Pagina 5 - Il Tassello

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Quelli che...beati voi
sulla spalla di entrambi e accettando il rischio di
questa posizione […] qualcuno che si metta in
mezzo, che entri nel cuore della situazione, che
stenda le braccia a destra e a sinistra per unire e
pacificare. E’ il gesto di Gesù Cristo sulla croce»
(C.M. Martini,
Un grido di intercessione
).
Talvolta è nel cuore stesso dell’esperienza
tragica della guerra che gli uomini riscoprono
una verità semplicissima e così preziosa e così
facile da dimenticare: che l’altro, il nemico, è
come me
, non è una divisa, o un’ideologia, o un
modo di pensare diverso dal mio, è un uomo
come me, mi assomiglia, ama come me, vive le
mie stesse paure, soffre come me, muore della
stessa morte.
Le guerre, come i tanti conflitti quotidiani, ci
fanno dimenticare questa verità semplicissima.
Ma a volte la fanno ritrovare. Tra il dicembre
1942 e il gennaio 1943 l’esercito italiano, o quel
che resta, è in ritirata nelle gelide steppe della
Russia. Entrati in un villaggio, i soldati vanno a
caccia di cibo e di caldo nelle isbe; il sergente
Rigoni entra in una di esse e si blocca impietrito
sulla soglia: dentro, insieme ad alcune donne e
bambini, ci sono quattro soldati russi, seduti a
tavola. Superato lo choc iniziale, una donna of-
fre al soldato italiano del cibo; questi lo prende,
entra, mangia mentre anche i soldati russi fanno
lo stesso, in un silenzio irreale ma senza tensio-
ne. Finito di mangiare, senza dire una parola, il
sergente Rigoni esce dall’isba: «Così è successo
questo fatto. Ora non lo trovo affatto strano, a
pensarvi, ma naturale di quella naturalezza che
una volta dev’esserci stata tra gli uomini. Dopo
la prima sorpresa tutti i miei gesti furono natura-
li, non sentivo nessun timore, né alcun desiderio
di difendermi o di offendere. Era una cosa molto
semplice. Anche i russi erano come me, lo sen-
tivo. In quell’isba si era creata tra me e i solda-
ti russi, e le donne e i bambini un’armonia che
non era un armistizio. Era qualcosa di molto più
del rispetto che gli animali della foresta hanno
l’uno per l’altro. Una volta tanto le circostanze
avevano portato degli uomini a saper restare uo-
mini. Chissà dove saranno ora quei soldati, quel-
le donne, quei bambini. Io spero che la guerra li
abbia risparmiati tutti. Finché saremo vivi ci ri-
corderemo, tutti quanti eravamo, come ci siamo
comportati. I bambini specialmente. Se questo
è successo una volta potrà tornare a succedere.
Potrà succedere, voglio dire, a innumerevoli altri
uomini e diventare un costume, un modo di vi-
vere» (M. Rigoni Stern,
Il sergente nella neve
).
Don Giuseppe
Ortone chi?
“B
eati quelli che sono nel pianto, perché sa-
ranno consolati” (Mt 5, 4).
In un film d’animazione del 2008
Ortone e
il mondo dei Chi
, Ortone, un elefante con una
fervida immaginazione, un giorno, attraverso un
piccolo fiore di colore rosa, sente per caso un gri-
do di aiuto provenire dai Chi, una popolazione di
dimensioni incredibilmente piccole che vive in
un granello di polvere. Un corvo, credendo Or-
tone impazzito, ruba il fiore dalle sue mani e lo
getta in un campo pieno di milioni di fiori uguali
a quello. Ma l’elefante, avendo promesso ai pic-
coli Chi che li avrebbe aiutati, si mette a racco-
gliere i fiori di quel campo per poter ritrovare
quello perduto. Quando finalmente lo trova, tutti
gli abitanti della giungla, convinti della pazzia di
Ortone, decidono di legarlo e di gettare il fiore in
una pentola di ac-
qua bollente per
distruggerlo. Ma un
piccolo canguro si
accorge che in quel
fiore c’è la vita e
corre più che può
per salvare il fiore e
riportarlo a Ortone.
Solo a questo pun-
to gli animali della
giungla si convin-
cono dell’esistenza
di questo popolo e
decidono di libe-
rare Ortone, riconoscendogli che ciò che aveva
scoperto era vero.
Appena ho visto in televisione questo carto-