Pagina 5 - Il Tassello

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TRA MOGLIE E MARITO
«Caro Mario, il 25 dicembre ormai è vici-
no e ho deciso di scrivere a te, quest'anno, la
mia lettera di Natale. Si fa presto a dire che o-
gni vita è un dono. Perché la vita in sé non esi-
ste; esistono le cose
vive
, le persone
vive
. E i
molti modi in cui la vita si manifesta nelle cose
e nelle persone talvolta possono fare perfino
paura.
Caro Mario, ora certamente lo sai:
così fu pure con te, parecchi mesi prima
che tu nascessi. Lo sgomento e
l'incredulità ci assalirono. All'ini-
zio le parole del medico erano ri-
suonate per me incomprensibili ep-
pure terribilmente sinistre:
trisomia
ventuno
. Istantaneamente mi ero
voltato verso tua madre. Lo sapevo,
accidenti, che lei sarebbe stata perfetta-
mente a conoscenza del significato di
quelle parole! Lei aveva letto di tutto
sulla gravidanza e sulle patologie neo-
natali. Se lo sentiva forse? Non lo so.
D'altronde qualcuno ci aveva intimori-
to: "A quarantadue anni... il primo fi-
glio... insomma...". Sì, è vero, non era-
vamo più giovanissimi... ma tu non
arrivavi mai!
Quindi tua madre appena bisbigliò:
"
Down
...". Quella parola, però, la conoscevo
pure io. Il medico – ora con la voce più lieve e
meno asettica – confermò: "Sì, il vostro piccolo
è affetto da
sindrome di Down
".
mongolo
!" esclamai io, in un misto di
rabbia e di pianto. Ancora me ne vergogno e ti
chiedo perdono. Ci pensò il medico a darmi
subito una lezione. Mi guardò con severità e
disse fermo: "Non usi mai più quella parola!".
Tua madre, che non l'aveva pronunciata – né
mai l'avrebbe fatto – mi sostenne: "Non la
use-
remo
più" disse, mettendosi così dalla mia par-
te e assumendo con me la responsabilità di quel
termine feroce. Non eri ancora nato e già avevi
fatto un piccolo miracolo: da sempre tua madre
ed io sembravamo specializzati nell'imputarci
cose dette o non dette, capaci di andare avanti a
rinfacciarle per giorni e giorni; e questa volta,
invece, pur essendo chiaro chi avesse parlato,
lei aveva usato il "noi", al posto del "tu".
Purtroppo però non ci furono soltanto mi-
racoli. In quei mesi interminabili dalla diagnosi
prenatale alla nascita fummo travolti da pensie-
ri di ogni genere, da sensi di colpa illogici, da
dubbi e da ipotesi funeste. Spesso mi capitava
di prendermela anche con Dio. Veramente in
questo tua madre non era come me. Capisco
che per lei tu c'eri già. Per me, invece, eri solo
un problema. E un problema enorme.
Le cose mutarono non appena ti vidi, pochi
minuti dopo il parto: tu eri mio figlio! Guardar-
ti e poi poterti stringere, e osservarti tranquillo
e fiducioso in grembo a tua madre, felice e fie-
ra, dissipò le ombre del dubbio, della colpa, del
pensiero che ossessivo si avvitava su se stesso
alla ricerca di un perché.
Certo la vita si era fatta improvvisamente
in salita. Ma avevo voglia di arrampicare! In
effetti è stata dura. Ora lo sai. Dire che con te
la nostra vita è cambiata è dire poco.
Non mi vergogno di scriverti che anch'io,
come forse tutti i genitori, sognavo che tu fossi
un bambino bello e sano, magari bravo a scuola
e che, poi, chissà, con la tua maggiore età – e
con la nostra "terza" età – ci dessi pure la
gioia di diventare nonni.
Invece sei arrivato tardi,
sei arrivato così com'eri, e sei andato via pre-
sto. Perché il tuo cuore buono faceva davvero
tanta fatica e ad un certo punto – e avevi solo
ventisei anni – ci facesti capire che era giunto
il tempo di ritornare da dov'eri venuto. Anche
questo ci avevano detto: che i
Down
spesso so-
no fragili e talora hanno seri problemi di salute.
A quel punto, però, la parola
Down
era
diventata per noi solo un termine straniero. Tu
eri, e sei, soltanto Mario.
Stamattina nevica. E il ricordo è corso
spontaneo a quella domenica di febbraio in cui
per la prima volta ti portammo in montagna a
vedere la neve. Qualche volta mi capita di ri-
flettere sulla felicità. E non posso fare a meno
di associarla al tuo viso esultante di allora, alle
tue mani che affondavano nella coltre bianca,
al tuo corpo che rotolava pieno di energia, a tua
madre che non sapeva se ridere o angosciarsi
vedendoti ormai fradicio e temendo chissà qua-
li conseguenze per la tua salute, a me che pen-
savo: "Se il paradiso esiste, deve assomigliare
al volto di nostro figlio".
ELENA, SERGIO E MARIO
OVVERO: IL SENSO DEL NATALE