Pagina 4 - Il Tassello

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La misericordia per il nostro pianeta
ai margini del campo, il frut-
to del suo sudore. Perché non
è sufficiente piantare, occorre
coltivare, ossia curare, dare
l’acqua, togliere la zizzania.
Così era per il granoturco, le
patate e il prato. Dare l’acqua
era un’arte. L’acqua del fosso,
che veniva dalla roggia princi-
pale, la si distribuiva a turno
tra i contadini, ogni 15 giorni,
e bisognava curarla: un uomo
a capo del campo e l’altro
all’atro capo e guidarla per non sprecarla, per-
ché passata quell’ora doveva andare all’altro
contadino. La mietitura poi era a mano, con
la falce (il sighes) e noi bambini, dietro agli
uomini, a spigolare, perché nulla andava per-
duto. E in tempo di guerra si faceva la farina
con il grano sottratto all’ammasso governativo
e si barattava con il prestinaio compiacente per
avere un po’ più di pane per i bambini. Mia
sorella ha perso la gamba proprio per andare a
ritirare il pane per un incidente con un camion
che le è venuto addosso.
E la mia mamma cuoceva il pane bianco e
profumato nel fornello del camino e faceva an-
che il panettone a Natale. Ne sento ancora il
profumo che inondava la casa e la camera di
sopra e faceva gioire i bambini perché:
domani
è Natale!
Quel pane della mamma, mio padre
me lo portava in seminario in tempo di guer-
ra, perché il pane della tessera era poco, duro:
pane della desolazione.
Ma mia mamma non solo faceva il pane, la-
vava i panni al fosso, in ginocchio su una pie-
tra. Sì, in ginocchio per poter arrivare all’ac-
qua che scorreva nel fosso. E i panni erano bei
puliti, stesi al sole ad asciugare. E le donne
cantavano mentre lavoravano con le mani.
E il mais, il granoturco, belle pannocchie
bionde che facevano una buona farina per la
nostra polenta fumante. Ma noi ragazzi le pan-
nocchie le mangiavano anche prima, quando
non erano ancora mature, belle verdi, si coglie-
vano, si abbrustolivano, si faceva i pop-corn.
E le patate, che fatica piantarle ad una ad
una e raccoglierle con la stessa
zappa, pulirle, metterle nella
cassetta e caricarle sul carro.
Ma dentro i solchi delle pata-
te e del mais nasceva anche
l’erba, che non si sprecava, la
raccoglievamo in ginocchio, si
portava a casa nei sacchi sulle
spalle, la si lavava nel fosso e
si dava da mangiare agli ani-
mali. Quando mi lamentavo
per la fatica, mio padre mi di-
ceva: pensa al buon latte delle
nostre mucche che ti ricompensano.
E il prato. Si facevano tre tagli per portare
a casa il fieno: a maggio, luglio e agosto. Mi
rivedo con il bastone in mano a voltare l’erba
per farla seccare entro la giornata di sole: tanto
sudore. Ma nell’intervallo, sotto il gelso, con in
mano il libro per studiare la lezione del giorno
dopo. E a ottobre e novembre si mandavano
le mucche nel prato a pascolare, e noi ragaz-
zi con la mantellina sulle spalle a curarle, ma
anche con il libro in mano sempre per via della
scuola.
Ma da guardare e curare nel campo c’era
anche la chioccia con i pulcini. E quella sera
mi è andata male: nel raccogliere i pulcini un
lavativo non voleva entrare nella gabbietta,
mentre lo rincorrevo l’ho schiacciato, poverino.
Ma poverino anch’io perché a casa la nonna
ha contato i pulcini, ne mancava uno: a letto
senza cena. Ma di nascosto è arrivata la mam-
ma con la scodella e
“fai in fretta a mangiare
prima che si accorga la nonna”.
Quanti ricordi! Ne avrei ancora tanti, ma
sarà per un’altra volta. Intanto gioisco quan-
do sento papa Francesco che raccomanda di
rivedere il nostro stile di vita. Se è utopistico
ritornare alla vita agreste, a lavorare i campi
per vivere, è realistico però l’invito a gustare i
beni della terra e a non sciupare i frutti dei no-
stri campi. Com’era bella la mia bruna terra!
Amatela, vi sarà madre
, “la nostra cara madre
terra
” ( San Francesco).
Don Peppino