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vanno come si vorrebbe. Questa è povertà!
Non ci è sicuramente chiesto di cambiare il
nostro modo di vivere “dalla testa ai piedi”, ma
è sicuro che il Signore ci ha donato questi
giorni di Missione per continuare a muovere
i passi verso di Lui ma soprattutto per comin-
ciare ad andare più in fondo al nostro cuore,
per scoprire che il Signore sa abitare anche le
relazioni, gli affetti, i sentimenti che teniamo
nascosti perché sono più veri. Questa è la
vera ricchezza che puoi donare ai tuoi fratel-
li! Perciò inizia dal tuo cuore, per essere vero
missionario!
S
UOR
C
RISTINA
Una città, un quartiere, una chiesa e noi, piccoli
importanti spettatori di un evento desiderato, pensato,
atteso. Siamo i fiori, Anturia, Spatifillo, Natalina, creati
per la gioia degli uomini, siamo curati e nutriti da loro
e per loro sono i nostri colori, la nostra bellezza, il
nostro profumo. Per volere degli uomini ci troviamo in
questa chiesa, davanti a questo grande altare sul quale
è stata posta, in una teca, l’Ostia bianca. Essa è pane, il
nutrimento degli uomini e gli uomini sono lì, davanti a
lei, si inginocchiano, la incensano, cantano, si siedono,
la guardano, la fissano, pregano e
l’adorano
.
Anche noi la fissiamo e all’improvviso ci sentiamo
più vivi e belli, più ricchi di colore: sentiamo il sole che
ci avvolge e ci penetra. E capiamo che gli uomini ci
hanno posto lì per lei, quell’Ostia bianca che è molto
più del sole: è il vero sole, è luce, è un flash e, in quel
flash per un attimo, noi fiori abbiamo occhi, abbiamo
orecchie e comprendiamo cosa fanno gli uomini
davanti a lei. In quell’Ostia bianca adorano la Trinità,
Dio, quel Dio che ha creato uomini e fiori, animali e
tutto ciò che sussiste.
In quell’ attimo io, Anturia, ho sentito la voce di un
bambino che diceva: “Chissà come fai a stare lì dentro,
tre Persone in un’Ostia, così piccola… Come è possibi-
le?”. Poi ha parlato a Gesù di sé, di come vorrebbe che il
papà giocasse con lui e della mamma sempre così
impegnata, senza allegria e gli ha detto:“Vieni tu a gio-
care con me, a farmi compagnia, a coccolarmi”.
A me, Spatifillo, sono giunte le parole di una
mamma, dolcissime, di ringraziamento, parole che tra-
boccano da un cuore pieno di gioia per i suoi piccoli
gemelli nati da poco, che le danno da fare ma che
riempiono di meraviglie ogni istante della sua vita.
Io, Natalina, ho visto due occhi tristi e ho sentito il
balbettio di un signore anziano che mormorava:“Sono
stato sempre lontano, preso da altre cose, altri pensie-
ri; ma ora, alla sera della vita, voglio fermarmi qui per
cercare di capire, di comprendere di me, di te. Forse
non è troppo tardi, dono vivo, posso cercarti, posso tro-
varti, posso chiedere perdono, posso amarti”.
Molte altre voci abbiamo percepito: la supplica di
una mamma per i figli lontano dalla fede, di un’altra
che implorava per la figlia malata o di quella che pian-
geva per il figlio drogato; c’era solo una parola sulle
loro labbra: aiutali!
Abbiamo udito la voce di un uomo che metteva
davanti a Dio la sua intera vita di faticoso lavoro e chie-
deva perdono per i suoi sbagli; l’urlo disperato di una
moglie tradita e il suo desiderio profondo di un aiuto
per poter perdonare come ha fatto Lui su quella croce;
la richiesta di un giovane per condurre bene la sua vita,
per non sciuparla, per trovare gioia in ciò che farà.
Abbiamo visto un uomo che in questa chiesa non
doveva esserci, un non credente che è entrato per
vedere… diceva: “È solo un’ostia bianca”, ma intanto
pensava: “A volte mi sembra così difficile che non esi-
sti… chissà”. Forse è uscito con Qualcosa, la stessa che
lo ha spinto in questa chiesa.
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