Pagina 5 - Il Tassello

Versione HTML di base

5
TELECOMANDO
PENSIERI ANTICHI
LA SARTA
Ricordo che dopo aver terminato la 5^ elementare, era un caso ra-
ro che una ragazza continuasse gli studi. I genitori mandavano la figlia
da una sarta per imparare a cucire o a ricamare. Dopo l’insegnante delle
elementari è questa la figura che ricorda la nostra adolescenza. La sarta
ci insegnava a cucire o ricamare a casa sua, minimo eravamo tre o quat-
tro ragazze e ci sentivamo come una famiglia. Questi anni li ha vissuti
anche la poetessa bustocca Carla Mocchetti descrivendoli con una poesia che inizia così:
In dul méti in ordin u armiài dàa biancheria
a me ‘gnù in man un lanzoeu tüll ricamà
e l’è téeme véeri ul libar dàa me vita:
‘na pagina dàa me giuentù.
Càndu seu piscinina a me màma, finì i scoi,
la ma mandea a ricanà ‘n d’una sciua in piazza san Giuan,
a ma rigordu pü ul so nom…
E
LISA
G
Siamo ormai abituati ad
assistere al dolore ed alla
morte standocene seduti sui
nostri divani. La TV ci cata-
pulta sempre più spesso
“dentro” a notizie preoccu-
panti e terribili. Le news ri-
guardanti fatti tristi ed ango-
scianti sono, sempre di più,
trattate con maniacale atten-
zione. Si entra sempre nei
particolari: come è morto,
quanti colpi, in che punto e
via dicendo.
E’ incredibile ma il do-
lore fa spettacolo, fa audien-
ce, fa pubblico, sta diventan-
do un nuovo genere televisi-
vo: il reality dead – La morte
in diretta. Noi siamo sempre lì
seduti sul divano ad osserva-
re. Magari ci emozioniamo un
po’, perdiamo qualche lacrima
pensando alle povere vittime
e certe volte doniamo anche
del denaro per chi soffre; ma
la distanza resta.
La comunicazione è, co-
me sempre, a senso unico. Lo
spettacolo del dolore non po-
trà mai sostituire il dolore ve-
ro anzi, ci anestetizza. Con il
passare del tempo ci abituia-
mo sempre più a
sopportare scene
violente che, an-
che se vere, di-
ventano “già vi-
ste”. E’ difficile
capire fin dove arriva il diritto
di cronaca e dove si ferma la
curiosità morbosa, il voyeri-
smo strappalacrime.
Nei prossimi giorni, i
cristiani celebrano la festa di
Pasqua.. Ricorderemo giorni
tristi, giorni in cui si ricorda il
calvario di Gesù. La storia la
conosciamo già, i personaggi
ci sono noti, la conclusione è
quasi scontata.
E’ una di quelle notizie
già “decotte”, rischia di pas-
sare inosservata e anestetizza-
ta dalla nostra abitudine allo
spettacolo del dolore. Non è
una festa facile la Pasqua.
Leggendo il Vangelo, però, ti
accorgi che Gesù, mentre sof-
friva, già ci vedeva appollaiati
sui nostri divani a guardare lo
spettacolo della croce. Gli at-
teggiamenti e le parole di Ge-
sù nella Passione sembrano
indirizzate a questo nostro
stato d’immobilità.
E’ come se, per
una volta, la persona
che sta soffrendo sia
concentrata su chi lo
sta guardando. Come
se Gesù avesse una
telecamera verso di noi e ci
filmasse per poi realizzare
uno spettacolo dal titolo:
“Ecco gli uomini davanti alla
sofferenza ed alla morte di un
innocente”. Chissà come la
prenderemmo: forse diremmo
anche noi “hai salvato gli altri
vero? Salva te stesso, scendi
dalla croce non stare lì a guar-
darci, fai qualcosa per te!”.
Penso sia difficile accet-
tare questa inversione di ruoli,
perchè, per la prima volta, il
dolore ci ha parlato, ci ha
chiesto una risposta in diretta:
“Vedi cosa mi sta succeden-
do? Tu cosa fai? Cosa deci-
di?”. E’ difficile trarre una
conclusione. Davanti a tanto
amore ci si sente piccoli e ina-
deguati, ma forse il Grande
Regista aveva capito anche
questo.
A
NDREA
I.
CIAK SI MUORE