Pagina 5 - Il Tassello

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Il profumo degli nizi
C’erano altre cascine, ma io non le frequentavo. Ricordo solo quella di via Comalone dove
abita ora Matteo Tognonato, quel grande diversamente abile con una mente superiore. Tutti
ammiriamo i suoi articoli sul Tassello.
Ai tempi la via Samarate era di tre metri, sterrata, affiancata
da profumatissime robinie. Mio padre con la famiglia è venuto, come già detto, nel 1957. Io ero già
prete e facevo servizio ad Arnate.
Nota umoristica: mia mamma diceva: finalmente sono vicina a mio figlio prete. Ma mi ha goduto
poco, dopo tre mesi, domenica 8 marzo 1958, il card. Montini mi ha mandato Prevosto a Bedero
Valtravaglia. In quegli anni don Marco Brivio era già incaricato della pastorale del nostro rione e si
incominciò a parlare di costruire la chiesa, perchè qui nel dopoguerra si iniziarono a costruire case a
spron battuto. Don Marco era un prete entusiasta: ha iniziato la nostra comunità con grande energia e
passione. Il buon Dio l’ha voluto presto in Paradiso dopo grandi sofferenze. I miei fratelli con altri uo-
mini lo assistevano dopo l’amputazione delle gambe. Può essere posto come pietra angolare spirituale
della Parrocchia.
Avrei tante altre cose da raccontare, ma ora non c’è spazio. Avremo modo di intervenire ancora du-
rante questo cinquantesimo.
Dunque io sono immigrato, la mia famiglia è immigrata, ci siamo inseriti molto bene a Busto e pen-
siamo di aver dato anche qualche contributo al nostro rione. Perché allora avercela con gli immigrati?
Possono contribuire al nostro sviluppo sociale ed economico.
Don Peppino
Mi ritorna in mente
C’era una volta
G
iovanni nel 1964 aveva 8 anni. Una vita tranquilla, papà impiegato, mamma casa-
linga, un fratello maggiore e una nonna convivente. Un bambino come tanti altri, an-
dava a scuola con buon profitto e il maestro non aveva nulla da rimproverargli. Dopo
aver fatto i compiti, al pomeriggio si metteva a giocare o da solo oppure con il suo amichetto
Mario che abitava lì, appena girato l’angolo. Qualche ora soltanto e poi veniva il tempo del-
la cena, una minestra, un po’ di formaggio, quando andava bene del prosciutto cotto, una
mela o una pera. Da poco però c’era una novità in casa, un nuovo elettrodomestico, grande,
che occupava molto spazio e che, dicevano, portasse allegria: la televisione. In bianco e nero,
solo un programma e neanche per tutto il giorno, alle ventitré usciva il monoscopio e un si-
bilo fastidioso ti invitava ad andare a dormire.
Ma quell’inverno c’era la finale del Festival di Sanremo e dato che era sabato sera per una
volta ebbe il permesso di vedere per un’oretta un po’ di trasmissione. Forse il presentatore
era Mike Bongiorno, e quella sera avvenne il magico incontro di Giovanni con la musica.
Fino a quel giorno il rapporto di Giovanni con le notizie del mondo erano minime: sapeva
quello che sentiva in casa dai genitori, la frana del Vajont dell’anno prima, la morte di Papa
Giovanni XXIII, l’omicidio del presidente Kennedy, cose da grandi. Qualche volta sentiva
distrattamente quello che gracchiava la radio che c’era in cucina, sintonizzata sempre sul
“Gazzettino padano”. E a scuola qualche altra informazione generale, ma niente di che.
Il giorno dopo seppe che quell’edizione del festival era stata vinta da Gigliola Cinquetti con
la canzone “Non ho l’età”. La cantante aveva sedici anni, otto più di lui, e nel filmato del te-
legiornale vide una ragazza timida, quasi impaurita per quello che le stava accadendo. Qual-
che giorno dopo udì la canzone alla radio e gli piacque immediatamente.