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TRA MOGLIE E MARITO
I fiori profumavano de-
licatamente. Non era un maz-
zo appariscente. A Marina
piacevano i fiori di campo,
perché riempivano la casa di
vivacità, ma senza essere in-
vadenti; perché si vedeva che
c'erano, ma senza imporsi allo
sguardo. Tutto ne risultava
abbellito. Per questo non le
piacevano i gladioli o i lilium,
«perché – diceva – sembra
che vogliano essere belli sol-
tanto loro!».
Alberto lo sapeva e le
regalava volentieri quei fiori,
da qualche mese perfino con
una certa frequenza. Da quel
giorno in cui – ormai con le
spalle al muro – aveva cercato
di spiegarle le ragioni di quel
«tradimento».
«Tradimento»: perché
questa era la parola con cui
mestamente Marina aveva ac-
colto l'ammissione del marito.
«No – aveva protestato Alber-
to a quella "diagnosi", ma con
la voce sommessa, ormai rotta
da un moto di pianto – non è
stato un tradimento!».
«E allora? – lo aveva
incalzato Marina, scossa e in-
credula – Come vorresti chia-
marlo?!». Già: come avrebbe
dovuto chiamarlo? Eppure
Alberto era certo di non avere
tradito sua moglie. Almeno,
non nelle sue intenzioni.
Però… Sette mesi prima
era sbarcato a Boston, per la-
voro. E ci sarebbe rimasto per
tre settimane. Con lui erano
due colleghi: un altro uomo e
una donna. Tre settimane non
sono un tempo infinito. Eppu-
re, fra l'inglese che masticava
poco, il lavoro che non dava
troppe soddisfazioni, l'Italia
che da là sembrava irrimedia-
bilmente lontana, ecco che
Alberto si era trovato una sera
fra le braccia della giovane
collega. Un attimo di vuota
solitudine, un desiderio im-
pellente di calore, di conforto.
Una lunga serie di abbracci e
di baci sempre più appassio-
nati. Ma si erano lasciati così,
fra lo stupore e l'imbarazzo di
entrambi.
Debolezza, forse. Ma
«perché chiamarlo tradimen-
to?». Eppure al di qua dell'o-
ceano le cose non potevano
apparire troppo diversamente.
Già: perché l'altro collega, di
ritorno dagli Stati Uniti, ave-
va fatto qualche battutina ve-
lenosa; la voce era girata in
ufficio e poi, come il segreto
di Pulcinella, era rimbalzata
agli orecchi di Marina.
Inutile spiegare a Mari-
na che con la giovane collega
non c'era niente, che la vicen-
da non aveva avuto strascichi
e che, soprattutto, non ne a-
vrebbe avuti in futuro.
«Anzi! – quasi rivendi-
cava Alberto – Mi sentivo so-
lo e vuoto proprio perché mi
mancavi tu!».
«Ah! – replicava Marina
in un misto di rabbia e dolore
– E siccome ti mancavo io,
hai fatto in fretta a rimpiaz-
zarmi!».
Inutile dire che più Al-
berto cercava di giustificarsi,
più si trovava a sprofondare
nella colpa. Eppure – appa-
rentemente incredibile a dirsi
– il rapporto fra Marina e Al-
berto da quel giorno per molti
versi era migliorato.
Lei, che in passato ave-
va avuto nei confronti del ma-
rito perfino un pizzico di sog-
gezione, tenendosi sempre
tutto dentro, anche ciò che
ALBERTO E MARINA
OVVERO
IL «FATTACCIO AMERICANO»
Ad alcuni può sembrare strano che ci si possa divertire in questo modo anche perché spesso i
numeri e, più in generale, le logiche matematiche sono considerate noiose pratiche scolastiche più
che formidabili processi mentali. I numeri hanno un fascino particolare e la logica che li può gover-
nare è una capacità della nostra mente che più ci contraddistingue dagli animali. I bambini molto
frequentemente sono attratti da questo fascino. Il fatto che i numeri non finiscano mai solletica la
loro curiosità e li porta spesso a fare piccoli calcoli già prima di arrivare nei banchi di scuola. L’in-
finito numerico è una prospettiva vertiginosa. Se ci pensiamo un attimo non possiamo non chieder-
ci: ma quanti saranno?
A
NDREA
I.