Pagina 5 - Il Tassello

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Dopo la quarantena
Cantan gli augelli: Chi dunc’è che non ami
e non gioisca? Io sol, che non risponde
la gioia alle mie forze inferme e scarse.
Vorrei uscire da questo mondo, da questo cor-
po, da questa vita in esilio – dice Filippo – per
rendere piena quella straordinaria comunione
che sto vivendo con il mio Signore: “ci stiamo
trasformando reciprocamente l’uno nell’altro”:
vertiginosa esperienza di fede. Attorno a me
tutto ride, tutto ama ed è nella gioia…ma è una
gioia troppo grande per le mie povere forze.
La gioia è un dovere, dunque, ma il cristiano
non può assolverlo da se stesso, occorre che Dio
gli venga in aiuto, occorre che lo Spirito della
gioia (è uno dei frutti della sua presenza, secon-
do Gal 5,22) sollevi il suo spirito fino a condivi-
dere la gioia del creato.
Vi sono anche interessanti testimonianze
letterarie. Per esempio quella di Joseph Roth,
scrittore austriaco di famiglia ebraica, il quale
termina così un suo romanzo famoso,
Giobbe
:
«Mendel si addormentò. E si riposò dal peso
della felicità e dalla grandezza dei miracoli».
La felicità, la grazia sovrabbondante che viene
dal Cielo, l’esperienza dei miracoli che ancora
avvengono sembrano dunque una realtà che
non si può sopportare ad occhi aperti, che chie-
de un riposo nella quale essa lavori e raggiunga
le nostre profondità: solo così, forse, siamo in
grado di portarla con noi.
La gioia dunque è un dovere, ma non è una
nostra conquista; la gioia che ci è comandata è
dono. Forse conviene riascoltare la parola del
Vangelo: “Vi sarà gioia nel cielo per un solo pec-
catore che si converte, più che per novantanove
giusti che non hanno bisogno di conversione”
(Lc 15,7).
Dopo i quaranta giorni della penitenza, la
gioia della conversione: ed è partecipazione alla
gioia che anzitutto riempie di danze la casa del
Padre.
Don Giuseppe
Risurrezione oggi è…
“Signore, tu che scrivi dritto sulle righe storte,
mostrami il cammino…”
Q
uesta preghiera si ritrova sulle labbra
di don Pino Puglisi, sacerdote che di-
venne parroco nel quartiere Brancaccio
a Palermo nel 1992. La prima domeni-
ca da parroco in quel quartiere uscì dal-
la sacrestia per celebrare la Santa Messa della
comunità e, dopo aver fatto la genuflessione
al tabernacolo e baciato
l’altare, alzò lo sguardo e…in
chiesa non c’era nessuno!
Lo assalì una fitta al cuore
che si concretizzò in questa
preghiera, colma di fiducia
e speranza in un paese dove
la mafia aveva imprigiona-
to la vita di tutti, piccoli e
grandi.
Questa è risurrezione:
aver fiducia anche quando
non ci sono più motivi per sperare!
Penso che un’esperienza simile viene vissu-
ta da coloro che sono impegnati ad educare i
ragazzi e i giovani di oggi.…
Tante volte mi capita di rimanere sola nel
cortile dell’oratorio e di pregare con le parole
di don Pino, chiedendo al Signore di non per-
mettere che io perda la fiducia e il coraggio di
annunciare il Vangelo di Gesù a chi incontro in
questo luogo attraverso iniziative e esperienze
educative.
Tante sono le critiche da
parte degli anziani che a
volte non sopportano i ra-
gazzi di oggi, perché male-
ducati; dei genitori, perché
si aspettano che l’oratorio
tenga conto delle necessità
di ogni famiglia; dei ragaz-
zi, perché dicono che non
c’è niente in questo oratorio
e quando viene organizzata