Pagina 3 - Il Tassello

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Colorare
IN QUESTO NUMERO
1. C
OLORARE
LA
C
HIESA
Don Attilio
2. I
L
COLORE
DELLA
LITURGIA
Don Peppino
3. G
IUSEPPE
E
LA
TUNICA
DAI MILLE
COLORI
Don Giuseppe
4. I
COLORI
DELL
ORCHESTRA
Gianfranco Stoppa
5. U
NITED
COLORS
OF
C
HEDDONNA
Chiara Pesenti
6. P
ASTA
IN
BIANCO
ANCHE
OGGI
?
Silvio Ceranto
7. I
L
PITTORE
Luca Tessaro
8. L
A MAGIA
DELLA
NATURA
Matteo Tognonato
9. I
L
FASCINO
DI
QUEGLI
OCCHI
SCURI
Antonella Bellotti
10. A
RBITRO
VENDUTO
! (
OVVERO
)
DI
TUTTI
I
COLORI
Andrea Inzaghi
11. L
ETTURE
,
MUSICHE
,
IMMAGINI
… C
UM
– P
ATIOR
,
OVVERO
:
QUANDO
EMOZIONI
E
SENTIMENTI
VESTONO
I
COLORI
.
Maria Elisa Rizzotto
12. A
GGIUNGI
UN
POSTO
A
TAVOLA
Giovanni Grampa
AGENDA
che pronunciano e cooperino con la grazia divina
per non riceverla invano”
(n. 11). Concetti que-
sti un po’ impegnativi e un po’ difficili perché mai
pensati e meditati.
Ma ho trovato nel mio “zibaldone” un vecchio
foglietto ingiallito sul quale avevo scritto un pen-
siero tratto da un libro del card. Schuster sulla
liturgia (qualcuno dirà: vecchio foglietto, vecchio
libro, ma vedrete che ci insegna ancora qualcosa).
Il card. Schuster definiva così la liturgia:
1) è un poema al quale hanno posto mano cielo
e terra
2) è l’espressione dell’opera materna della Chiesa.
I suoi ambiti:
1) tutto il creato da portare a lodare il Creatore.
I fiori sull’altare sono lode a Dio che ha creato il
mondo con i suoi bei colori. La liturgia accoglie i
colori della natura.
2) tutta la vita umana nel suo nascere, nel suo
svolgersi, nel suo tramonto ed oltre.
Poi aggiunge una nota di colore:
“Purtroppo
assistiamo a questo fenomeno: la massa dei fedeli
viene piacevolmente intrattenuta ai margini della
teologia; il popolo corre volentieri a santa Rita, a
sant’Antonio, a sant’Espedito perché “si interessi-
no di suoi bisogni materiali”; di Dio, Uno e Trino
invece niente”
(quanta gente passa davanti al San-
tissimo Sacramento senza degnarlo di un inchino!).
E continua il Schuster:
“La liturgia ci porti a Dio
creante e santificante, al mistero della redenzione,
della buona novella e della finale Parusia”.
Sapete che il Schuster era un grande liturgo,
quando celebrava era solenne, assorto, ieratico, ti
strappava la voglia di pregare. Ma era spiccio, non
indugiava a sentimentalismi, era essenziale. Mi ri-
cordo il giorno della mia ordinazione sacerdotale
in Duomo a Milano: eravamo 70 ordinandi e nono-
stante il numero non ha stancato, anzi il tempo è
fuggito senza accorgerci. Diceva
: “A Dio dobbiamo
dare il meglio di noi stessi”.
Pertanto sbagliano quelli che in nome della
povertà vogliono che in chiesa si butti via tutto il
patrimonio liturgico dei paramenti e suppellettili
che nei secoli grazie ai sacrifici dei parrocchiani ha
abbellito le nostre chiese e funzioni. Come a dire: a
Dio diamo il minimo, gli straccetti, poi in casa loro
hanno tutti i confort di questo mondo, indossano
vestiti costosi all’ultima moda.
Mi viene in mente il re Davide che saltava, bal-
lava, cantava davanti all’arca dell’Alleanza e alla
moglie Micol che lo criticava dicendo:
“Bella figura
ha fatto il re davanti alle sue schiave”
rispose:
“Per
il mio Dio faccio questo e altro”.
Papa Francesco ci insegna la povertà, ma digni-
tosa, non la sciatteria. Coloriamo le nostre liturgie,
sarà segno della nostra fede e della nostra gioia, e
Dio si sentirà amato.
Don Peppino
Giuseppe e la tunica dai mille colori
N
el 1968, cioè due anni prima di scrivere la sua
opera musicale più famosa,
Jesus Christ Su-
perstar
, il compositore inglese Andrew Lloyd
Webber aveva prodotto un altro musical, ispirato
alla figura del patriarca Giuseppe, figlio di Giacob-
be, e intitolato
Joseph and the Amazing Technicolor
Dreamcoat
, che fu rappresentato nella sua versione
definitiva solo nel 1991 e del quale è stata realizzata
in anni più recenti anche una versione italiana, il cui
titolo traduceva fedelmente l’originale inglese:
Jose-
ph e la strabiliante tunica dei sogni in technicolor
.
La storia di Giuseppe è nota ed è narrata nei capp.
37-45 del libro della Genesi: egli è il penultimo dei
figli di Giacobbe e il più amato perché “era il figlio
avuto in vecchiaia”; espressione di questa predile-
zione è una “tunica dalle lunghe maniche” che il pa-
dre gli ha regalato e che suscita l’invidia e la gelosia
degli altri fratelli. È una cosa strana: l’amore suscita
l’odio, la predilezione di Giacobbe per Giuseppe lo
rende odioso agli occhi dei fratelli, i quali non sono