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...in libertà
A
lle recite della scuola materna de IlPrinc-
ipe, Cheddonna piangeva sempre. Era
più forte di lei, ma non poteva ascoltare
quelle vocine spaesate cantare le canzoncine di
Natale, o recitare la poesia di fine anno senza che
gli occhi le si facessero lucidi per la commozione
e grosse lacrime le rotolassero via dalle ciglia,
mettendo a dura prova anche il più waterproof
dei mascara.
“Non sono la sola”-si diceva- guardandosi in-
torno circospetta e intercettando molti altri occhi
arrossati, dietro i flash delle macchine fotogra-
fiche, e visi nascosti da provvidenziali fazzoletti
di carta.
Verso la fine delle elementari i
flash alle recite erano diminuiti,
e di fazzoletti se ne vedevano
sempre meno. Alle medie, non
fosse stato per le amiche del
M.A.M.A., notoriamente in-
clini alla commozione, Ched-
donna avrebbe cominciato a
sentirsi una mosca bianca.
Ora IlPrincipe stava finen-
do la prima liceo, e quel giorno
avrebbe avuto il suo annuale sag-
gio di pianoforte.
Anche se IlPrincipe, temendo che si annoiasse-
Che sciocco! come avrebbe potuto annoiarsi al
saggio di suo figlio!- le aveva caldamente con-
sigliato di restare a casa, Cheddonna si era recata
al saggio fermamente intenzionata a non versare
nemmeno una lacrima.
Per un po’ c’era riuscita. Aveva ascoltato una
pessima suonatrice di violoncello, due gemelli vio-
linisti passabili e una suonatrice di flauto traver-
so davvero promettente senza scomporsi minima-
mente, ma quando era apparso lui, IlPrincipe,
bello come il sole nel suo completo scuro, e si era
seduto al pianoforte, non ce l’aveva fatta più, ed
era scoppiata a piangere senza ritegno.
Si frugò nelle tasche e, accanto
alle lacrime, vi trovò un paio di
occhiali neri, grandi, che le da-
vano quel tocco di mistero che
le donava tanto. Li inforcò e,
protetta da quello schermo
impenetrabile, continuò a pi-
angere indisturbata per tutta
la durata dello spettacolo. In
fondo, a lei piaceva così.
Chiara
Le avventure di Cheddonna
Lacrime in tasca
Promesse della Terra
Scrittori liberi
S
i è fatta sera, ormai, con quelle tinte mo-
derate delle giornate nuvolose di
fine maggio.
Sono rimasta con loro mol-
to tempo oggi. Ogni pianta ha
forme, colori, foglie, necessità,
storie differenti.
In primavera, poco più che ger-
mogli, condividono la stessa luce e
la stessa terra nello spazio ristretto
di una fioriera. Non hanno radici
profonde che le difendano né terra
grassa smossa da una vanga contadina
di tanto in tanto.
Esili steli, piccoli boccioli, rami sottili
che vacillano sotto il peso di una
farfalla.
La loro esistenza nelle mie
mani nude che si fanno rastrello
per levare i piccoli sassi e sar-
chio che libera dal trifoglio in-
vadente.
Quando l’acqua, poi, si
mescola alla terra, tutto di-
venta bosco umido, rugia-
da, sole, ombra, fruscio,
ronzio, eterna linfa in cui
palpita la vita.
Marisa