PARROCCHIA
S. MARIA REGINA
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CHRISTIAN BOBIN

Questi testi fanno “da assaggio” perchè ciascuno scopra Bobin acquistando i suoi libri!

Alcuni pensieri

Lo scrittore

Un elogio

Chi cammina

Il personaggio

L'intervista


I NOSTRI AMICI

Carlo Acutis

Etty Hillesum

Christian Bobin

Annalena Tonelli

Teresa di Lisieux

Eric-Emmanuel Shmitt

CHRISTIAN BOBIN

IL MESTIERE DELLO SCRITTORE
(3/4)

Lavorare sulla lingua significa agire sul mondo: se i nazisti, di fronte alle cataste di corpi martirizzati, imponevano ai deportati di non parlare mai di "cadaveri" ma di "marionette", era perché è più facile bruciare delle marionette che un essere umano. Noi abbiamo due corpi innestati l'uno sull'altro, il corpo di carne e il corpo del linguaggio. Quando il dolore o la gioia coglie l'uno, l'altro ne avverte il riflusso. Quando la menzogna si impossessa del linguaggio, nella carne spunta la morte. Proprio perché certe parole ci uccidono, altre parole possono resuscitarci. È anche per questa ragione che non mi considero uno scrittore: credo troppo al potere di resuscitare che ha la scrittura per attardarmi un solo istante nella ricerca estetica.
I libri che amo sono i libri estenuati di prostrazione e di gioia, scritture rese stupide dalla loro intelligenza brutale, libri malati di salute che reinventano ogni volta un nuovo genere di lettore. Manca il termine per definirli. Si può a malapena tentare un elenco: tutto Rilke, tutto Pascal, tutto Dostoevskij. E così via.
Questi libri sono scritti con la parte sommersa dello spirito, là dove lo spirito tocca le acque oscure dell'inconscio, nelle profondità del profondo. Questi libri partecipano dell'idiota e del divino: non si può raggiungere questa luce del profondo senza attraversarne la propria stupidità, con il rischio di riportarne un poco in superficie, come alghe impigliate nelle reti dei pescatori. È un grande rischio o è sforzo di apparire sempre intelligente uno sforzo sterile e, contemporaneamente, un esempio di stupidità.
Io non cerco mai la scrittura. È la scrittura che viene a me. È qualcosa che esce dal mondo e che mi ferisce. Scrivere è scoprirsi emofiliaco, sanguinare inchiostro alla prima sbucciatura, perdere ciò che si è a vantaggio di ciò che si vede. Si scrive perché si ha una malattia della pelle, perché ci si accorge d'essere venuti al mondo senza pelle e che il più leggero contatto provoca risonanze di sogno e brucia un nervo oscuro. Il mondo batte il tam tam, sulla carne viva. Non rimane che ricopiare, trasmettere il tam tam su di un tamburo di carta bianca. È questione di musica più che di senso. È una questione di silenzio più che di musica. Il mio vero desiderio non era di scrivere, ma di starmene in silenzio. Sedermi sulla soglia d'una porta e guardare quel che capitava, senza aggiungere nulla al grande brusio del mondo. Questo desiderio è il desiderio di un autistico. Tra il termine "autistico" ["autiste" in francese, ndr] e il termine "artista" ["artiste" in francese, ndr] c'è una sola lettera di differenza, niente di più. Mi hanno parlato di un paesino nei pressi di Orléans. Vi sonnecchia una piccola chiesa del dodicesimo secolo. Se la si vuol visitare, bisogna chiedere la chiave a un giovane disabile mentale che vive in questo paesino a casa dei suoi. Egli vi apre il portone, vi prende per mano e illustra ogni statua, ogni bassorilievo. Io non ho avuto la fortuna di sperimentare tale visita guidata. Posso solo immaginare lumi sorprendenti intrecciantesi tra il Dio vegetante in un angolo dell'altare maggiore e l'infermo che incespicava nella sua parola. Lo scrittore non è un Dio, e neppure un infermo. Per essere l'uno o l'altro, gli manca la semplicità che non ha e che non può avere. Ma sono sicuro che tutti i grandi libri nascono nel punto in cui scocca la scintilla tra due poli, nella conversazione che si stabilisce tramite noi tra il divino e l'infermo, nell'incontro improvvisamente felice tra lo spirito intorpidito e la carne ferita. Scrivere è cam minare in una piccola chiesa romanica del dodicesimo secolo, nei pressi di Orléans, con la più nobile compagnia che esista - ed è vero che il nome dello scrittore, da solo, è rumoroso sulle pietre del pavimento, fin troppo rumoroso. Ma, dopo tutto, che importa: non si tratta che di scrivere. Non si tratta che di giocare. Il rumore dei bambini che giocano ricopre tutti i rumori del mondo.

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Redazione Web: don Sergio, Achille, Dario

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