Pagina 7 - Il Tassello

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Opere di misericordia corporali
L
a porta d’ingresso è grigia, pesante, sen-
za vetri. Sembra ostile.
Dentro l’aria ha l’odore dei corridoi
che non sono casa.
Poi vedo gli ammalati nelle stanze: un po’
spaesati e sorpresi essi stessi di essere lì, ospi-
ti obbligati a tempo indefinito. Quasi sempre li
sorprendo appisolati nel letto, chini sopra una
rivista, con un biscotto scivolato dentro la taz-
za del tè. Allora sorridono, quasi si scusano per
il pigiama che indossano e si passa- no una
mano tra i capelli spiegazzati.
È imbarazzante essere vi-
sitatori con ingombri di cui
non ci si può disfare all’en-
trata, come giacche, scar-
pe, mani fredde. Il rimanere
in piedi, poi, sembra un accen-
to posto per sbaglio sopra la per-
sona sana, una barriera tra chi sta
all’interno di quelle pareti pallide e
chi vive all’esterno ed ha premura di
ritornarci. Invece bisogna accomodarsi e condi-
videre il comodino apparecchiato con i propri
oggetti quotidiani, l’armadio, il piccolo bagno.
E passare senza fretta il pettine tra i capelli fini
e accettare caramelle custodite in un angolo del
cassetto.
Finalmente siamo seduti. Vicini, sopra un
bordo di letto, una sedia, il bracciolo della stes-
sa poltrona. E’ bello raggiungere la medesima
altezza: solo così anche gli occhi si allacciano e
le mani si trattengono.
Il cuore può sembrare reticente; esita, for-
se guarda di sotto e sente le vertigini. Teme di
poter precipitare nel nulla e farsi male. Ma il
più delle volte è impavido ed esce allo scoperto.
L’incontro tra cuori è una danza lieve dove si
intrecciano parole, silenzi, ascolto. È uno spazio
in cui le speranze, le paure, le la-
crime possono lasciarsi anda-
re senza ordine e controllo, da
occhio a occhio, da un animo
all’altro.
Poi ci si lascia, come chi
transita nelle stazioni. Dalla
banchina si mandano baci sulla pun-
ta delle dita; dentro il vagone si agita la
mano fino a quando il convoglio sparisce dal-
la vista. Fuori rimane un’eco indistinta. Dentro
una scia pulita, un ricordo che fa bene.
Marisa
Scrittori liberi
Visitare è accogliere
U
n bellissimo racconto, un dialogo fra zio
e nipote su una carretta del mare, che
può aiutarci a dare un significato di-
verso alle parole extracomunitario, immigrato,
clandestino. (Alessandro Ghebreigziabiher).
Su una nave. In mare. Da qualche parte.
«Zio Amadou?».
«Sì…»
«Zio?».
«Sì?».
«Mi senti?».
«Sì che ti sento…».
«Ma non mi guardi...».
L’uomo si volta ed accontenta il nipote. «Stai
tranquillo, gli dice inarcando il sopracciglio si-
nistro, le mie orecchie funzionano bene anche
senza l’aiuto degli occhi…». E si volta a studiare
le onde.
Il ragazzino, poco più di sei anni, lo osserva
dubbioso, tuttavia si fida e riattacca: «Zio… Tu
conosci bene l’Italiano?».
«Certo, laggiù ci sono già stato due volte».
«Conosci proprio tutte le parole?»
«Sicuro, Ousmane».
Il nipote si guarda in giro, come se avesse ti-
more di essere udito da altri, e arriva al sodo:
«Cosa vuol dire extracomunitario?».
L’uomo, alto e magro, ha trent’anni, ma la
barba grigia gliene aggiunge almeno una decina.
Non appena coglie l’ultima parola del bambino,
Il futuro dei miei