Pagina 4 - Il Tassello

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La carità tra accoglienza e ririfiuto
I
n questo anno che prepara la Chiesa
al Sinodo sui giovani, vorrei parlare
di un cristiano poco o forse per nulla
conosciuto, un cristiano che non è ancora
stato proclamato santo, forse in futuro lo
sarà. Si tratta di don Enzo Boschetti, un
prete di Pavia, fondatore della Comunità
Casa delGiovane,un luogo di accoglienza
per minori con problemi famigliari,
giovani con problemi di dipendenza,
persone con disagio psichico o senza
fissa dimora.
Enzo Boschetti fu un uomo dalla
vicenda spirituale travagliata e inquieta,
ma sempre benedetta dall’incontro
provvidenziale con figure umili e vere
di persone sante per la semplicità e la
povertà della loro vita, per l’affabilità che
le caratterizzava anche nelle contrarietà,
per lo spirito di preghiera e il sereno
distacco da se stesse e dalle cose. Don
Enzo divenne capace di accogliere perché
in ogni tappa del suo pellegrinaggio
spirituale aveva fatto l’esperienza di
essere accolto lui per primo.
Dopo essere entrato al Carmelo attorno
ai vent’anni, una volta diventato frate
carmelitano Enzo aveva chiesto di essere
mandato in missione e così fu inviato
nel deserto del Kuwait, dove rimase solo
pochi mesi, perché sentiva fortissimo
il desiderio di diventare sacerdote per
aiutare meglio i giovani “ad uscire dalle
vanità e ambiguità del mondo e del
peccato”. Egli stesso aveva “tanto sofferto
per certe schiavitù”, che non descrive con
precisione, ma che avevano fatto nascere
in lui l’intenzione di dedicare la propria
vita a donare ai giovani valori autentici e
duraturi, riscattandoli da tante illusioni
che le attrattive mondane generavano nei
suoi coetanei, spingendoli spesso verso
forme di dipendenza e di perdita della
libertà.
Enzo aveva conosciuto la povertà, aveva
fatto l’esperienza dell’umiliazione, come
quando nel tempo della formazione
era stato inviato nelle strade a chiedere
l’elemosina, o come quando nei primi
tempi di vita della Casa del Giovane
il vescovo di Pavia, male informato, gli
aveva chiesto di chiudere tutto e di andare
via dalla diocesi. Ma queste esperienze,
che in altri avrebbero magari prodotto
rabbia e voglia di rivincita, maturarono
in lui invece il progetto di “servire per
puro amore” i fratelli più poveri.
Nel suo testamento spirituale, don Enzo
scrisse così: «Di mio non ho nulla perché
tutto mi è stato donato dalla Provviden-
za e abbondantemente. Sono contento di
essere vissuto povero e di morire pove-
ro, sull’esempio di Gesù “povero e servo”,
perché questo mi ha permesso di amare
i poveri».
Don Giuseppe
Accogliere e ridare dignità ai giovani