Pagina 4 - Il Tassello

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T E L ECOMANDO
Con le alunne di una
classe di II liceo ho affron-
tato il tema della globaliz-
zazione. Il percorso è par-
tito analizzando le etichette
dei vestiti e delle scarpe
che le alunne avevano ad-
dosso. In breve tempo abbiamo fatto il giro del
mondo: India, Pakistan, Marocco, “Prodotto impor-
tato” (da dove?), Turchia, Tunisia, Indonesia, Viet-
nam, Cina. Abbiamo scoperto di essere ri-vestiti di
globalizzazione. Tutti questi dati li abbiamo incrociati
con i materiali di cui sono fatti i vestiti (cotone, lana,
ecc...) e i paesi produttori di filati. C’è stata molta
sorpresa tra le alunne nello scoprire che il cotone
prodotto in Africa, viene cardato in Asia, lavorato in
Europa dell’Est e venduto in Italia con scritto (certe
volte) “Made in Italy”.
Una ragazza, molto candidamente, ha detto
“ma sa prof. non sapevo che i miei jeans fossero fatti
di cotone!”. In quel momento ho capito che parlare di
globalizzazione significa “insegnare a stare al mondo”
(come ci dicevano i nonni) e che i nostri figli pleiste-
scionati, ipertecnologici, gheimboizzati, compiuteriz-
zati, cellularizzati, digitalizzati, disneicennellizati, ic-
sbocsizzati, grandefratellizzati, calciofilizzati, rischiano
di crescere credendo che la realtà sia tutta lì. Pen-
sando che la vita sia un grande videogioco e che loro
(o anche noi?) debbano solamente seguire il gioco. Il
nostro mondo, invece, è molto complesso ed è diffi-
cile comprenderlo: essere genitori/educatori ai nostri
giorni è difficile. Come li prepariamo al futuro? Cosa
gli raccontiamo? Come gli spieghiamo che ci sono
delle cose importanti e altre insignificanti? Le solite
domande difficili...
Il lavoro in classe è continuato passando da
scoperta in scoperta. Da un’etichetta siamo arrivati
allo sfruttamento di milioni di lavoratori ed al lavoro
minorile. Le ragazze hanno partecipato con interesse
ed entusiasmo e al termine del percorso si sono dette
tutte “cresciute” e “più consapevoli” della realtà che le
circonda. Obiettivo raggiunto.
Torno a casa soddisfatto di me e delle alunne
pensando come sia strano il nostro mondo: ci sta tutto
in un paio di jeans.
A
NDREA
I
NZAGHI
...IZZATI
SCR I T TOR I L I BER I
"
L
a capacità di dialogare
e di scambiarsi argomenti, anzi-
ché accuse reciproche accompa-
gnate da insolenze, sta alla base
di una qualsiasi pacifica convi-
venza democratica".
Sono pa-
role di Norberto Bobbio il quale ha
precisato che
"Non basta par-
larsi per dialogare. Due monolo-
ghi non fanno un dialogo. Lo
scopo del dialogo è quello di
raggiungere un accordo o per lo
meno chiarirsi reciprocamente
le idee".
Secondo il concetto di So-
crate, l'uomo può scoprire da solo
la verità
,
ma può venirne a capo
solo dialogando
con gli altri come
con se stesso (ovvero applicando
il metodo della filosofia socratica
detto "
maièutica
").
Le mie convinzioni perso-
nali coincidono con quelle di
Bobbio e di Socrate in quanto,
essendo un fautore del dialogo,
ho cercato costantemente d'in-
staurare coi miei amici e parenti
un duraturo e proficuo rapporto
epistolare, anche perché condi-
vido perfettamente l'opinione
espressa da Arrigo Levi, che (nel
suo libro
"
La vecchiaia può at-
tendere”) ha precisato
:
"
Scrivere
mi ha sempre aiutato a capire
”.
Per questo, anch'io come Bob-
bio, sono grato a
Guido Cero-
netti
per le sue parole qui citate:
"
Quando ho l'occasione faccio
appassionata apologia dello scri-
vere lettere tra esseri pensanti non
ancora ridotti a bruti, comunicanti
soltanto per telefono, telefonini e
fax. Non basta dire: 'homo cogi-
tat'. L'uomo che pensa davvero
scrive lettere agli amici
".
Purtroppo l'era telematica in
cui viviamo è caratterizzata para-
dossalmente dalla
incomunicabi-
lità
, non solo per il motivo che si è
persa la bella abitudine di rispon-
dere alle lettere, ma anche perché
APOLOGIA DEL DIALOGO