Pagina 4 - Il Tassello

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festa è ...
E cominciarono a fare festa
“Nel Vangelo… non ci sono
soltanto chiodi di ferro e san-
dali impolverati. Ci sono i vini
prelibati di Cana che scomo-
dano il Signore a compiere il
primo miracolo per non lascia-
re insipido un festino di nozze,
ci sono i vasi di alabastro della
femmina di Betania e i suoi
preziosi unguenti del cui pro-
fumo il Signore s’inebria anche
se è uno scialo che offende gli
istituti di beneficenza, ci sono
le musiche e le danze in casa
del Figliol Prodigo ritornato,
l’anello e la veste bella e i fumi
in cui si crogiola il vitello gras-
sissimo, ci sono le reti di Pietro
gonfie di pesci d’argento, ci
sono gigli vestiti più splendi-
damente di Salomone. C’è in-
somma…tutta la festa dei sensi
che incontrano le cose in una
nuova e innocente gratitudi-
ne al Padrone delle cose» (L.
Santucci,
L’imperfetta letizia
,
Firenze 1954).
Mi piace molto questo brano
di Luigi Santucci, uno dei più
importanti scrittori cattolici del
‘900 e anche uno dei più ori-
ginali. Ci aiuta a scoprire una
chiave di lettura dei Vangeli
credo non molto praticata dai
cristiani, più abituati forse ad
accostare il testo sacro secondo
la prospettiva della sofferenza
e del sacrificio o nell’ottica di
una gioia solo promessa e pro-
pria della vita futura, magari
nella rassegnata persuasione
che “la felicità non è di questa
terra”.
E invece è proprio la vita che
gronda dai Vangeli ad allonta-
nare ogni dubbio sul fatto che
il cristiano ami legittimamente
la felicità delle cose di questa
terra e che il senso della festa
sia un distintivo dei cristiani già
in questo mondo, piuttosto che
una nostalgia o solo una spe-
ranza per tempi a venire. Del
resto, Gesù stesso fu accusato
dai suoi contemporanei “ben-
pensanti” di essere un gauden-
te: «È venuto il Figlio dell’uo-
mo, che mangia e beve, e di-
cono: “Ecco un mangione e un
beone, amico dei pubblicani e
dei peccatori”» (Mt 11, 19). Ed
è una festa non semplicemente
interiore, dell’“anima”, ma una
nuova vivacità dei sensi este-
riori, della vista, dell’udito, del
gusto, dell’olfatto, del tatto.
Proviamo a ripercorrere i
testi citati da Santucci per cer-
care di capire di cosa sia fatto
il senso cristiano della festa se-
condo il Vangelo.
Le nozze di Cana sono la
straordinaria abbondanza del
dono di Dio, espresso nel vino
eccellente che Gesù ricava
dall’acqua, per ridare vigore
all’amore di due sposi e alla
gioia dei loro amici (Gv 2,1-
11): il senso cristiano della fe-
sta è il
dono “esagerato” di sé
per la gioia del prossimo.
L’unzione di Betania è il ge-
sto “incosciente” di una donna
che ha compreso quanto pre-
ziosa sia la vita minacciata del
profeta di Nazaret e le sembra
che anche i beni più inestima-
bili siano inadeguati per dirlo
(Gv 12,1-8): il senso evangelico
della festa è il
senso della gratu-
ità
, che vince i calcoli meschini
del dare e dell’avere.
La festa per il “figlio prodi-
go” tornato alla casa del padre
è l’espressione del cuore di
quest’ultimo che ha ritrovato
vita alla vista di un figlio che
sembrava perduto (Lc 15,11-
32). Il senso cristiano della
festa ha il
sapore buono del
perdono
, della gioia per ciò che
era come morto ed è ritornato
alla vita: «così, vi dico, c’è gioia
davanti agli angeli di Dio per
un solo peccatore che si con-
verte» (Lc 15,10).
La pesca miracolosa di Pie-
tro è lo stupore per la sorpren-
dente efficacia di una parola,
quella di Gesù, che ha il potere
di rendere feconda una vita
perché è capace di cambiare i
cuori (Lc 5, 1-11): il senso cri-
stiano della festa è la
certezza
di una parola creatrice di Dio
che chiama la nostra esistenza
a portare molto frutto.
I gigli dei campi, infine, testi-
moniano l’amorevole cura del
Padre per tutto ciò che è uscito
dalla sua mano e invitano i figli
del Regno a vivere nella pace
confidando nella provvidente
sollecitudine di Dio (Mt 6,25-
34). Il senso evangelico della
festa è perciò la
pace dei figli
di Dio
che vince ogni affanno e
affronta la fatica di ogni giorno
cercando in ogni cosa la sua
giustizia. Perché la fede non
è una cosa “della domenica”
o “della festa” ma ha il sapo-
re della polvere che si calpesta
nel quotidiano, e del sale che lo
ren­­de sapido.
don Giuseppe