Pagina 5 - Il Tassello

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COSE DA PAZZI
Il semaforo è rosso. Fermo in auto e già
mi spazientisco: sono in ritardo. È guasto? Si è
bloccato? Ma no, figuriamoci!
Lo sguardo va casualmente allo spec-
chietto retrovisore, che inquadra l'auto che mi
segue; ovviamente in attesa, come la mia. Scor-
go un uomo baffuto alla guida. È solo, ma...
parla concitatamente e gesticola vistosamente,
assestando talora dei colpi secchi sul volante.
Certo il suo umore non sembra dei migliori.
Ma... con chi ce l'ha? Parla da solo? Forse
no – penso – sarà al cellulare.
E invece forse parla proprio da solo...
Non c'è modo di verificare la cosa, anche per-
ché finalmente si illumina il verde. Un breve
colpo di clacson me lo richiama; io
ormai mi ero distratto.
Riparto. Ed esclamo: «Che
buffo!». Subito mi viene da ridere
perché prendendolo in giro, ho fini-
to per fare la stessa cosa che faceva
lui: parlare da solo. Sì, ho detto
«Che buffo!»; e l'ho detto ad alta
voce.
Piccole follie della vita quoti-
diana. Perché i pazzi – quelli veri,
intendo – parlano da soli di continuo. Eppure
questa cosa dovremmo proprio impararla.
Certo c'è modo e modo di parlare da soli.
Si può riflettere e si può farneticare. Però la
possibilità di parlare – magari perfino ad alta
voce – anche se non c'è nessuno a intrattenersi
con noi, suggerisce una cosa importante, anzi
due..., addirittura tre.
La prima: raccontarsi le cose fa bene, per-
ché crea una trama che chiamiamo interiorità.
L'interiorità è come un tessuto che, come si sa,
è fatto di fili che si intrecciano. Un filo di lana,
o di seta, o di cotone, può essere così sottile da
passare per la cruna di un ago. Il che significa
che le sue dimensioni possono essere inconsi-
stenti. Ma l'intreccio dei fili no: esso crea qual-
cosa di assolutamente consistente: una camicia,
un lenzuolo, una tovaglia o una bandiera. Così
le molte parole che diciamo a noi stessi si in-
trecciano in uno spazio che può diventare estre-
mamente ampio: che è la nostra interiorità. Un
vero e proprio tessuto, fatto di parole, emozio-
ni, immagini, riflessioni... un testo, appunto. È
curioso, ma certo non casuale, che
testo
e
tes-
suto
abbiano la stessa etimologia.
La seconda: siccome per parlare da soli
bisogna essere... soli, la solitudine – che pure è
temuta e talora perfino troppo svalutata – deve
essere uno spazio disponibile. Voglio dire: non
è buono e neppure giusto che la nostra vita sia
così compressa, così piena (di persone e cose),
da non potervi individuare spazi di
solitudine. Perché se è vero e impor-
tante che abbiamo bisogno di stare
con gli altri (e questo lo sanno tutti),
è altrettanto vero e altrettanto impor-
tante riconoscere che abbiamo biso-
gno di stare con noi stessi (e questo
forse non tutti lo sanno). E non è
detto che gli altri ce lo lascino fare.
La terza: dopo aver parlato da
soli per qualche minuto è possibile
che ci sentiamo un po' "fuori". Del tipo: «Ma
guarda che roba: adesso parlo da solo!». A quel
punto: o facciamo finta di niente, oppure è pro-
babile che ci scappi da ridere. Ottimo! È già un
modo per prenderci sul serio, ma non troppo;
per ragionare, ma allo stesso tempo per non
sentirci subissati dalle nostre elucubrazioni o
dalle nostre emozioni. Paradossalmente parlare
da soli può aiutare dunque, anche a prendere le
distanze da se stessi. Perché – insomma dicia-
mocelo! – nella classifica dei rompiscatole di
nostra conoscenza, qualche volta al primo po-
sto ci metteremmo noi stessi. O no?
DON
S
TEFANO
L'UOMO CHE PARLAVA DA SOLO
“ AUGURI CARDINALE ”
Siamo vicini al Cardinale Dionigi Tettamanzi che quest’anno festeggia 50 anni di sa-
cerdozio. Nel Duomo di Milano sabato 2 giugno alle ore 15.30, ci sarà una solenne
concelebrazione a ricordo di questo evento personale ed ecclesiale che coinvolge tut-
ta la nostra diocesi. Lo ricorderemo anche noi al Signore.