PARROCCHIA
S. MARIA REGINA
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CHRISTIAN BOBIN

Questi testi fanno “da assaggio” perchè ciascuno scopra Bobin acquistando i suoi libri!

Alcuni pensieri

Lo scrittore

Un elogio

Chi cammina

Il personaggio

L'intervista


I NOSTRI AMICI

Carlo Acutis

Etty Hillesum

Christian Bobin

Annalena Tonelli

Teresa di Lisieux

Eric-Emmanuel Shmitt

CHRISTIAN BOBIN

IL MESTIERE DELLO SCRITTORE
(2/4)

Oggi non abbiamo perduto tutto, tutto. Abbiamo perso il gusto e i modi del vivere insieme. Ci fa difetto l'intelligenza. Ci manca il tempo. Ci abbandona il cuore. Non ci resta che quanto ho detto, e dico malamente, non ci resta che la terra vergine dei continenti dell'infanzia, l'eldorado dell'infanzia ribelle. Finito il comunismo. Finita la fede in un mondo migliore, ed è un bene che sia finita. Il mondo va sempre verso il peggio. Se lo si lascia andare solo, il mondo va verso la distruzione di quanto in noi c'è di gracile e di prezioso. Non si può lasciare la società un secondo senza sorveglianza, che essa prende la strada della stupidità e del crimine - è più forte di lei - la strada che porta a Kolyma, a Sarajevo, a Treblinka e ad altri luoghi, i cui nomi sono nomi Sacri della storia degli uomini. È finito il comunismo, ma ce ne rimane uno, uno solo, e quello non ci sarà tolto. Abbiamo distrutto quasi tutto. Ma non possiamo distruggere tutto. Ci rimane l'essenziale, il comunismo dell'infanzia, la prova comune a tutti d'essere stati un giorno bambini sulla terra e di esserlo ancora, perché è inesauribile e più forte della stessa morte, un bene che né la morte né l'economia possono insidiare.
Io non ho un mestiere. Scrittore non è un mestiere o forse è un mestiere da bambino, un gioco. Io imbratto la tovaglia d'inchiostro e sono nello stesso momento, e con la stessa intensità, nella mosca che danza contro la finestra, nel cielo che sfuma e nel bosco pieno di luci delle fate, quel bosco di cui i filosofi non riusciranno mai a forzare l'ingresso, il bosco d'amore dal quale il mondo e cacciato, bandito, escluso. Davanti alla pagina, il tempo in cui scrivo, rinuncio ad essere qualcuno - foss'anche uno scrittore. Perché è davvero troppo poco essere qualcuno. Perché è meno di niente. Ho quarantatré anni e continuo a voler essere tutto. I quarant'anni dopo i primi tre non sono passati invano. Mi hanno insegnato che non tutto è pos sibile. Me l'hanno insegnato a mie spese. Ma non perché è impossibile, una cosa la si deve abbandonare. Ho tre anni più quaranta, voglio da sempre ciò che so impossibile, scrivo libri, dormo, attendo, consumo l'inchiostro insieme al mio tempo, cammino nel bosco incantato delle fate, non ho più paura dei lupi, so come allontanarli meglio che non il fuoco, conosco delle parole sulla pagina bianca.

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Redazione Web: don Sergio, Achille, Dario

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