Pagina 4 - Il Tassello

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...in libertà
un chiodo mi è penetrato nel naso all’altezza degli
occhi, ne porto ancora il segno (se mi avesse preso
l’occhio o il cervello?) sangue a non finire. Medi-
cato alla buona con cerotto dalle donne e avanti a
confessare, era venerdì santo. Non vi dico la figura
che ho fatto davanti al proprietario.
Nel mese di maggio, prima di essere chiamato
a Roma per la morte del papa Giovanni XXIII ed
essere eletto papa, il cardinale era nella mia pieve
in visita pastorale. Quella volta ha dormito nel mio
letto, io mi sono ritirato in un angolino, era l’unica
soluzione dignitosa. Mi ha visto con il cerotto sul
naso. Alla sua richiesta di cosa era successo gli ho
risposto
: “Un Cristo mi ha buttato giù dall’altare
e mi ha conficcato un chiodo”
sorriso di tutti i pre-
senti. Un anno dopo, 1964, celebrando il decimo
anniversario di ordinazione, con i miei compagni di
corso, mi sono recato a Roma e nella visita privata
al Papa, lui mi viene vicino e mi chiede:
“Prevosti-
no, le è caduto un altro Cristo in testa?”
pensate,
con tutta la preoccupazione da Papa, si ricordava
ancora del mio incidente. I miei compagni:
“cos’è
questa confidenza con il Papa?”
risposta:
“Vecchia
amicizia!”
Paolo VI aveva una delicatezza spiccata
e un profondo senso dell’amicizia.
La visita pastorale
. A proposito di quella visita
pastorale io, come Vicario, dovevo accompagnarlo
nelle otto Parrocchie del Vicariato. Quella matti-
na l’ho preceduto nella Parrocchia di Domo con la
mia topolino, dopo aver dato istruzioni all’autista
per il percorso nelle viuzze del paese. Ma l’autista
sbagliò strada, si infilò in una stradina stretta, sci-
volosa, in forte pendenza, sotto c’era il torrente.
Quando si accorse era disperato, povero Antonio!
Ma arriva l’Edgardo, il fossore del paese, grande
e grosso, un alpino di quelli tosti. Rassicura l’au-
tista e dice all’Arcivescovo:
“Lù,siur cardinal, che
li staga lì su la machina, se no qui si sporca le
scarpe”
voi non ci credete, ma l’Edgardo prende
la macchina sul davanti e poco per volta la vol-
ta in senso contrario e si mette dietro a spingere
mentre l’autista l’avvia. Quando è diventato Papa,
l’Edgardo viene a dirmi:
“È merito mio se è Papa,
perché se finiva nel torrente… e la sua benedizione
mi ha fatto bene”
Missione di Milano
. Profetica impresa, titanica e
coraggiosa che intravvedeva già allora con acutez-
za quello che oggi balza quasi drammaticamente
agli occhi. Lo disse il Card. Martini. Era l’ottobre
1957. il tema era il Padre nostro, l’obiettivo era
avvicinare i cosiddetti lontani.
“Cristo è ignoto, un
dimenticato, un assente in gran parte della cultura
contemporanea”
sono sue parole.
C’ero anch’io. Predicavo in un liceo di via Wa-
gner. Tanti i predicatori illustri. Lui era infatica-
bile, teso, ma sereno, cosciente che stava facendo
una cosa meravigliosa in una città secolarizzata.
Un gesto significativo. Davanti a un prete che
voleva lasciare il sacerdozio, si inginocchiò suppli-
candolo, quello davanti a tanta umiltà rimase prete
per sempre. Gesti profetici uniti a una grande pro-
fondità umana e spirituale a cominciare dall’im-
pegno a condurre a termine il Concilio Vaticano
II, gesti innovativi e coraggiosi. Ho sempre visto in
lui un esempio di appassionato amore alla Chiesa
e agli uomini. Ripeteva :
“Il cristianesimo non è
facile, ma fa felici”.
Noi oggi siamo richiamati a questo umile e te-
nace coraggio. La Chiesa ambrosiana deve gran-
de gratitudine a Dio e sentire la responsabilità: ha
ricevuto dal cielo tre Arcivescovi beati in un solo
secolo.
Don Peppino
Roncalli e la conquista della semplicità
G
iovanni XXIII, recentemente canonizzato
insieme a papa Giovanni Paolo II, si porta
dietro l’appellativo sicuramente invidiabile
ma anche un po’ ambiguo di “Papa buono”.
Invidiabile, perché oggi sentiamo una grande
mancanza e un urgente bisogno di bontà, ambiguo
perché oggi conosciamo anche la deriva della bontà
che è il “buonismo”, cioè quell’atteggiamento che,
volendo essere comprensivo e magnanimo nei
confronti anche di chi sbaglia, finisce col perdere
di vista l’esigenza della verità e della sincerità e si
trasforma in una versione dolciastra e ipocrita della
bontà, che non è più veramente utile al prossimo.
Angelo Giuseppe Roncalli fu buono avendo scelto
la bontà come stile delle proprie relazioni, assumendo
ed elaborando un atteggiamento sicuramente nativo
e spontaneo in lui fin dalla nascita. Ma la bontà di
Giovanni XXIII non fu semplicemente un tratto
spontaneo del carattere. La lettura del “diario
spirituale” che ci ha lasciato, il
Giornale dell’anima
,
rivela come anzitutto dietro i suoi modi cordiali
e affabili c’era una dura lotta interiore contro
l’egoismo; il sorriso che segnava sempre le sue
labbra rappresentava spesso “le vittorie dello spirito