sa-
vana, e alla stazione ferroviaria i display e i quadri di
comando invece lo disorientavano (e forse l'annoiava-
no pure).
Agli occhi di
Fabio, la madre era
una donna precisa,
pignola, sempre pre-
occupata di mettere
ordine in casa. Spesso
Fabio sentiva che il
proprio mondo non poteva essere condiviso, perché la
mamma non faceva che ricordargli (e forse lo rimbrot-
tava) che era troppo distratto, che perdeva le cose e
che, insomma, «Due scarpe diverse... non si è mai vi-
sto neanche al cinema!».
Dunque: il papà voleva essere vicino al proprio
figlio, ma per il figlio era troppo grande e distante; la
mamma voleva fare tutto per il proprio figlio, ma per
il figlio era soprattutto insistente e pedante; il figlio
scriveva poesie e coltivava la passione per la bellezza,
ma per i genitori era «fra le nuvole» e distratto...
Giacomo e Sonia qualche volta si confrontava-
no su Fabio. Secondo il papà, la mamma lo viziava
troppo; secondo la mamma, il papà era troppo fuori
casa... Anche sulla "diagnosi", dunque, i due la pensa-
vano a modo proprio.
Avete fatto caso? Ciascuno dei tre aveva dell'al-
tro un'immagine diversa da quella che il diretto inte-
ressato pensava di avere. Questo è il mondo delle co-
siddette rappresentazioni: e nella vita accade sempre
così. Gli altri ci "rappresentano" (cioè hanno un'imma-
gine di noi) in un modo che sfugge al nostro controllo
e che, perciò, non sempre corrisponde a ciò che ci a-
spetteremmo. Eppure si tratta di qualcosa di importan-
te: perché difficilmente gli altri entrano in relazione
con noi; mentre più spesso entrano in relazione con la
rappresentazione che hanno di noi. E così facciamo
anche noi con loro.
Il problema, però, non sta qui; giacché si tratta
di un processo inevitabile. Il problema nasce quando
se ne ignora l'esistenza. Fra sposi può essere più sem-
plice affrontare la questione, domandandosi reciproca-
mente: «Come sono io per te? Come mi vedi?». Nei
confronti di un figlio le cose sono più complicate, ma
non impossibili. Bisognerà partire da una persuasione:
non necessariamente i comportamenti diversi da come
ce li aspetteremmo costituiscono per forza di cose un
problema. Anzi: segnalano l'esistenza di un mondo
diverso, da guardare e da ascoltare; un mondo in cui
un figlio è ciò che veramente è; un mondo... chissà,
fatto di poesia e di tramonti sulla savana, tutto da visi-
tare.
DON
S
TEFANO
GIACOMO, SONIA E FABIO
OVVERO LE RAPPRESENTAZIONI