Pagina 14 - Il Tassello

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Da bambino
ricordo
le
storie
rac-
contate dalla
mamma che
terminavano
quasi sempre
con le parole
“…e vissero felici e contenti…”.
Sono trascorsi oltre 10 anni dalla fine del-
la guerra nei Balcani, dall’assedio di Sarajevo,
ma ogni volta che ritorno in quella stupenda
città, dagli amici vecchi e nuovi, non riesco
mai a vedere la fine migliore della storia. Ad
ogni viaggio spero di trovare qualche piccolo
cambiamento, qualche cosa che permetta loro
di pronunciare la parola “felici”, invece si co-
noscono ogni volta nuovi casi di persone, di
famiglie che aspettano “gli amici italiani” per
vivere qualche giorno serenamente. Se ci sof-
fermassimo qualche volta di più sulle parole
del Padre Nostro: “…dacci oggi il nostro pane
quotidiano…” capiremmo quanto la dignità di
tante persone viene offesa da tutto ciò che noi
abbiamo e che non ci è indispensabile. A Sara-
jevo ci sono ancora centinaia di persone che,
SOS SARAJEVO
MI RITORNI IN MENTE…
E’ il sottotitolo di una delle più famose e
più longeve canzoni, sempre attuali, d’estrema
attualità, che oggi un po’ tutti mettono in un
bidone contenitore bruttissimo “per non dimen-
ticare”. Si tratta di Auschwitz, parole e musica
di Francesco Guccini, scritta nel lontano 1965
per ricordare una pagina triste della storia di
tutti gli uomini. Per i due, forse tre, che non lo
sanno Auschwitz è un luogo della Polonia dove
i nazisti tedeschi hanno deportato e ucciso mi-
gliaia di persone durante la seconda guerra
mondiale, un cosiddetto campo di sterminio.
Guccini ha voluto denunciare questo fatto
anche con la musica ed è nata una canzone as-
solutamente indimenticabile. Il fatto poi che in
ogni suo concerto (ed anche i Nomadi lo fanno
con atmosfere ed arrangiamenti sempre diversi)
la ripete con l’accompagnamento del pubblico
significa che il pezzo è entrato nelle vene e ci
resterà per sempre. Inizia così “Son morto, con
altri cento, son morto che ero bambino, passato
per il camino e adesso sono nel vento”.
Un particolare abbastanza importante è
che ognuna delle strofe termina con la parola
vento, questo a rilevare i vari significati che in
un certo contesto la parola “vento” può avere.
Guccini interpreta il vento come una calma
“siamo a milioni in polvere qui nel vento” o
come un soffio “ed ancora ci porta il vento” e
finisce la canzone ancora con una calma di
vento irreale: “ed il vento si poserà”. Ma un
altro particolare importante nel riascolto della
canzone che natural-
mente invito a fare,
genitori e figli, nonni
e giovani, è che ci so-
no due domande che
purtroppo rimangono
senza risposta. “Io chiedo come può l’uomo
uccidere un suo fratello” ed ancora, ultima
strofa, “ Io chiedo, quando sarà, che l’uomo
potrà arrivare a vivere senza ammazzare”: due
domande, dicevo, che ancora oggi rimangono
inevase, perché si uccide, a parte le guerre inu-
tili un po’ in tutto il mondo, ancora per niente,
per motivi futili e senza significato, per rabbia,
per uno sgarbo, per un rumore.
E qui mi fermo perché non sono né un
sociologo, né uno psicologo e tanto meno un
tuttologo, lascio agli altri sindacare su questo
non rispetto nella vita che questa canzone e-
semplifica così fortemente. Resta, alla fine
della canzone, un bel po’ d’amaro in bocca e
tutte le volte che la riascolto mi chiedo io, nel
mio piccolo, cosa posso fare per questo. Sareb-
be bello che ciascuno di noi si ponesse la do-
manda, magari con un po’ più di coscienza ci-
vile: la questione è seria. E, come ad un certo
punto dice il testo di Guccini, “è strano non
riesco ancora a sorridere, qui nel vento”.
G
IOVANNI
G.
LA CANZONE
DEL BAMBINO NEL VENTO