Pagina 2 - Il Tassello

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Dopo la quarantena
sino a condividere il dramma dello spegnersi
della vita, addirittura nella forma della violen-
za omicida. Gesù non si è gettato nella morte
confidando della facoltà salvifica del dolore,
ma abbracciando sino in fondo l’amore del
Padre per il quale anche la morte può essere
accettata. Non il dolore redime, ma l’amore,
quell’amore che ha salvato Gesù dalla morte
eterna e l’ha consegnato alla vita risorta. Il ve-
nerdì santo, allora, non celebra il dolore della
passione, ma l’amore di Gesù che patisce per
la salvezza dell’umanità. Senza l’alba del pri-
mo giorno dopo il sabato, il venerdì santo non
è nulla e non può nulla.
Alla luce di queste considerazioni, con più
profondità possiamo affermare che le piaghe
del Signore, impresse nel suo e nel nostro cuo-
re, sono realmente salvifiche proprio perché in
relazione all’amore divino e sua espressione.
Il dolore senza l’amore è atto sadico o ma-
sochistico. Il dolore senza amore è la barbarie
Resurrexit
C
hiudo gli occhi e cerco
di immaginare quella
prima domenica di Pa-
squa, i sentimenti e gli atteg-
giamenti dei discepoli di Gesù
chiusi nel Cenacolo per paura
di essere presi di mira da colo-
ro che avevano condannato il
loro Maestro.
Cerco di immaginare cosa
hanno provato le donne che
sono andate al sepolcro per
ungere il corpo di Gesù, che
era stato posto là in fretta,
perché scadeva il tempo quel
venerdì santo.
Cerco di immaginare cosa
ha provato la Maddalena,
quando si sentita dire da Gesù:
“Maria, non mi riconosci?”
che vulcano di pensieri
aveva in cuore mentre
correva al Cenacolo per
dire ai discepoli:
“E’ ri-
sorto, l’ho visto!”
Cerco di immagina-
re cosa è successo nella
mente e nel cuore dei
discepoli, quando si
sono sentiti annunciare
:
“Sì, anche gli angeli lo
hanno detto, è risorto!”
Cerco di immaginare come
batteva il cuore a Pietro e a
Giovanni, mentre correvano
al sepolcro per vedere se era
proprio vero; cosa ha pensa-
to Giovanni, quando ha visto
la sindone distesa e il sudario
accanto ripiegato, mentre si ti-
rava da parte per far entrare
Pietro che era arrivato dopo,
affannato.
Immagino che cosa hanno
provato quei due discepoli che
se andavano al loro villaggio,
Emmaus, delusi: noi spera-
vamo! E poi se lo trovano lì
a cena a compiere il gesto che
aveva fatto la sera del giove-
dì precedente. Con che animo
hanno rifatto la strada verso
Gerusalemme per dirlo agli al-
tri e riferire quello che aveva
più assurda che l’uomo possa subire. Noi non
celebriamo il dolore, ma l’amore che salva, così
come centinaia di anni prima della venuta del
Figlio di Dio sulla terra, il grande Isaia, riuscì ad
intuire:”
Egli è stato trafitto per le nostre colpe,
schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che
ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue
piaghe noi siamo stati guariti
”.(53,5)
Io non conosco i movimenti e i sentimenti
del cuore di chi celebra la liturgia del vener-
dì santo, solo Dio sa cosa passi tra le pieghe
della coscienza di ciascuno di noi; desidero
invece chiedere a me stesso e a te di non fer-
marci sulla soglia del mistero della sofferenza
del Maestro immedesimandoci in essa, ma di
scoprirne il significato profondo per passare
dal racconto del dolore alla gioia dell’amore
che salva; lo celebreremo insieme nella santa
veglia pasquale.
Buona Pasqua
Don Attilio