Pagina 7 - Il Tassello

Versione HTML di base

7
Il profumo degli nizi
Musica Maestro!
Mi ricordo che cantavo...
Gianfranco
C
inquanta anni fa, facevo il chierichetto nella chiesa di S. Michele a Busto Arsizio. In
sacrestia, c’era un forte fermento tutti i sacerdoti, ed erano tanti, discutevano tra loro
perché Don Marco Brivio, uno di loro, sarebbe divenuto il parroco della nuova chiesa
che si stava costruendo dopo il cimitero. Si sarebbe chiamata “Santa Maria Regina”. Don
Marco abitava a Busto Arsizio, in due locali all’interno dell’oratorio S. Filippo Neri, oratorio
della chiesa di S. Michele. Il sacerdote proposto era però Don Romano; ricordo un suo motto:
“Mille e più di mille”. Pensate mille bambini e ragazzi che frequentavano quell’oratorio. Don
Marco se ne stava in disparte per non intralciare il suo collega, anche se ogni tanto si faceva
vedere sulla porta della sua abitazione. Questa si trovava vicinissima al salone cinematogra-
fico, vecchio e con un palcoscenico buio e molto mal ridotto. Don Marco era il mio insegnan-
te di religione alle scuole medie A. Bossi da poco costruite in via Dante a Busto Arsizio. Era
proprio in quel tempo che restavo stupito a sentire i canti che si facevano in chiesa, un coro
eccezionale diretto da Don Mario: restavo incantato quando cantavano accompagnati da un
magnifico organo, un “Mascioni” che ancora oggi suona in S. Michele. Mi mettevo vicino
all’organista, con addosso la cotta da chierichetto e sentivo: “Noi vogliam Dio che è nostro
padre”, “Mira al tuo Popolo o bella Signora”, “Ho vista beata” ma quello che mi faceva re-
stare senza parole era quando il coro intonava “O sacro convivium” oppure “Hallelujah” di
Haendel. Erano ormai due anni che studiavo il latino a scuola media e qualche parola riusci-
vo a capirla. Mi chiedevo “Ma come fanno? Questi cantano una melodia, gli altri un’ altra”,
donne con una voce altissima e gli uomini con un vocione... Provavo anch’io a imitare quel
vocione ma mi facevano subito stare zitto. Non vi dico le occhiate di don Mario che sentiva
stonare. “Don Lorenzo Perosi, Il Palestrina, Mozart, Beethoven” erano gli autori più eseguiti.
Nonostante le messe fossero molte, altissima era la presenza alla S. Messa delle 10.30,
la “Messa in canto”. Rimasi però molto impressionato da quella di Natale. Tre erano le S.
Messe che un sacerdote celebrava, una di seguito all’altra, e noi chierichetti ci chiedevamo il
perché. Senza parole restavo però quanto il sacerdote, che non era il celebrante, cantava il
Vangelo. Mi chiedevo: “Ma come diamine fa?”.
Con questi interrogativi ho incominciato la mia “Odissea” di studi che si conclusero nel
Conservatorio A. Vivaldi di Alessandria con il diploma in “Musica Corale e Direzione di
Coro”e di “Composizione”. Erano passati sei anni quando Don Marco venne a casa mia.
Abitavo allora in via Menfi, una via privata del viale Sicilia. “Perché non vieni a suonare
l’organo in chiesa da me?” mi disse. “Ma io non sono capace!” fu la mia risposta. “Sto cer-
cando un organista” continuò. “No! Non me la sento forse è meglio che lo chieda alla mia
professoressa di pianoforte, la signorina Luigia Cozzi”. “Lei è già impegnata a S. Michele,
devi venire tu”, “No! Mi perdoni, non sono ancora pronto, devo studiare ancora molto”. An-
cora oggi quando ci penso mi ricordo la faccia triste che Don Marco fece. Se ne andò ama-
reggiato. Dovettero passare ancora dieci anni, il parroco allora era diventato don Valerio, e
su invito della mia professoressa, che suonava l’organo, divenni il maestro del coro di “Ma-
donna Regina”. Grande però è ancora il rammarico di non aver detto sì a quel primo invito
fattomi da Don Marco.