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Caro vescovo Dionigi,
scusa se ti parlo così, in modo informale e poco adatto ad un ar-
civescovo, ma sento di poterlo fare, almeno per lettera, perché avverto la tua grande
umanità e disponibilità nei confronti delle persone.
Prima di tutto ti ringrazio perché hai voluto scrivermi. Perché hai scritto proprio a
me personalmente, ne sono certa. Conosco l’affetto che hai per ciascuno dei fedeli della
tua diocesi; quando ho partecipato ad un momento di incontro in cui tu eri presente, mi
è piaciuto notare la tua voglia di parlare con tutti, di stringere ogni mano, di sorridere
personalmente ad ognuno.
Allo stesso modo questa lettera sull’Eucaristia è un dono che hai voluto far giun-
gere a ciascuno di noi: leggendola, ho pensato che sei davvero un entusiasta, un
“innamorato” del Signore e non ho potuto fare a meno di ringraziarlo per la tua fede.
Una fede che ti spinge ad essere, tu per primo, missionario ed ora vuoi che impari ad
esserlo anch’io. Già, veniamo allora all’argomento principale della tua lettera: L’Eucari-
stia della domenica e la sua, diciamo così, “carica” missionaria.
Io sono “in regola”, sai? Almeno per ciò che riguarda l’Eucaristia: partecipo rego-
larmente, ascolto con attenzione la Parola di Dio e, a volte, mi è data l’emozione di leg-
gerla all’assemblea, mi unisco ai canti con la mia piccola voce e prego con i fratelli. Tu
parlavi della “beatitudine” che è possibile sperimentare durante l’Eucaristia; intuisco
che cosa vuoi dire: la mia fede, che coltivo costantemente con la preghiera, mi permet-
te di vivere in pienezza ogni celebrazione eucaristica, quella settimanale più sobria e
ricca di silenzio e raccoglimento, come quella della domenica più festosa e affollata.
Ricevo il Corpo di Cristo non appena mi è possibile, spesso indegnamente, e prego
raccolta e commossa dopo la Comunione. Sento che non sono sola, credo nella sua rea-
le presenza, a volte mi prende una grande dolcezza, ma poi? Forse tengo per me quella
dolcezza, quel tepore che mi ha riscaldato: mi pare che manchi proprio quella “carica
missionaria” di cui parlavi nella lettera.
Hai fatto bene a scrivermi, a ricordarmi che la partecipazione all’Eucaristia non
vale nulla se non si inserisce nella vita di tutti i giorni, se non ispira le mie scelte, se
non cambia a poco a poco la qualità della mia vita, se non contagia quanti mi stanno
vicino. Hai ragione tu: non si può tenere per se stessi un dono così grande quale è l’
incontro con la persona del Salvatore: tutto questo deve diventare per ogni uomo fonte
di pace e di gioia. Anche per il mio vicino di casa, per mio figlio, per mio marito; per cui
devo fare la mia parte.
Ora ti saluto, facendo mio ed un po’ adattandolo, l’augurio gioioso con cui hai concluso
la tua lettera: l’Eucaristia della domenica accenda in me il fuoco della missione.
Con affetto
M
ARIA
L
UISA
Quest’anno inizia una nuova “tappa” della testi-
monianza e della missionarietà: vogliamo testimoniare
Gesù risorto e annunciare il suo Vangelo a partire dal-
la celebrazione dell’Eucaristia nel Giorno del Signore.
L’eucaristia rimane il segno missionario più
“popolare”, comune e diffuso, e più “originale”, per-
ché più tipico dei cristiani.
D’altra parte non possiamo chiudere gli occhi
sul fenomeno attuale di molti cristiani che non avver-
tono più come loro impegno irrinunciabile la parteci-
pazione alla Messa ogni domenica. Né possiamo di-
menticare il fatto che molti battezzati abbandonano
l’Eucaristia domenicale: si tratta di battezzati di tutte
le età, in particolare degli adolescenti e dei giovani e
di ragazzi che pure frequentano la catechesi in prepa-
razione alla Comunione e alla Cresima.
Si vuole camminare su 4 “sentieri”:
Il primo
di questi “sentieri” consiste nel
«promuovere e assicurare l’alta “qualità celebrativa”
dell’Eucaristia» perché avvenga nel dovuto “decoro” e
apra il cuore allo “stupore”: è necessario in questo
metterci in ascolto della Parola di Dio.
Ed eccoci a un
secondo
“sentiero” per realizza-
re “qualità celebrativa” dell’Eucaristia: è l’educazione
della coscienza e del cuore.
C’è poi un
terzo
“sentiero” da percorrere: si
tratta di farsi carico di chi è assente dalla Messa.
L’ultimo
“sentiero”, il quarto, consiste nel ri-
scoprire e rilanciare il senso vero della Domenica,
come giorno del Signore. «Dobbiamo “custodire” la
domenica», nella certezza che «la domenica
“custodirà” noi e le nostre parrocchie».
NELLA SPIRITUALITA’
IL CAMMINO DELLA DIOCESI