Pagina 4 - Il Tassello

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Buon appetito?
“Mangiate quello che vi sarà messo davanti”
S
i possono coniugare digiuno e letizia,
ascesi e gentilezza? È una domanda che
forse può interessare alle soglie della
Quaresima…
Ci dà qualche indicazio-
ne preziosa san Francesco
di Sales (1567-1622), che
fu vescovo di Ginevra. Dopo
aver raccomandato la pra-
tica del digiuno secondo la
prescrizione della Chiesa e
il consiglio del proprio diret-
tore spirituale, egli mette in
guardia la sua interlocutrice
dagli eccessi, praticati spesso
solo per darsi un’apparenza
di santità: “Io credo sia mag-
gior virtù mangiare senza
scelta ciò che vi viene pre-
sentato nell’ordine stesso in
cui vi si presenta, sia o non sia di vostro gu-
sto, piuttosto che scegliere sempre il peggio.
Infatti, anche se quest’ultimo modo di vivere
appaia più austero, l’altro rivela tuttavia una
maggior rassegnazione, perché per esso non
solo si rinuncia al proprio gusto, ma anche ad
ogni scelta; e a dir il vero, non è una piccola
austerità l’adattare il gusto a tutte le volontà e
tenerlo soggetto al caso, tanto più che questo
tipo di mortificazione non è appariscente, non
incomoda nessuno e conviene in modo singo-
lare alla vita civile” (
Introduzione alla vita
devota
, Parte III, cap. XXIII).
Si tratta di una questione magari banale,
senza dubbio condizionata dalla mentalità
del tempo, ma è no­te­vole la finezza spirituale
di san Francesco: digiuno è anche mangia-
re ciò che viene portato in ta­vola (l’ambien-
te cui ci si riferisce non è evidentemente un
ambiente “popolare”), senza capriccio­se esi-
genze ma anche senza imporsi la penitenza di
mangiare il cibo più indigesto. La rinuncia a
fa­re obiezioni sul cibo dice una “rassegnazio-
ne” che non è fatalismo passivo, ma convinto
adegua­men­to alle scelte di chi ha preparato il
pasto ed ha il vantaggio di non rischiare l’esi-
bizionismo e di adat­tarsi alle buone regole di
normale convivenza delle persone. Vengono in
mente le parole del Van­gelo:
“quando entrerete in una città
e vi accoglieranno, mangiate
quello che vi sarà messo da­
van­ti” (Lc 10,8). La radicalità
dello stile cristiano (“maggior
virtù”, “maggior rassegnazio-
ne”, “mor­ti­fi­cazione”, “auste-
rità”…) si inserisce agevol-
mente dentro gli usi del tempo
e le regole sociali del rispetto,
dell’ospitalità, della convivia-
lità, senza far rumore, senza
ingenerare disagi.
Il criterio, il fine di questa
santità feriale non è la perfe-
zione personale, bensì il “bon
plaisir de Dieu”, l’“amabile volontà” di Dio, ciò
che a lui piace. Esso, osserva una commenta-
trice, costituisce «un motivo umile, familiare,
quasi confidenziale, che passa dappertutto, che
fa tesoro di tutto, anche delle briciole; un amor
puro che […] vince con la sua grazia disarma-
ta, la sua disponibilità al quotidiano...Prende
un aspetto affettivo e domestico, pedagogico e
persuasivo...».
Mangiare quello che è stato preparato da chi
ci ha invitato, anche se non è proprio di nostro
gusto, è atteggiamento proprio del pellegrino,
che non sta a lamentarsi se non viene rifocillato
con il suo piatto preferito, ma è comunque con-
tento dell’ospitalità che riceve, apprezza lo stile
della gratuità, manifesta il piacere di sentirsi
accolto.
Nell’intenzione di Francesco di Sales, questo
semplice consiglio non è banalmente una no-
iosa regola di
bon ton
, né il sintomo di un cri-
stianesimo “sottotono”, o della proposta di un
“Vangelo scontato”, né incoraggia la pigrizia di
anime mediocri. È invece la modesta icona di
un cristianesimo felice, “dolce e piacevole”, che
sa adattarsi alla vita e alle circostanze che spes-