Pagina 6 - Il Tassello

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oncologia all'ospedale locale, aveva un incarico
di grandissima responsabilità che gli procurava
anche non pochi grattacapi e, soprattutto – vi-
sto il tipo di patologie di cui doveva occuparsi
– anche un contatto quotidiano con il mondo
della sofferenza. Eppure Giancarlo non voleva
che le questioni, pure pesanti, che sorgevano
all'interno della sua professione potessero coin-
volgere la sua famiglia. E davvero ci provava:
di ritorno a casa cercava di fare in
modo di lasciar fuori dalle sue pre-
occupazioni sua moglie. «Non è
giusto – diceva – che io mi sfoghi
con Donatella».
D'altra parte, così facendo, fi-
niva per essere riservato un po' su
tutto. Le inquietudini, ma anche i
profondi interrogativi sulla vita che
la sua professione costantemente gli
rilanciava, quasi in una sfida quoti-
diana, erano estromessi dalla comu-
nicazione che Giancarlo intrattene-
va con sua moglie. Sul suo versan-
te, però, Donatella non poteva non
sentire che Giancarlo era in un certo qual modo
«distante» da lei.
Tutto questo, apparentemente non com-
portava problemi visibili. Entrambi sapevano
che le cose stavano così e, soprattutto, che sta-
vano così per una ragione precisa, legata ad un
genuino senso di rispetto e non invece all'inten-
zione positiva di escludere l'altro dalla condivi-
sione più profonda della propria vita.
Eppure entrambi sentivano forte un legit-
timo desiderio di confidenza. E se per Giancar-
lo questa trovava spazio nel suo stesso ambito
professionale, soprattutto con qualche collega
di cui era profondamente amico, Donatella,
pian piano, iniziò – e certo non in modo delibe-
rato – a instaurarla con quel figlio, così preco-
cemente maturo, sensibile e responsabile per
uno della sua età.
Accadde così che Fabrizio si trovò a fare
la parte del confidente di sua madre. E la cosa
sembrò svolgersi in modo così sereno e perfino
naturale che gradualmente – e senza che Dona-
tella potesse avvedersi dell'inopportunità della
cosa – Fabrizio veniva a conoscere questioni
che riguardavano il legame che Donatella ave-
va con Giancarlo. Delusioni, piccole amarezze,
incomprensioni reciproche...
Mai Donatella si permetteva di parlar ma-
le di Giancarlo con Fabrizio. D'altra parte, pe-
rò, seppure non esplicitati, era inevitabile che
Fabrizio venisse poco per volta a conoscere
anche aspetti più personali del padre. E si trat-
tava di aspetti trasmessi a partire dallo sguardo
di un adulto, non di quello di un ragazzo.
Ogni tanto Donatella aveva la sensazione
– magari dopo uno sfogo un po' più intenso del
solito – che forse quel tipo di comunicazione
non poteva essere mantenuta con suo figlio. Ma
il tentativo di rimediare era limitato e
talora perfino maldestro, con frasi
del tipo: «Comunque il tuo papà è
tanto buono...», oppure: «Comunque
queste sono cose che dico solo a te...
che sei grande e ormai puoi capire».
Un figlio «tirato dentro», lette-
ralmente «invischiato», nella relazio-
ne che i suoi genitori hanno fra di
loro, deve «tirarsi fuori». Perché sep-
pure in perfetta buona fede, quello di
saltare le generazioni, collocando un
figlio sullo stesso piano di un genito-
re («A mio figlio racconto tutto ciò
che succede fra me e il papà»), o un
genitore sullo stesso piano di un figlio («Io so-
no il migliore amico di mio figlio!»), è un erro-
re che può costare anche molto caro.
Il bisogno di «tirarsi fuori» è un compito
evolutivo fondamentale per qualunque figlio.
Nel caso di un figlio «invischiato», però, può
assumere valenze drammatiche, perché è come
se richiedesse una maggiore intensità. Il com-
portamento deviante per Fabrizio era stato, in
fondo, un modo clamoroso per opporsi a quel-
l'identità di ragazzo «troppo maturo» che lo
aveva condotto a diventare il confidente della
mamma.
La devianza, sia chiaro, non è il solo esito
possibile. Ci mancherebbe. Merita però atten-
zione, proprio perché sembra illogico pensare
che possa verificarsi in una buona famiglia e in
un bravo ragazzo. Invece illogica non è e, para-
dossalmente, rappresenta una richiesta di aiuto
che va soprattutto ascoltata. Come se con ciò
Fabrizio avesse voluto protestare: «Lasciate
che io sia figlio, come tutti gli altri!».
DON
S
TEFANO